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Cronache dalla Siria, parola ai volontari partiti da Roma

Testimonianze dalla Solidarity Mission 2014 di Solidarité Identités

La Solidarity Mission 2014 di Solidarité Identités è salpata dalle nostre coste ormai da una settimana. A sette giorni di distanza dall'inizio di questa avventura di solidarietà in Siria, direttamente da Damasco, le dichiarazioni dei 'volontari europei' ci permetteranno di cogliere la fisionomia di una città ancora sotto assedio, vista con gli occhi di un gruppo di giovani cooperanti.

Rebecca, 25 anni, Roma. "Ansia, preoccupazione, gioia e perplessità hanno accompagnato le mie notti prima della partenza per la Siria, un impasto di emozioni difficile da spiegare a parole. Quello che mi resta facile comunicare, invece, è lo stupore che ho provato in seguito al nostro arrivo. Una volta arrivata quaggiù sono stata accolta a braccia aperte, da una popolazione ospitale e calorosa, malgrado il momento di difficoltà che sta attraversano il Paese". 

Simone, 35 anni, Roma. "Nulla assomiglia ad un mosaico più della città di Damasco, questa città è l'insieme di realtà tra loro tanto diverse, quanto complementari. Colori, odori, suoni fanno da ponte tra modernità e storia, come accade nella Capitale damascena, dove secoli di testimonianze affiancano i simboli più diffusi del consumismo. Nel suq principale, ad esempio, si possono trovare una gran varietà di prodotti: spezie e antiquariato, come pantaloncini di jeans e cover sgargianti per telefoni di ultimissima generazione. Queste incongruenze ti accompagnano in ogni angolo di via, eppure la città mantiene viva l'atmosfera romantica raccontata dai romanzi o nei film, impressa nella mente dei viaggiatori di tutto il mondo. L'auspicio è quello che il fascino incantato della perla del Levante resti intatto". 

Davide, 26 anni, Milano. "Credevo che la popolazione di Damasco fosse spaventata e che nella Capitale avrei respirato un clima di terrore. Invece non è stato così. Grazie all'efficienza dei controlli di sicurezza, e alla presenza di un check-point ogni dieci passi, la vita di Damasco scorre tranquilla. E così la cittadinanza sembra non far più nemmeno caso ai colpi di mortaio che echeggiano oltre il monte Kassiun". 

Enrico, 25 anni, Roma. "I giovani miliziani siriani e i soldati che proteggono la città di Damasco mi hanno incredibilmente affascinato. In Occidente non siamo abituati a vedere così tanti ragazzi disposti a perder tutto per difendere la sovranità nazionale. Qui invece ogni famiglia aspetta il ritorno di un figlio, oppure lo piange come martire. Sono sicuro che questa esperienza mi segnerà nel profondo". 
 

Saverio, 30 anni, Firenze. "Ho scelto da due anni di sostenere la Siria perché ritengo che qui si combatta non solo una guerra economica o religiosa, ma anche una guerra di civiltà. A difesa di questo modello di civiltà ho partecipato a decine e decine di iniziative e, adesso, sono arrivato fino a Damasco con Solidarité Identités. Sono qui per aiutare concretamente questa gente ma anche per raccontare all'Italia che la verità non è quella che legge sui giornali. Questa esperienza mi ha consegnato un popolo fiero, libero, consapevole. Un popolo che che vuole trasmettere, all'Occidente, un messaggio di pace politica e, all'Oriente, un messaggio di pace religiosa". 

Guido Bruno, 26 anni, Lecce. "Le nostre giornate qui a Damasco sono molto intense. Tra tanti incontri istituzionali affrontati, quello con il Gran Muftì ha avuto l'impatto più forte, spiritualmente e emotivamente. Ho anche apprezzato la dialettica lucida e diretta usata dal vice ministro degli Affari Esteri. Il ministro non è il solo rappresentante della classe politica siriana ad aver dato prova di carattere in un momento così duro. Nulla a che vedere con l'impreparazione dei politici nostrani, che si perdono puntualmente in dichiarazioni politicamente corrette".
 

Alberto, 26 anni, Roma. "Damasco nella mia testa è già una fotografia. Il massimo è aspettare il tardo pomeriggio, i vecchi mettono il narghilè sulla soglia delle loro botteghe. Si siedono, su sedie di paglia e scrutano il mondo dentro nuvole di fumo. Il sole si poggia sul monte Kassiun. L'artiglieria sulla vetta tace. Al check-point il miliziano di guardia si intrattiene con una giovane ragazza dal volto incastonato nel chador, con la scusa dei documenti le sfiora le mani. Un bambino con la faccia sporca vuole vendere una tazza del suo caffè, se ne va spingendo il carretto mentre il muazim canta che Dio è grande". 

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