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La guerra d’Israele ieri e oggi e le vicende del povero Mosè

Jaweh era un Dio veramente tremendo. Permaloso, suscettibile, rancoroso e vendicativo ma soprattutto guerriero

Mosè, del Guercino

Mosè, del Guercino

I cattolici, soprattutto quelli italiani, hanno una grande fortuna: quella di poter inventare e raccontare barzellette a sfondo religioso senza per questo essere perseguitati o sgozzati. Senza neppure sentirsi in colpa forse perché immaginando l’onnipotente come colui che incarna tutte le qualità, si suppone sia anche ironico, capace addirittura di sorridere alle storielle scherzose degli uomini.

E’ con questo spirito, per nulla irrispettoso, tutt’al più condito da un pizzico d’ironia, di sarcasmo, a volte critico, che mi accingo a raccontarvi quanto segue.

Mosè è il profeta dell’Antico Testamento più vessato

La storia del bambino salvato dalle acque è drammatica e grottesca al tempo stesso. Figlio di ebrei che per salvarlo dalla mattanza di neonati maschi giudei voluta dal Faraone, lo affidano alle acque del Nilo in una cesta di vimini, viene raccolto dalla sorella del Faraone Seti I. Questa, non potendo avere figli, lo adotta come proprio al punto che Mosè diventa Principe d’Egitto. Il faraone Seti lo ama più del proprio rampollo, Ramses. Mosè è un condottiero eccezionale, abilissimo architetto, amato a corte e dal popolo.

Vive una vita straordinaria, è ricco e potente, venerato come un Dio. Ma un giorno qualcuno insinua a corte che egli sia in realtà di stirpe ebraica. Nemmeno il sommo Faraone vuole dar credito a questa calunnia, tanto lo ama. Tuttavia Mosè, inspiegabilmente, dopo aver verificato la veridicità delle proprie origini, ammette ufficialmente di essere ebreo.

Avrebbe potuto mantenere il segreto e continuare ad aiutare il popolo ebraico dall’alto della propria posizione di potere. Invece, accetta di essere processato, condannato e cacciato dall’Egitto. Scelta incomprensibile. Mosè non era ancora di fede ebraica, non adorava Yahweh.

Esiliato nel deserto, inizia per lui un’epopea drammatica. Dopo essere sopravvissuto alle sabbie infernali, arriva in un’oasi, dove tra una vicenda e l’altra, conosce e sposa una giovane pastorella. Un giorno, mentre pascola un gregge, incontra Dio che gli ordina di tornare in Egitto per liberare il proprio popolo eletto.

Mosè gli chiede: Chi sei? e Yahweh risponde: “Io sono colui che sono. Non credo che Mosè abbia ben capito ma, com’è, come non è, accetta, saluta moglie e figlio e torna in Egitto dove chiede al fratellastro Ramses, nel frattempo divenuto Faraone dopo la morte del padre Seti, la libertà per tutti gli schiavi ebrei. Il rifiuto è netto. Così Dio comincia a scagliare sull’Egitto, una dopo l’altra, 10 piaghe terrificanti, ultima delle quali prevede l’uccisione di tutti i primogeniti egizi.

Per evitare che anche i propri bimbi siano uccisi dall’angelo inviato da Dio, gli ebrei devono segnare le porte delle proprie abitazioni con il sangue di un agnello sgozzato. Mi sono sempre chiesto per quale ragione l’angelo della morte, un inviato dell’onnipotente, avesse bisogno di essere guidato nella sua opera di massacro. Non sapeva chi colpire? Ad ogni modo, a quel punto il faraone, distrutto dalla perdita del primogenito, riconosce la propria impotenza di fronte a Yahweh, il Dio degli ebrei e lascia partire il popolo di Israele.

Poi però ci ripensa e parte all’inseguimento. Fallirà inghiottito dalle acque del Mar Rosso aperto e richiuso miracolosamente da Mosè grazie all’intervento di Dio. Così il profeta, alla guida del popolo eletto, arriva alle pendici del Sinai e lì si accampa. Mentre le migliaia di ex schiavi rimangono a valle, Mosè e Giosuè, il proprio luogotenente, salgono sul monte Sinai.

