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Ristorante: la stella Michelin non è compatibile con il doppio turno a tavola

Il celebre maitre Umberto Giraudo: “Non si può a certi livelli, per ragioni di gestione di un ristorante, imporre degli orari e delle restrizioni al cliente”

Sommelier versa champagne

L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, o almeno così recita l’art.1 della nostra Costituzione, ma quando si parla del belpaese, il concetto di “lavoro” non può prescindere da quello di arte, moda, turismo ed enogastronomia.

Ristorazione e hotellerie di alta fascia

Nel domandarci in che stato versi proprio il settore enogastronomico in questa fase post covid, si impone una constatazione. Pur avendo inevitabilmente risentito del contraccolpo pandemico, dopo la fase restrittiva che è andata via via scemando, la ristorazione e l’hotellerie sembrano ormai caratterizzarsi per un nuovo entusiasmo (quasi una reazione da crisi di astinenza) che dona fermento in particolar modo nel segmento di alto livello.

Viene da citare nella capitale, l’apertura di nuovi locali di tendenza, come ad esempio il Ristorante Niko Romito del Bulgari Hotel di Piazza Augusto Imperatore (sul quale sono stati registrati giudizi forse un pò troppo frettolosi); oppure l’attesa per l’apertura del Romeo Roma (altra creatura dell’imprenditore napoletano Alfredo Romeo) a Via di Ripetta che rappresenterà probabilmente l’evento dell’anno non fosse altro per la presenza di due guest stars.

Innanzitutto Monsieur Alain Ducasse, il Guru della gastronomia francese, nonché chef più stellato al mondo, la cui consulenza sbarca per la prima volta a Roma dando lustro all’alta cucina della capitale. Insieme a lui Umberto Giraudo, miglior maìtre del mondo nel 2012 (con il Grand Prix de l’Art de la Salle, riconosciutogli dall’Acadèmie Internationale de la Gastronomie).

Umberto, dopo oltre vent’anni al Rome Cavalieri Waldorf Astoria (prima Rome Cavalieri Hilton), si è lanciato, infatti, in una nuova sfida, ricostituendo con Ducasse un binomio sinonimo di eccellenza assoluta che già aveva incantato in passato sia a Montecarlo (Le Louis XV – Alain Ducasse à l’Hotel de Paris di Monaco) che a Parigi (Alain Ducasse Paris).

Il doppio turno al ristorante va bene in pizzeria

Dinanzi a queste “buone notizie” viene da pensare che tutto fili liscio ed il rilancio dell’haute cuisine a Roma sia ormai cosa fatta ma in realtà non mancano riflessi chiaro scuri. Tra questi le ombre che porta con sè una nuova tendenza che, a quanto abbiamo appurato, sembra riguardare inaspettatamente anche ristoranti di alto livello. Eh già perché se l’utilizzo del c.d. “doppio turno”, in particolar modo per la cena, ha sempre caratterizzato i ristoranti prettamente turistici (in ottica di massimizzazione del profitto), il successo di tale metodologia nell’ambito gourmet è tutt’altro che scontato.

Insieme al Maitre Chocolatier Giacomo Bellantoni (pluripremiato anche agli ultimi International Chocolate Awards con 34 medaglie di cui 11 ori) abbiamo, infatti, testato vari ristoranti stellati della capitale. Alcuni di essi (che per delicatezza non citiamo) risultano aver effettivamente adottato il famigerato metodo del “double setting”. Ciò con la conseguenza che, ai solitamente esigenti avventori, all’atto della prenotazione, viene richiesto, seppur in modo distinto e cortese, di optare per il primo o per il secondo turno della serata (rispettivamente alle 18,30/19 e alle 21,30/22).

Ora, che l’occasione speciale, l’evento culinario, l’esperienza sensoriale che una cena in un ristorante stellato dovrebbe rappresentare, possano essere compatibili con le restrizioni imposte al cliente da una siffatta metodologia organizzativa, è quantomeno discutibile e fonte di notevoli perplessità.

In primis perché tutto ciò rappresenta un percorso nel gusto attraverso l’arte della cucina che non può certo essere ingabbiato in un tempo massimo predeterminato a prescindere dalla scelta delle pietanze e dei vini, oltre che dalla tipologia dell’evento e dei commensali (cena romantica, business dinner e così via).

Le splendide terrazze romane

Basti pensare poi ad un cliente che sceglie l’alta cucina anche (o soprattutto) per abbinarla ad una location di charme, come ad esempio una delle splendide terrazze top view della capitale; per poi ritrovarsi costretto a scegliere se godere della vista diurna “o” (e non “e”) di quella notturna, essendogli precluso di transitare dall’una all’altra, pasteggiando alle luci del tramonto.

