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Corrias, strafalcioni e banalità dell’ubiquitario Aldo Cazzullo

Tutto quello che molti di voi hanno sempre pensato su Cazzullo, ma che solo Gianmatteo Corrias ha avuto – finalmente – il coraggio di dire. Abbiamo chiesto al filologo, latinista e storico delle religioni sardo di concedere la versione scritta del suo caustico video-ritratto del giornalista albese pubblicato sul canale Kafenio. Dovrebbe essere solo il primo di una serie di opportune “ricollocazioni” di alcuni dei presunti intellettuali che spopolano sulle tv generaliste ammannendo banalità, buonismo e conformismo woke

Corrias commenta Aldo Cazzullo

Corrias commenta Aldo Cazzullo

Fenomenologia di Aldo Cazzullo

di Gian Matteo Corrias

Quella di Aldo Cazzullo è una delle presenze più onnipervasive sulla scena della comunicazione di massa. Firma di punta del Corriere della Sera, ospite ubiquo dei programmi di infotainment, dei festival letterari e degli incontri culturali i più variegati; saggista incontenibilmente prolifico da due milioni di copie vendute, Aldo Cazzullo si libra sulla scena delle vicende terrene (e ultimamente anche di quelle celesti) concupito e reclamato ovunque a discettare di qualsiasi cosa, e questo soprattutto in virtù della più grande qualità di cui egli è dotato, quella qualità che più di ogni altra è utile e spendibile nell’era in cui la cultura e l’informazione sono ridotte a pura e semplice industria del consenso: la strenua e indefettibile difesa ad oltranza del dato di fatto, dello stereotipo spesso più vieto e qualunquista, della vulgata politicamente corretta. Tutto ciò nel nome del rispetto incondizionato di un catechismo woke che egli mostra di avere perfettamente interiorizzato.

Aldo Cazzullo è il re Mida della comunicazione mediatica: qualunque cosa egli tocchi si trasforma immediatamente in un brodino caldo e rassicurante di sentimenti buoni, giusti e soprattutto accettabili tanto da parte del suo vasto pubblico (quell’«uomo circuito dai mass-media – come scriveva Umberto Eco nella celebre Fenomenologia di Mike Bongiorno – al quale non si chiede mai di diventare se non quello che egli è già»); quanto anche da parte di quell’establishment nel cui tempio la vestale Cazzullo si occupa con infaticabile solerzia di tenere continuamente accesso il sacro fuoco.

Dalla profluviale ed enciclopedica produzione cazzullesca possiamo certamente selezionare più di un esempio del singolare e collaudato metodo dell’arcigiornalista albese; ma è anzitutto utile segnalare il particolarissimo stile che contraddistingue tanto l’espressione orale quanto quella scritta di Aldo Cazzullo: il tono è nenioso e inespressivo, tendente da un lato a un anodino sentimentalismo di maniera, dall’altro a un’oggettività impersonale che sostiene con un’innata anti-enfasi l’enunciazione di sentenze tetragone e ultimative dal sapore vagamente oracolare. La sintassi è elementare, persino rudimentale, nel peggiore stile giornalistico, con enunciati brevi e icastici che non lasciano margine all’esercizio del dubbio o all’alternativa dialettica. Poco importa poi se la nostra “pizia da asporto” impieghi il suo stile impiegatizio da funzionario dell’ufficio sinistri a propalare le banalità più sbalorditive o talora persino gli svarioni più grossolani.

E quindi non potevano mancare ben due volumi, Le donne erediteranno la terra e Le italiane, infarciti – ovviamente – della più trita, qualunquista e melensa ideologia femminista.

