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Marguerite Yourcenar e la tradizione umanistica

“Quando gli dèi non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento unico in cui è esistito l’uomo, solo”

marguerite yourcenar

Marguerite Yourcenar

In un tempo di confusione disperata come il nostro, l’umanesimo europeo può rappresentare una solida scialuppa di salvezza. Non è un discorso semplice da introdurre, nell’epoca della rivoluzione digitale e dell’intelligenza artificiale.

Ma esso può garantire una capacità di orientamento, soprattutto per le giovani generazioni, di cui le recenti conquiste tecnologiche non hanno la più pallida idea. In questo discorso è compreso anche il cinema, più accessibile agli adolescenti di quanto non sia la lettura dei “Dolori del giovane Werther” di Goethe o di “Il rosso e il nero” di Stendhal.

Per come la conosciamo, la grande tradizione umanistica occidentale si è polarizzata in quattro momenti culminanti della storia europea.

Il futuro alle spalle

Innanzitutto, in Grecia e ad Atene tra V e IV secolo a. C. e, particolarmente, tra il 480 a. C. – che vide i Greci scontrarsi con i Persiani alle Termopili e a Salamina – e il 323 a. C., anno della morte di Alessandro Magno. I nomi di Sofocle, di Fidia, di Pericle, di Socrate, di Platone, di Senofonte, di Erodoto e Tucidide, di Aristotele ne sono i numi tutelari.

A Roma, nel periodo che va dalla fine della Repubblica all’Impero di Marco Aurelio, tra I secolo a. C. e II secolo d. C. In quest’epoca convulsa, a tratti disperata, che vede maturare il più grande omicidio politico della storia occidentale – la morte di Giulio Cesare, sotto i colpi dei congiurati Bruto e Cassio, nelle Idi di marzo del 44 a. C. – vivono e agiscono personaggi di prima grandezza.

Oltre allo stesso Cesare – che Hegel, nelle “Lezioni sulla filosofia della storia” (ed. it. La Nuova Italia, I volume), aveva utilizzato, insieme ai nomi di Alessandro Magno e Napoleone, per esemplificare gli individui cosmico-storici – Pompeo, Cicerone, Antonio, Ottaviano Augusto – il fondatore dell’Impero – Virgilio, Orazio, Ovidio, Seneca, fino a Traiano, agli Antonini, ossia Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio. Con la fine dell’impero di Marco, qualcosa si rompe nella perfezione dell’equilibrio classico della tradizione umanistica latina ed altri mondi, sempre più diversi, si affacciano all’orizzonte. 

A Firenze, in Italia ed Europa all’epoca del Rinascimento. Basti ricordare i grandi fiorentini. Che si tratti di grandi politici, come Cosimo il Vecchio e Lorenzo il Magnifico. Di grandi artisti, si pensi a Leonardo e Michelangelo. Di filosofi come Marsilio Ficino e Pico della Mirandola. Di grandi riformatori religiosi, come Savonarola.

Infine, in Germania tra la nascita di Kant (1724) e la morte di Goethe (1832). Sotto la spinta dello spirito tedesco, l’umanesimo europeo nella sua ultima fase si fa possente, titanico. Si pensi all’incredibile capacità di scavo teoretico di Kant, al vigoroso e totalizzante idealismo speculativo di Hegel, alla quiete contemplativa di Goethe, all’abissale profondità di Hölderlin (che tanto impressionava Martin Heidegger), alla leggiadria sognante della musica di Mozart, al titanismo musicale di Beethoven.

Messa a fuoco

Da questa prospettiva – che, naturalmente, deve più di qualcosa alla grande scuola delle “Lezioni sulla filosofia della storia” di Hegel – restano tagliate fuori due grandi fasi della cultura occidentale: l’epoca arcaica della Grecia e la cultura contemporanea. Non a caso. La cultura contemporanea, soprattutto filosofica, è raramente debitrice all’umanesimo nelle varie forme che abbiamo descritto.

Si pensi a Nietzsche, Heidegger e Severino. Il gesto di questi filosofi è di sprezzante rifiuto dell’umanesimo – nel timore che esso sia associato a trascendenza e metafisica – per postulare un ritorno ai Presocratici, che metta in salvo il sapere filosofico dell’Occidente dalle sabbie mobili della metafisica, di Platone e del cristianesimo.

