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UE sempre pro Kiev ed è vietato dissentire

Il dissenso sulle scelte dei governi cessa di essere un esercizio della critica e si tramuta in un tradimento degli interessi nazionali

Il Presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen presenta la “Bussola per la competitività”. Sfiducia

Ursula von der Leyen (© Ec.europa.eu)

Non credete che Zelensky sia l’Angelo del Bene? Che combatta per tutti noi? E che al contrario Putin sia un dittatore megalomane che ha aggredito l’Ucraina solo per le sue smanie imperialistiche, in attesa di fare altrettanto pure con il resto dell’Europa?

Guai a voi. Azzardatevi a dirlo, soprattutto pubblicamente, e verrete prontamente etichettati: filorussi! Filo putiniani!!!

Ormai siamo a questo. C’è la versione ufficiale, quella dei vertici UE e dei sedicenti Volenterosi e dei tanti altri sostenitori zelanti che costellano il mondo dei partiti e dei media, e non bisogna azzardarsi a contraddirla. Neanche un pochettino. Nemmeno per ragionarci sopra e valutare il conflitto in corso sulla base di ciò che l’ha preceduto, e di fatto predisposto, da una parte e dall’altra.

Non per ribaltare la versione dominante nel suo opposto, ossia nella glorificazione di Putin in alternativa a quella di Zelensky, ma per analizzare la vicenda in modo più obiettivo. Facendola uscire dagli schemi sommari, e distorsivi, della propaganda a senso unico. Smettendola di appiattirsi sui dogmi del catechismo UE, secondo i quali Putin ha torto su tutta la linea e ha già perso comunque in quanto…

Dire/strombazzare/ripetere

Primo: voleva conquistare l’Ucraina con una guerra lampo e invece, dopo quasi quattro anni, le sue truppe sono avanzate sì ma non poi così tanto.

Secondo: voleva allontanare l’Ucraina dalle democrazie liberali dell’Occidente, mentre oggi quella vicinanza è più forte che mai.

Terzo: aspirava a fare della Russia una superpotenza planetaria, al pari degli USA e come lo fu l’URSS comunista, ma è finito nelle spire del gigante cinese, con un’alleanza apparentemente paritaria ma in realtà subordinata ai voleri e alla supremazia di Pechino.

Insomma, un disastro.

La pagella politica, stabilita dal Provveditorato all’Universo con sede a Bruxelles (e filiali, operose, un po’ qua e un po’ là), lo ha subissato di insufficienze e ha spiccato una bocciatura senza scampo.

D’altronde che cosa ci si poteva aspettare, da un autocrate del suo genere? Mica lo vorremo paragonare a dei leader democratici del calibro di Ursula von del Leyen, di Kaja Kallas, di Emmanuel Macron, di Keir Starmer?

La formuletta-chiave: la “guerra ibrida”

Siamo in guerra con la Russia?

Formalmente no. Nella sostanza sì. Perché riempiamo l’Ucraina di soldi e di armi e perché, dopo aver tempestato Mosca di sanzioni (dal 2014 siamo a 19 pacchetti, per ora), ci accingiamo a “congelare” gli asset della sua Banca centrale depositati in Europa, per un valore nell’ordine di 200/300 miliardi di euro. E questo “congelamento”, beninteso, è l’anticamera dell’esproprio, nel presupposto assai discutibile, e del tutto unilaterale, che alla fine quei beni dovranno rientrare tra i danni di guerra a carico della Russia.

In pratica, secondo i fautori del sequestro, si tratterebbe solo di anticipare un po’ i tempi. E pazienza se i dubbi sulla legalità dell’operazione sono fortissimi e i rischi altrettanto.

Ciò che renderebbe l’iniziativa non solo legittima ma addirittura indispensabile è che la situazione non rientra più tra quelle ordinarie, esigendo perciò delle misure eccezionali. Così, il 12 dicembre scorso, il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato il ”Regolamento 2025/2600 relativo a misure di emergenza per affrontare le gravi difficoltà economiche causate dalle azioni della Russia nel contesto della guerra di aggressione nei confronti dell’Ucraina“. 

A sua volta, Ursula von der Leyen, ha appena ribadito che «dobbiamo sviluppare e implementare nuove capacità per poter combattere una moderna guerra ibrida».

Una prospettiva che assomiglia terribilmente a quella di una guerra convenzionale. E che, al pari di ciò che accade quando i conflitti sono sanciti a pieno titolo, ci proietta verso un regime speciale in cui le normali libertà vengono drasticamente ridotte.

Il dissenso sulle scelte dei governi cessa di essere un esercizio della critica e si tramuta in un tradimento degli interessi nazionali. Anche se in questo caso il termine giusto è sovrannazionali, trattandosi di decisioni prese in ambito UE.

Quella Unione Europea che, mai dimenticarlo, non è una federazione tra Stati ma fa finta di esserlo.

Nel frattempo, l’ostracismo

L’ultimo caso, clamoroso per la qualità delle sue riflessioni geopolitiche e per l’orientamento progressista del suo direttore Lucio Caracciolo, è l’accusa mossa a Limes di essere “filorusso”. Ma l’epiteto, proferito con la dovuta indignazione, è stato ampiamente utilizzato anche in precedenza, al pari di quello analogo, e nelle intenzioni ancora più infamante, di “filo Putin”.

Il sottinteso, neanche tanto nascosto, è che qualunque scostamento dall’appoggio incondizionato a Kiev è losco di per sé. Essendo impensabile che dei bravi cittadini europei non si schierino a favore di Zelensky “senza se e senza ma”, la conclusione scatta in automatico: quei distinguo non possono scaturire da analisi disinteressate, che saranno pure opinabili ma poggiano su ragionamenti approfonditi, e perciò devono avere giocoforza delle torbide motivazioni.

Traduzione: ammesso che chi esprime quelle tesi non sia proprio a libro paga del Cremlino, quantomeno è un utile idiota che si presta alla propaganda russa – laddove la propaganda rientra appunto nella guerra ibrida – e pertanto è connivente col “nemico”.

Non un reato, non ancora, ma ci andiamo vicini.

Non potendo trascinare i reprobi in tribunale, per condannarli come si vorrebbe, si ripiega sul discredito. Ai limiti della diffamazione ma quasi sempre con l’accortezza di non essere talmente espliciti da beccarsi una querela.

Già. La manipolazione non è un’esclusiva della Russia e viene utilizzata a pienissime mani anche da parte occidentale. E non certo da oggi.

Se sorprendersi è da sprovveduti, negarlo è da allocchi. Oppure, peggio, da complici.

Gerardo Valentini – presidente Movimento Cantiere Italia