Mosè era sempre e comunque un generale di armata al comando di un piccolo esercito di ebrei. Durante la fuga dall’Egitto aveva condotto il popolo eletto in guerra contro gli Amaleciti nella battaglia di Refidim. Mosè riceve le tavole della legge ma nel frattempo gli ebrei che lo attendevano nell’accampamento, stanchi di aspettare e persa la fiducia nel loro liberatore (ingrati! Cos’altro avrebbe dovuto fare Mosè per loro?) decidono di tornare ai propri idoli pagani e costruiscono un vitello d’oro da adorare.

Anche qui, come potevano gli ebrei schiavi ad avere tanto oro al punto da costruire un animale a grandezza naturale? Dio, infuriato, avvisa Mosè: “Và, scendi, perché il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d’Egitto, si è pervertito“.

Il Signore disse inoltre a Mosè: “Ho osservato questo popolo e ho visto che è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga“.

Per la verità Mosè prova a calmarlo ma senza successo. E Mosè gridò loro: “Dice il Signore, il Dio d’Israele: Ciascuno di voi tenga la spada al fianco. Passate e ripassate nell’accampamento da una porta all’altra: uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio parente”.

Ma l’onnipotente non era soddisfatto, cosi disse a Mosè:

Fino a quando sopporterò io questa malvagia comunità che mormora contro di me? Io ho udito i mormorii che i figli d’Israele fanno contro di me. Dì loro: ‘Com’è vero che io vivo, dice l’Eterno, io vi farò quello che ho sentito dire da voi. I vostri cadaveri cadranno in questo deserto; e tutti quanti voi di cui si è fatto il censimento, dall’età di venti anni in su, e che avete mormorato contro di me, non entrerete di certo nel paese nel quale giurai di farvi abitare”.

Ora, provate a immaginare Mosè: già ottantenne, barba lunga, bastone, 40 anni da trascorrere nel deserto aspettando che muoia la generazione responsabile del vitello d’oro. E non è che si trovassero in un paese tropicale con un clima gradevole, cibo e acqua a volontà: nel deserto c’è il nulla, tranne sabbia rovente di giorno e freddo mostruoso di notte. Senza acqua, senza cibo. Provato e schiacciato dal peso delle responsabilità enormi degli ordini che il Signore in persona gli aveva impartito. Una situazione tremenda.

E qui arriviamo al dramma dei drammi. La beffe delle beffe. La Bibbia ci racconta come il povero Mosè ebbe un’esitazione, la prima e unica, alla fonte di Meriba. Ma cosa accadde?

Successe che il povero profeta, stanco, sudato, sotto un sole rovente, stremato dalla fatica e con i nervi presumibilmente a pezzi, invece di ottenere il miracolo dell’acqua che scaturisce dalla roccia nelle modalità previste da Dio, (la procedura prevedeva che Mosè dovesse ordinare a voce ai massi di far sgorgare l’acqua), colpisce due volte i sassi col proprio bastone. Un gesto dettato da mille ragioni comprensibili, complice forse un calo di zuccheri o un capogiro. Sta di fatto che Dio se la lega al dito e non gliela perdonerà…

Finalmente Mosè, con la nuova generazione di ebrei, arriva sulle alture del Monte Nebo dalle quali si poteva ammirare la terra che Dio aveva promesso loro. Ho provato a immaginare Mosè che si sarà seduto, distrutto dalla fatica ma soddisfatto, e avrà pensato tra sé e sé : “Finalmente dopo tutto quello che mi è successo posso finalmente scendere nella terra di Canaan“.

Niente affatto! L’onnipotente non aveva mandato giù l’episodio della roccia. Quell’unica volta in cui Mosè aveva esitato, gli era stata fatale. Mosè alza il braccio per guidare Israele verso la Terra Promessa ma Dio lo ferma e gli dice: “ No, tu no!”. E lui, “ma perché?”, e Dio. “perché no”. Mosè con lo sguardo sconvolto gli chiede spiegazioni, pensa forse si tratti di uno scherzo. Ma Dio, implacabile, gli risponde: “Perché tu una volta hai esitato”. A poco saranno valse le spiegazioni del povero Mosè. Dio gli impone di rimanere sulle alture e di morire in solitudine mentre il popolo d’Israele si avvia verso Cannan: la terra promessa.

Questo Jaweh era un Dio veramente tremendo. Permaloso, suscettibile, rancoroso e vendicativo ma soprattutto guerriero. Già perché da lì iniziano le vicende belliche del popolo di Israele alla cui guida al posto di Mosè troviamo Giosuè.