Nella cultura contemporanea, l’incontro con l’umanesimo si verifica in rari casi. In studiosi di altissima levatura come Werner Jaeger, Ernst Cassirer ed Eugenio Garin. In filosofi come Croce, Jaspers, Sartre ed Hannah Arendt. In scrittori come Thomas Mann e Marguerite Yourcenar.

Il senso della libertà

Il problema dell’umanesimo non è, come si potrà comprendere, di poco conto. Ad esso è affidato il compito di un sapere laico, di un’etica laica. Non si tratta soltanto di una battaglia di retroguardia, come si può ben vedere. Viviamo ancora in un’epoca in cui il fondamentalismo religioso offre lo spunto alle nefandezze peggiori.

Da qualunque parte provengano, ebraica, cristiana o musulmana. L’etica occidentale ha un radicamento importante nella tradizione ebraico-cristiana, nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Ma ha una radice di pari importanza nel mondo greco-romano.

A partire dalle massime incise sul Tempio di Apollo a Delfi: “Conosci te stesso” e “Nulla di troppo”. Fino ad arrivare al grande pensiero etico di Kant – “il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me”, per citare la celebre conclusione della “Critica della ragion pratica” (1788) – e all’elaborazione degli ultimi tre secoli, in materia di diritti e democrazia.

La visione laica del mondo garantisce, dunque, una autonomia dalle categorie religiose che, oggi, appare più decisiva che mai. Dialogando con la scienza e, pur tuttavia, mantenendosi autonomi anche rispetto ad essa, sarà possibile guadagnare una prospettiva adeguata al nostro modo di vivere e intendere la realtà.

Nei “Taccuini di appunti” posti alla fine delle “Memorie di Adriano”, Marguerite Yourcenar riporta una frase di Flaubert, che dice: “Quando gli dèi non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento unico in cui è esistito l’uomo, solo”. Yourcenar, a sua volta, commenta con queste parole: “Avrei trascorso una gran parte della mia vita a cercar di definire, e poi descrivere, quest’uomo solo e, d’altro canto, legato a tutto”.

Yourcenar umanista

Il campo di tensione dell’opera di Marguerite Yourcenar si tende tra due grandi opere, due grandi romanzi: “Memorie di Adriano” (1951, ed. it. Einaudi) e “L’opera al nero” (1968, ed. it. Feltrinelli). Entrambi i romanzi sono fortemente connotati in senso umanistico.

Da una parte il grande imperatore, Adriano, il successore di Traiano che regnò dal 117 al 138 d. C. L’umanista innamorato della Grecia, il grande viaggiatore, il letterato e l’intellettuale raffinato, che aveva saputo costruire la sua vita come un’opera d’arte. Che ha lasciato, nel mondo, complessi architettonici splendidi come Villa Adriana a Tivoli, la Biblioteca e l’Arco di Adriano ad Atene, il Pantheon a Roma.

Dall’altra Zenone, protagonista di “L’opera al nero”. Personaggio immaginario, al contrario di Adriano, Zenone è un medico, alchimista, filosofo del Cinquecento. La scelta del nome è estremamente significativa, poiché è quello di due filosofi greci di straordinaria importanza: Zenone di Elea (V secolo a. C.), il leggendario allievo di Parmenide, dotato di un’abilità dialettica di livello inarrivabile; Zenone di Cizio (IV-III secolo a. C.), il fondatore dello stoicismo, una delle scuole filosofiche più importanti del mondo antico.

La vicenda di Zenone si muove, in un certo senso, sulla falsariga di quella di Giordano Bruno, il grande filosofo del Rinascimento, che morì arso vivo a Roma, in Campo de’ Fiori, il 17 febbraio 1600. La libertà di pensiero può condurre alla morte. Almeno così era allora. Di fronte all’intolleranza religiosa, alla violenza del dogma, il libero pensatore viene schiacciato come una formica. È una lezione da ricordare, ora che si annunciano tempi di nuova intolleranza.