Una contraddizione che non può che suscitare una sensazione di spreco o meglio un non senso (visto che siamo in un campo dove le sensazioni sono tutto), nonostante peraltro l’esborso di cifre che, per una singola cena, sono spesso equivalenti al costo di un’intera vacanza.

Ebbene, mentre la perplessità per questa nuova tendenza ci invade, in attesa di trasformarsi in qualcos’altro, abbiamo cercato degli spunti tra gli esperti del settore. Lo abbiamo fatto selezionando appositamente il commento di alcuni protagonisti nell’ambito della cucina gourmet ma anche del servizio e della gestione economica finanziaria di tale tipologia di ristoranti.

Il miglior maitre del mondo

Cominciando da una guest star del settore già citata in apertura, la chiacchierata con Umberto Giraudo (raggiunto telefonicamente a Napoli dove sta lavorando al suo nuovo progetto) ci conforta quando, a domanda diretta sul tema, risponde: “non si può a questo livello, per ragioni di gestione di un ristorante, imporre degli orari e delle restrizioni al cliente”.

Poi ci regala, nello stesso tempo, spunti di riflessione interessanti raccontandoci che: “io stesso , molti anni fa, sono stato tra i primi ad utilizzare un certo tipo di “double setting (n.d.r: in realtà Umberto ci risulta essere stato il primo in assoluto ma la sua innata eleganza gli vieta di dirlo). Dipende, però, come lo si fa: la capacità di un buon maitre semmai è quella di saper invogliare determinate prenotazioni, magari sul presto o comunque di spalmarle nell’arco della serata o del pranzo, in modo da non accentrare tutti gli arrivi nell’orario clou, per non mettere in difficoltà la cucina o il servizio stesso; altra cosa è, invece, imporre degli orari che, nell’alta cucina, non sarebbe rispettoso per il cliente”.

Quando poi gli chiediamo di più, quello che è uno dei Maestri dell’arte del servizio ci risponde precisando: “quando si lavora per creare delle opere d’arte non si può pretendere che tale creazione venga apprezzata in pochi minuti… nell’alta ristorazione si devono abbinare tutti quegli elementi che costruiscono quell’atmosfera di piacere e di orgoglio dove i piatti non sono soltanto il risultato di alta gastronomia ed altissima qualità delle materie prime ma vanno oltre, regalando un’esperienza frutto della maestria dell’arte dell’accoglienza e della cucina; tutto questo non è compatibile con degli orari e delle tempistiche predeterminate”.

L’anima di un ristorante

Gli fa eco Giovanni Maniaci, executive chef dell’Alma Restaurant di Igea Marina (ristorante gourmet aperto da poco più di un anno che sembra avere tutte le carte in regola per puntare alla stella michelin); Giovanni premette: “è normale che chi vive solo di ristorazione faccia fatica, le spese sono tante, specie per i locali che devono pagare un affitto”; poi, però, aggiunge: “noi all’Alma, però, abbiamo scelto di limitare i coperti serali a 22 perché, a mio avviso, se si limita a 2 ore / 2 ore e mezza il tempo a disposizione del cliente, lo stesso finisce per sentirsi “spinto”, per non dire “cacciato fuori”; questo rischia di vanificare il grande lavoro di qualità che c’è dietro questo tipo di cucina

Non contenti, poiché nel tema in esame non è secondario l’aspetto economico – organizzativo, abbiamo pensato di confrontarci anche con due figure fondamentali che attengono al profilo prettamente “gestionale”. In primis un super esperto del settore luxury, Juan Miquel, attuale General Manager del “Ghirlandaio” (struttura extra lusso appena fuori Firenze) e già General Manager del Castello Banfi a Montalcino.

Juan, sembra porsi sulla stessa linea: non è accettabile che io debba andare a cena d’estate alle 19 perché dopo arriva il secondo turno, va bene per mangiare una pizza ma per un ristorante stellato a mio avviso è inconcepibile con la nostra cultura”; per poi proseguire: “è vero che, se come spesso capita, siamo destinati ad andare dietro a quanto accade negli Stati Uniti o nel Nord Europa, penso che in un futuro non troppo lontano ci sia la possibilità di vedere queste cose anche alle nostre latitudini; mantenere un ristorante stellato, infatti, è molto difficile e con il doppio turno ovviamente si riesce ad innalzare sensibilmente il fatturato”.

