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Una Donna, Sibilla Aleramo

Il Sabato Lib(e)ro di Livia Filippi

"La mia fanciullezza fu libera e gagliarda".

Così Sibilla Aleramo, la scrittrice incapace di scrivere altro che di sé, inizia il romanzo autobiografico Una donna.

Nei primi capitoli racconta della sua adolescenza libera e trionfante, e del padre che dirige una fabbrica, da lei adorato per il temperamento di fuoco e gli ideali che le trasmette di forza e indipendenza nei quali egli crede. La madre è una donna sopraffatta dal carattere autoritario del marito, piuttosto rassegnata a lui e profondamente infelice, ha una malattia mentale che presto la porterà in manicomio.

A lungo andare, la ancora ragazzina scopre che il padre ha una relazione extraconiugale, ed ecco che quell’esemplare di cui lei aveva una grande considerazione, si trasforma in un uomo debole e colpevole che non riuscirà mai a perdonare.

Ma il primo vero trauma della sua vita giunge quando è vittima di una violenza sessuale da parte di un giovane impiegato della fabbrica, con il quale si sposa appena sedicenne, diventando preda della logica del matrimonio combinato: di qui nasce quella che lei stessa definisce "La tragedia silenziosa di una sposa infelice".

La protagonista del romanzo in questa infelicità coniugale compie una vera e propria trasformazione interiore, a cambiare il suo destino è la nascita del figlio. E’ una donna tipo dell’Italia di provincia, di primo Novecento, ma con una peculiarità: quella di non riuscire a ricoprire il ruolo che la società le impone, incapace di rimanere rilegata ad un’esistenza sottomessa al marito e all’ambiente circostante. Quando la disperazione dovuta ai maltrattamenti del marito, arriva al suo apice, tenta il suicidio. Il tentativo fallisce, il grido dell’anima ribelle, ancor prima d’essere femminista, scandisce l’inizio di una nuova era in cui muore la donna sottomessa e nasce una donna con una nuova vita, rivolta strettamente a se stessa.

"Io ho dinanzi a me il futuro, anche se voi non lo credete"

Si riesce ad allontanare dal marito, ha relazioni con altri uomini tra cui Giovanni Cena e il poeta Dino Campana. Trova un nuovo conforto nel rinato amore per la scrittura e la letteratura, quest’ultima le fa credere di vedere dei miti, che in realtà incarna. Bisogna avere un mito, le aveva detto il suo amico Cesare Pavese; "Soltanto chi ha un mito a cui credere vive una vita degna d’essere vissuta".

Dopo un doloroso percorso interiore, decide di abbandonare la casa e il figlio, l’unico grande amore della sua vita, al quale è dedicato il libro, perché questo è l’unico modo per liberarsi definitivamente dal marito violento e maschilista e dedicarsi al lavoro di scrittrice. Il pensiero della madre, che ha sacrificato ai figli e ad un uomo-padrone la sua esistenza infelice, l'aiuta a ripercorrere un cammino difficile ma necessario di rigenerazione.

L'avvio di una collaborazione giornalistica con una rivista femminile, la rende maggiormente cosciente che una donna deve poter esprimere anche al di fuori della famiglia la sua identità, e conquistarsi una vita indipendente. Si trasferisce per un periodo a Roma, dove inizia a scrivere per una rivista che però non le permette di firmare gli articoli con il suo nome; sono gli anni in cui scrive Una donna, romanzo in cui l’autrice si firma per la prima volta con il nome di Sibilla Aleramo.

Nel 1906 viene pubblicato il romanzo che ha un’immediata fortuna, soprattutto per il tema affrontato. Si tratta infatti di uno dei primi libri femministi della letteratura italiana del secolo scorso. Nel senso più profondo è un’approfondita storia della maturazione della coscienza di una donna, che si ribella contro un’ingiusta disuguaglianza costruita a partire dal sesso, trovando la forza e il coraggio di vivere una vita diversa da quella della madre.

Una donna la cui storia non finisce con il libro, poiché il suo spirito femminista è stato la leva che ha rigenerato il nostro vecchio mondo.

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