Poi nel 2017, col tempismo di una testuggine palustre in gara contro Achille, Aldo Cazzullo pubblica il necessario Metti via quel cellulare. Un papà, due figli. Una rivoluzione, un libro che esce non solo fuori tempo massimo, ma che si riduce di fatto ad un imbarazzante riciclo delle solite, trite e ritrite ovvietà da bradipo digitale sull’infernale era di Internet, ovvietà che ormai non ripetono neppure più i liceali nel tema di attualità. La novità, semmai, è che il libro Cazzullo l’ha scritto con i figli, Francesco e Rossana, a cui egli sente il bisogno di dedicare la patetica sviolinata finale («aver fatto il padre, ed essere vostro padre, è stata e sarà la cosa più importante della vita»), secondo la più grottesca consuetudine impostasi nel mondo dei media, per cui il vip di turno deve per forza spiattellare i fatti suoi, quadretto familiare compreso. È proprio Rossana a un certo punto a rubare al padre il ruolo di vate e a piazzare la morale del libro a pagina 18: «Ormai il cambiamento è avvenuto e non si può tornare indietro, bisogna trovare il modo di adattarsi a questa rivoluzione, traendone il meglio senza lasciarsi sopraffare». Seguono 170 pagine in cui l’autore inanella un morboso martirio di frasi fatte, alla fine delle quali arriva alla stessa – tautologica – conclusione: «La sfida è trovare un equilibrio. Ridurre il telefonino al nostro servizio, anziché ridurre noi stessi al servizio del telefonino». Grazie tante davvero.

Ma evidentemente questo orizzonte rigorosamente sociologistico stava un po’ stretto al nostro Aldo Cazzullo, che ha sentito, ad esempio, nel 2023 l’esigenza di volare alto e di esplorare la storia romana con un libro il cui titolo pone già un imbarazzante problema di carattere culturale: Quando eravamo i padroni del mondo: eravamo chi?; chi è il “noi” del titolo?. Tare ideologiche a parte, il libro è costellato di strafalcioni che non possono passare inosservati, come l’etimologia del sostantivo latino deus stabilita a partire dal greco Zeus (che farebbe impallidire qualsiasi indoeuropeista) o l’affermazione che il regime democratico nacque proprio nella Res publica romana (notoriamente un regime democratico).

Molto approssimativi anche i due saggi dedicati alla Commedia di Dante tra il 2020 e il 2021, A riveder le stelle e Il posto degli uomini. È vero che si tratta di due testi dichiaratamente volti a raccontare la vicenda del viaggio ultramondano del Poeta fiorentino, senza preoccupazioni critiche o intellettuali d’altra natura. E tuttavia è davvero impossibile non notare degli errori (come ad esempio l’attribuzione univoca agli scienziati medievali della convinzione che la Terra fosse piatta o l’attribuzione a Dante – con a seguire un’indigeribile appendice di sbrodolamenti sentimentalistici – del pensiero espresso da Francesca da Rimini quando afferma «Amor, ch’a nullo amato amar perdona») che non solo Cazzullo bellamente commette, ma che incredibilmente sono passati inosservati al vaglio dei correttori di bozze di una delle più illustri case editrici italiane.

Certo, si dirà, è divulgazione per i non specialisti. Però anche qui ci sarebbe molto da ridire, perché Cazzullo sceglie sempre di proporre versioni e interpretazioni di personaggi ed eventi stereotipate, talora erronee, e in taluni casi ormai ampiamente superate da decenni.

Ma Aldo Cazzullo sembra non avere limiti, e vola sempre più in alto, fino ad arrivare nientemeno che alla Bibbia, un libro che – cito da una sua intervista – Cazzullo afferma di «non sapere se sia stato scritto davvero da Dio, ma di sicuro è scritto da Dio!». Così scopriamo che Aldo Cazzullo ha iniziato a scrivere il suo Il Dio dei nostri padri al capezzale del padre, cattolico praticante; che lo ha scritto perché la Bibbia «è una grande storia, un formidabile romanzo. È l’autobiografia di Dio. E al pari di ogni grande opera, parla anche di noi». Confesso di non avere avuto il coraggio di leggere cosa Cazzullo sia riuscito ad ammannire sulla Bibbia; diciamo che squarci come «l’autobiografia di Dio» e «la Bibbia parla di noi» lasciano abbondantemente intravedere lo spirito e il valore culturale dell’operazione, che non sarà dunque diverso dal valore culturale complessivo dell’intero corpus degli Scripta Cazzulli omnia.

