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L’amaro gioco della sorte: Ovidio e la condizione dell’esilio

In quell’epoca, la poesia latina brilla di una lucentezza ellenica…

calendario romano, calendario dell'antica roma

Calendario romano (Mosaico calendario)


Ovidio nacque un anno dopo la morte di Giulio Cesare, nel 43 a. C., e morì tre anni dopo la morte di Augusto, nel 17 d. C.. Più giovane di una generazione rispetto a Virgilio e Orazio, ebbe ben altra sorte rispetto a quella dei suoi illustri contemporanei. Poiché se è possibile dire che, in quell’epoca, la poesia latina brilla di una lucentezza ellenica.

Altrettanto è possibile aggiungere che, mentre Virgilio e Orazio vissero sotto la benevola protezione del princeps, cui si deve il merito, ad esempio, di aver salvato l’“Eneide” dalle fiamme cui Virgilio avrebbe voluto destinarla. Ovidio dovette, invece, assaporare la durezza di Augusto, e della consorte Livia, e l’amarezza dell’esilio. 

Tra passato e futuro

Probabilmente, Ovidio fu il più libero tra i suoi grandi contemporanei. Non a caso, al pari dell'”Anabasi” di Senofonte e, soprattutto, dell'”Orlando furioso” di Ariosto, le “Metamorfosi” di Ovidio – il suo grande poema mitologico – catturarono l’attenzione di Italo Calvino. Motivo in più, per renderlo di grande interesse anche per noi.

Poiché una grande intuizione della filosofia contemporanea, di grandi pensatori come Nietzsche e Heidegger, di grandi studiosi e intellettuali come Simone Weil, Giorgio Colli ed Emanuele Severino, è che la grande cultura antica ha ancora una straordinaria capacità di illuminare le problematiche fondamentali dell’umanità della nostra epoca.

Se, poi, le grandi menti appena nominate, convergevano in un interesse quasi esclusivo verso l’antichissima Sapienza dei Presocratici, i primi filosofi greci che precedettero l’epoca classica della filosofia antica, quella ateniese dominata da Socrate, Platone e Aristotele.

Un’operazione simile è possibile tentare per filosofi e poeti di fasi successive della cultura antica. Poiché il grande umanesimo si trova appunto qui. A partire da personaggi come Senofonte, contemporaneo di Platone. Proseguendo con Cicerone, coetaneo di Cesare. Per arrivare ad un grande intellettuale greco come Plutarco e a Marco Aurelio, imperatore e ultimo grande rappresentante dello stoicismo antico. E come dimenticare, allora, la poesia?

Non solo Omero, Esiodo e l’antichissima lirica greca. Non solo i grandi tragici greci, Eschilo, Sofocle ed Euripide. Non solo Aristofane, il grande commediografo dell’Atene classica che fu la coscienza critica della sua epoca – vide “chiaro nella crisi”, senza però riuscire più ad esprimersi, è il giudizio di Giorgio Colli su di lui, nel suo primo libro – ma anche i grandi poeti classici latini. Innanzitutto quel Lucrezio, che aveva attirato l’attenzione del giovane Niccolò Machiavelli. Poi gli stessi Virgilio, Orazio e, appunto, Ovidio.

Le corone latine

Poiché la filologia – la disciplina che si occupa della ricostruzione dei testi classici, della loro traduzione e della loro interpretazione – procede di pari passo allo sviluppo di tutte le discipline del sapere. Per quanto concerne le iniziative rivolte ad un grande pubblico, relativamente a Virgilio e Orazio, meritano di essere segnalati due lavori.

In primo luogo, la nuova traduzione dell'”Eneide” di Virgilio, a cura di Alessandro Fo e Filomena Giannotti (Einaudi, 2012). Lavoro vasto, complesso, profondo. Tanto per ciò che concerne la cura letteraria del testo, che per quanto concerne gli aspetti legati all’interpretazione e al commento.In secondo luogo, l’edizione delle “Odi ed Epodi” di Orazio, curata da Enzo Mandruzzato per Bur, con introduzione di Alfonso Traina.

Mandruzzato si è segnalato come un’eccezionale figura di studioso e traduttore. Tra le altre cose, per il Pindaro integrale curato per Bompiani e per l’edizione completa delle liriche di Hölderlin uscita per Adelphi. A fare da pendant a questi lavori, abbiamo uno splendido libro come “I dèmoni, undici confessioni apocrife” (Il Poligrafo, 2006). Opera che meriterebbe ben altro risalto nel panorama culturale contemporaneo e in cui trova spazio anche il suo Orazio.

Il prezzo della leggerezza

Tra questi lavori, merita certamente una menzione e una riflessione anche l’edizione dei “Fasti” di Ovidio per Bur, a cura di Luca Canali e Marco Fucecchi. Racconta Luca Canali – figura di studioso e filologo tormentata e affascinante – nella sua breve ma densa nota introduttiva all’opera, che le ragioni dell’esilio di Ovidio sono a noi sconosciute. Ciò che sappiamo è che si trattò di errore non di culpa.

Interrogandosi su quale fosse la causa di questo che rimane un fatto di importanza primaria nella storia della letteratura occidentale ed europea, Canali fa una considerazione di carattere generale e un rilievo di tipo maggiormente filologico.

Ossia, innanzitutto che, anche quando si accinge alla composizione delle grandi opere della maturità, “Le metamorfosi” e i “Fasti”, l’abito serio, che era quello apprezzato da Augusto e da Livia, andava ad Ovidio troppo stretto. L’altro rilievo è che l’impertinenza di Ovidio era talmente connaturata al suo stile di scrittura da fargli scappare l’affermazione, nel I libro dei “Fasti”, che Livia sarebbe stata bene nel letto di Giove.

Che era proprio ciò che Augusto non poteva permettere e che Livia non apprezzava. Certo, i più seriosi e tragici, nonché allineati, Virgilio e Orazio, non avrebbero mai scherzato in questo modo col princeps. La reazione fu tale, da rendere Ovidio e Dante compagni nell’amara sorte dell’esilio.Poi bisognerà aspettare Iosif Brodskij, poeta russo contemporaneo, esule dall’Unione Sovietica nel 1972, autore di un magnifico testo come “Dall’esilio” (1987, ed. it. Adelphi), per sapere cosa significhi un’esperienza tanto radicale e dolorosa nella vita di un grande poeta.

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