Sotto la guida e i consigli tattici e strategici di Jaweh, il popolo di Israele comincia la propria avanzata alla conquista della terra promessa: Canaan. Il problema è che in quei territori vivevano da secoli altre popolazioni. Canaan corrispondeva a quelli che oggi sono i territori di Libano, Palestina, Israele e alcune porzioni di Siria e Giordania.

Anche in questo caso ho immaginato la scena. Arriva Giosuè seguito da migliaia di ebrei, molti dei quali armati fino ai denti. Giungono al primo villaggio, entrano e dicono: “adesso questo villaggio è nostro”, il capo del villaggio avrà quantomeno chiesto spiegazioni e Giosuè avrà risposto: “Il Signore ha detto che da questo momento il villaggio ci appartiene. O ve ne andate o vi uccidiamo”. Quel poveraccio avrà chiesto quanto meno: ”il signore chi?”. Poi lo avranno ucciso assieme agli abitanti del posto. I superstiti fatti prigionieri e quindi schiavi, come l’Onnipotente suggeriva. Giosuè era uomo di parola e non scherzava.

L’Antico Testamento si compone di vari libri tra cui il Pentateuco che ne contiene appunto cinque: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. Molti versetti sono brutali e violenti. C’è addirittura un salmo, il 137 che recita: “Beato chi afferrerà i tuoi bambini e li sbatterà contro la roccia”.

Per non parlare delle scene raccapriccianti di distruzioni e massacri che il popolo d’Israele opera sotto il comando di Dio a scapito delle popolazioni che nella terra di Canaan vivevano da secoli. Non stupisce che il Concilio Vaticano II abbia effettivamente censurato gli ultimi due versetti del salmo 137 oltre ad aver sconsigliato la lettura durante la messa di alcuni passi del Pentateuco perché ritenuti talmente brutali da poter essere difficilmente compresi dai fedeli.

Alcuni esempi:

Levitico, 26:22 – Dio ammonì la popolazione che, qualora non lo avessero ascoltato, avrebbe inviato loro le bestie feroci: “che vi rapiranno i figli, stermineranno il vostro bestiame, vi ridurranno a un piccolo numero, e le vostre strade diventeranno deserte“.

Levitico, 26:27-29 – “E se, nonostante tutto questo, non volete darmi ascolto, ma con la vostra condotta mi resisterete” – “anch’io vi resisterò con furore e vi castigherò sette volte di più per i vostri peccati.” – “Mangerete la carne dei vostri figli e delle vostre figlie“.

Numeri, 31:31-40 – Dio spartì il bottino di guerra tra i soldati, i sacerdoti e gli israeliti senza tralasciare il tributo al Signore: “seicentosettantacinquemila pecore, settantaduemila buoi, sessantunomila asini e trentaduemila persone, ossia donne che non avevano avuto rapporti sessuali con uomini”.

Deuteronomio, 2:33-34 – Sotto la guida di Dio, gli israeliti sterminarono completamente gli uomini, le donne e i bambini di Sicon. – “Non vi lasciammo nessuno in vita”.

Israele oggi

Vista la politica che l’attuale governo di Israele con a capo Netanyahu sta portando avanti da due anni nei confronti di Gaza, bombardando e uccidendo migliaia di palestinesi senza far distinzioni tra Hamas e semplici cittadini, e l’occupazione non autorizzata di terre palestinesi (è di pochi giorni fa la notizia dell’annessione ufficiale di 45 ettari di Cisgiordania allo Stato di Israele), a qualcuno non sarà sfuggito un certo parallelismo con la conquista biblica della Terra Promessa.

Quasi che almeno una parte degli Israeliani di oggi conservi tracce, nel proprio DNA, di quella attitudine alla guerra e alla espugnazione di terre altrui che caratterizzò il popolo guidato da Mosè prima e da Giosuè poi.

Almeno il povero Mosè aveva l’attenuante di aver ricevuto ordini direttamente da Dio e non giustificava le proprie azioni belliche, come fa il governo di Israele, perché stampate in un libro.

Un libro scritto non si sa quando, né da chi, tantomeno in quale lingua, di cui non si ha la copia originale, nel quale si afferma che la terra dei Palestinesi, ma non solo, fu, migliaia di anni fa, promessa agli ebrei da Yahweh: l’Antico Testamento.