Sbaglierebbe tuttavia chi pensasse che la nenia oracolare cazzullesca non si erga mai dalla squallida difesa del dato di fatto alle vibranti frequenze dell’invettiva, dell’animosa manifestazione del giusto sdegno di chi non tollera il male e lo denuncia coraggiosamente. Si prendano ad esempio queste potenti parole, affidate da Aldo Cazzullo al Corriere della Sera all’indomani dell’attentato terroristico di Manchester del 22 maggio 2017: «Dobbiamo attrezzarci per il tempo che ci è dato in sorte, trovare un equilibrio tra le opposte retoriche pacifista e bellicista, considerare l’innocenza un valore, l’avidità e l’indifferenza una colpa. Lo dobbiamo ai bambini di Manchester, ai nostri figli e a noi stessi». Da pelle d’oca.

Memorabili anche le due pagine pubblicate sul Corriere il 1 agosto 2024 nelle quali Cazzullo, evidentemente sconvolto dai disagi affrontati a Parigi durante le olimpiadi dell’anno scorso, imbastisce un’appassionata filippica tipo signore anziano che agita il pugno in aria contro il degrado moderno: un compendio di odio antifrancese, frignate sull’inefficienza dell’organizzazione, gag sulla dissenteria e quant’altro.

Ma dove il coraggio diventa spavalda abnegazione è un breve quanto incredibile pezzo, pubblicato anch’esso sul Corriere il 2 aprile di quest’anno; un pezzo da far strabuzzare gli occhi; un pezzo nel quale, commentando la bufera giudiziaria suscitata contro Marine Le Pen (di fatto un vero e proprio “processo a orologeria”), Aldo Cazzullo ha il coraggio (o la sfacciataggine) di scrivere: «Era abbastanza ingenuo attendersi che l’establishment francese avrebbe consegnato il Paese, o la Nazione se preferite, a Marine Le Pen. Una presidenza Le Pen significherebbe smontare tutta l’impalcatura europea costruita negli ultimi cinquant’anni, rinunciare al rapporto privilegiato con la Germania che era già un’idea di de Gaulle – i francesi hanno l’atomica e il seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, i tedeschi la forza economica –, avvicinarsi pericolosamente a Putin».

La gravità di queste parole, candidamente consegnate alla comunicazione mediatica, sta da un lato nell’idea di stato che le sottende, uno stato inteso come proprietà di qualcuno (alla faccia della rivoluzione francese, di Montesquieu e di tutta la dottrina politica moderna di cui lo stesso Cazzullo e consimili marcantoni si ergono ad alfieri ad ogni piè sospinto), e dall’altro nella disarmante improntitudine con la quale si ammette – come se fosse la cosa più naturale del mondo – l’oggetto delle più contestate, dileggiate e contrastate teorie bollate di complottismo, e cioè l’esistenza, al di sotto della facciata democratica e partecipativa delle liberaldemocrazie occidentali, di un potere occulto e supremo, di un deep state, di un establishment (come scrive Cazzullo) che, qualsiasi cosa avvenga sul palcoscenico democratico dal quale apparentemente dipendono le sorti di uno stato, agisce sempre e comunque secondo la propria logica e per il proprio vantaggio.

Comprensibilmente, le reazioni a una simile oltranza – l’oltranza di chi è certo di trovarsi dalla parte più sicura e vantaggiosa – non si sono fatte attendere. Ma tant’è: Aldo Cazzullo sta lì, dove sa di dover stare. E continua a imbambolare la massa di quegli «armenti che usurpano il nome di uomini» (per citare Vittorio Alfieri) spargendo sentenze vacue su qualsiasi cosa, celebrando l’ovvio, difendendo l’ordine costituito delle cose e quell’egemonia dell’establishment per proteggere la quale, all’occorrenza, ha mostrato di avere il coraggio di esporsi anche oltre i limiti della prudenza e del decoro.

Come avrebbe detto il Dio dei nostri padri: «Va’, servo buono e fedele: sei stato fedele nel poco, e avrai autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone».

Qui il video-ritratto di Corrias su Aldo Cazzullo