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Uno spioncino sulla Storia: i romanzi di Robert Graves tra mito e poesia

Un caso particolarmente riuscito di romanzo storico è l’opera di Robert Graves

Robert Graves

Robert Graves

Robert Graves e la Storia. La dimensione della storia riveste una posizione di straordinaria centralità in ogni cultura umana, particolarmente in quella occidentale. Tanto centrale da investire, più o meno, tutto: si danno la storia della letteratura, quella della filosofia, della musica, dell’arte, della scienza, del cinema.

Non solo, ma essa è anche oggetto di una branca filosofica specifica, la Filosofia della storia, che raggiunse il suo culmine nel pensiero di Hegel.

Un luogo di confine

Analogamente, la storia è l’oggetto di una specifica forma di romanzo, ossia il romanzo storico. Il problema di questa particolare forma della narrativa europea, risiede nel fatto di essere particolarmente sfruttata sotto il profilo industriale e commerciale.

Ragion per cui si fatica un po’ ad estrapolare, dalla massa di libri proposti, gli autori di qualità. Un caso particolarmente riuscito è quello di Robert Graves. Certamente un protagonista indiscusso della cultura novecentesca.

Robert Graves, la classe è classe

Di nazionalità anglosassone, scelse l’isola di Maiorca in età adulta, per dedicarsi completamente alla letteratura. Poeta e grande studioso del mito, aveva il dono di possedere sulle dita, senza grande sforzo apparente, tutti i fili della cultura tradizionale dell’Occidente europeo.

Così mise a segno un capolavoro come “Io, Claudio” (1934, ed. it. Corbaccio), dove la personalità dell’imperatore della dinastia giulio-claudia emerge con garbo, nelle complicate lotte di potere del tempo.

A esso seguì una rivisitazione del mito degli Argonauti, “Il Vello d’Oro” (1944, ed. it. Longanesi), che vede come protagonisti Giasone e Medea. La chiave ironico-umoristica scelta dall’autore, nulla toglie allo splendore ellenico proprio della materia trattata. Infine, abbiamo un libro complesso e profondo come “Io, Gesù” (1946, trad. it. Longanesi).

Il cui titolo originale è però “King Jesus”: evidente dunque l’intenzione della traduzione italiana di avvicinarlo al libro su Claudio. Si tratta di un ritratto eterodosso, e libero da ogni ipoteca confessionale, del fondatore del cristianesimo.

La sfida della complessità

Non è, dunque, un compito facile quello di avvicinare i lettori al passato e alla tradizione, attraverso la lectio facilior del romanzo storico. Si rischia, sempre, di indurre alla confusione piuttosto che alla chiarezza, in nome dell’esigenza, pure importante, della leggerezza.

A Robert Graves l’impresa riuscì perché la grande tradizione europea e mediterranea era parte del suo sangue, del suo respiro, della sua anima. Ossia, qualcosa di profondamente umanistico connotava il suo lavoro. L’ironia che era garbo e senso profondo della civiltà.

La conoscenza profonda e non occasionale dei testi della tradizione. La coscienza di come le antiche storie siano tutt’uno con i luoghi e con la natura del Mediterraneo, senza di cui sarebbero inimmaginabili e incomprensibili…

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