Juan Miquel, il gentiluomo dell’accoglienza

Poi, da General Manager, pone l’accento sul tema più ampio della formazione: “putroppo il servizio in generale dell’hospitality 5 ma anche 4 stelle e dei ristoranti di un certo livello (non solo quelli stellati), è ormai un pò troppo standardizzato; il problema del doppio turno andrebbe inquadrato in un contesto più globale, perché non si trova il personale qualificato e quando lo si trova non si ha il tempo per formarlo. E’ quindi necessario ripensare la formazione che è fondamentale per fare in modo che ci siano nuovi ragazzi veramente interessati a svolgere questo mestiere perchè ad oggi sono sempre meno”.

Juan, infine, conclude: “in ogni modo, a mio avviso, se un ristorante, con tanto impegno e fatica, conquista la stella con 26 coperti (n.d.r.: il riferimento non è casuale, avendo gestito per oltre dieci anni la struttura che ospita La sala dei Grappoli, una stella michelin), quando lo chef si trova a doverne fare 52 è chiaro che non potrà più essere una cucina stellata, perché, salvo miracoli, il livello si abbassa inevitabilmente”.

Da ultimo registriamo l’opinione di Fiorella D’Agnano co-titolare della scuola di cucina “A tavola con lo chef” (la più storica ed apprezzata della capitale). Alla domanda diretta sul tema, Fiorella sembra non escludere del tutto la possibilità di un doppio turno, purché applicato “in maniera moderata”.

A tavola con lo chef senza doppi turni

Poiché questa prospettiva ci sorprende e ci stimola al tempo stesso, le chiediamo di spiegarci in cosa potrebbe consistere questa formula per capire se in concreto possa essere davvero compatibile con quell’esclusività del tavolo che, almeno a nostro avviso, dovrebbe essere imprescindibile in un ristorante fine dining.

Lei allora entra nel dettaglio e ci spiega la sua idea: “è necessario che il locale sia in grado di fornire un’alternativa valida che consenta di far fronte con eleganza ad un eventuale ritardo del c.d. primo turno”; quando poi le chiediamo come sia possibile in concreto, aggiunge: “attraverso la rotazione di una parte dei tavoli (tutti sarebbe impossibile) che diventerebbero dei jolly e, insieme alla capacità organizzativa ed anche di improvvisazione del responsabile di sala (ed ovviamente della cucina), potrebbero assicurare un numero di coperti maggiori, senza far emergere alcuna pressione sui clienti”.

Ecco, a nostro avviso il punto è proprio questo ma vogliamo un’ulteriore conferma, stiamo forse parlando di una metodologia di organizzazione esclusivamente “interna” che deve rimanere ignota al cliente ? E Fiorella, senza mezzi termini, ribadisce: “assolutamente sì, non si può imporre né prospettare alcuna limitazione al cliente della cucina gourmet, a maggior ragione all’atto della prenotazione”.

Dovendo tirare le somme su di una simile panoramica di pareri, seppur sintetica comunque ampia e diversificata in base alle diverse angolazioni di prospettiva che si possono avere sulla tematica, possiamo concludere che il connubio “turni e stelle” francamente non convince; la metodologia del doppio turno vero e proprio, infatti (cioè quello che, fin dalla prenotazione, impone una scelta temporale limitativa), a nostro avviso è – e resterà sempre – incompatibile con quel carattere di “eccezionalità” dell’esperienza sensoriale gastronomica e con quello di “esclusività” della fruizione di una special location.

Ristoranti con la stella, un’esperienza senza barriere

Cioè, inutile nasconderci, le due principali ragioni per cui un cliente, anche internazionale, si rivolge ad un ristorante stellato o comunque di alto livello.

Certo, bisogna pur tenere in considerazione le esigenze prettamente imprenditoriali perché, come è stato detto, mantenere in attivo un ristorante stellato non è né facile, né scontato. La domanda che, però, dovrebbero forse porsi i patron di questi locali è se quell’aumento di fatturato, probabilmente assicurato nell’immediato (perché in un primo momento il cliente impaziente tende ad “accontentarsi”, come abbiamo fatto noi, viste le liste d’attesa per i ristoranti con special locations), non possa poi rivelarsi un boomerang.

Possa cioè tradursi, alla lunga, in una dequalificazione del ristorante che perderebbe quel prestigio che, nel circuito dell’haute cuisine, di tal fatturato, costituisce in realtà il presupposto indefettibile.

Ai posteri, o forse dovremmo dire ai pasti (gourmet), l’ardua sentenza…

Marco Tocci