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Umanesimo e dintorni, l’origine è la metà

“Minima Moralia” può essere considerata tra le opere più complete e rappresentative di un secolo drammatico come il Novecento

Il genio filosofico di Theodor W. Adorno ha pochi rivali quanto a profondità delle concezioni e dello stile. Più di Horkheimer, Marcuse e Habermas, e al pari di Benjamin, egli fu il vero maestro di quella Scuola di Francoforte, che nel ’68 infiammò le coscienze giovanili di tutto il mondo. Fragoroso e potente come un temporale estivo, egli fu un critico implacabile di quella civiltà cristiano-borghese che, proprio sotto i suoi occhi, esalò l’ultimo respiro ad Auschwitz.

Per primo comprese la lezione di Walter Benjamin e se ne appropriò fino in fondo. Fu il consigliere segreto di Thomas Mann durante la composizione del “Doktor Faustus”, romanzo in cui si deduce il destino tedesco dall’evoluzione della sua musica.

Con Horkheimer compose, nel 1947, la “Dialettica dell’illuminismo”, libro in cui la critica del capitalismo e della cultura di massa, sono ampliate fino a comprendere l’illuminismo, inteso non come il movimento culturale dei lumi, ma come la caratteristica di fondo dell’intera cultura occidentale.

“Il mito è già illuminismo, e l’illuminismo torna a rovesciarsi in mitologia” (ed. it. Einaudi, p. 8), suona la tesi, ormai classica, di quest’opera ed Odisseo vi figura come il primo borghese della storia.

Agli stessi anni risale la sua raccolta di aforismi intitolata “Minima Moralia”, dedicata ad Horkheimer (a conferma della centralità e solidità del loro sodalizio), che senza dubbio può essere considerata tra le opere più complete e rappresentative di un secolo drammatico come il Novecento, stretto tra Auschwitz e la bomba atomica, tra nazismo e stalinismo. Non a caso il sottotitolo di questo grande libro suona: “Meditazioni della vita offesa”.

Adorno fu, dunque, un pensatore dialettico, un seguace di Hegel e Marx, ma senza quel tratto fideistico e dogmatico che, ad esempio in Lukács – cui, nel saggio intitolato “Conciliazione sforzata” contenuto nel II volume di “Note per la letteratura”, Adorno presenta un conto salato – e nel marxismo ufficiale, conduceva al rifiuto di Nietzsche e delle avanguardie.

Con tutto ciò, tra la prima opera sulla dialettica, scritta con Horkheimer, e la seconda, composta da solo, passa quasi un ventennio. La “Dialettica negativa” esce nel 1966, preceduta da altri lavori che ne costituiscono, in qualche modo, delle significative anticipazioni: il libro su Husserl, i “Tre studi su Hegel”, il “Gergo dell’autenticità”.

Negli stessi anni, il lavoro di Adorno al magnum opus, prosegue con una serie di corsi ora pubblicati in tedesco, di cui uno, “Metafisica. Concetto e problemi”, è stato tradotto in italiano, a cura di Stefano Petrucciani, per Einaudi. Esso fu tenuto all’Università di Francoforte nel semestre estivo del 1965.

Il grande interesse di questo corso risiede nel fatto che, in vista della pubblicazione di “Dialettica negativa” – in cui le stesse questioni vengono affrontate a ben altro livello di profondità, radicalità e creatività – Adorno ripercorre tutto il complesso di problemi propri della metafisica europea, mettendo al centro della sua lente teoretica l’opera che rappresenta la quintessenza di questo bimillenario sviluppo: la “Metafisica” di Aristotele.

Tra l’altro non è secondario che il titolo dell’opera di Aristotele abbia dato il nome anche alla cosa: nell’edizione di Andronico dei trattati esoterici di Aristotele, che fu pubblicata nel I secolo a. C., i libri di meta-fisica erano quelli di “Filosofia prima” che seguivano quelli di fisica.

Volendo scegliere una definizione di Adorno per metafisica, diremo allora che essa consiste nel fatto che “l’idea e la sfera noumenica e intelligibile sia più reale di quella empirica”. Questo elemento macroscopico dominerà il pensiero occidentale per più di due millenni.

Decidendo di far ruotare tutta la grande opera del ’66 sul dispositivo ideale del non identico, Adorno non farà che questo: cercare di restituire a ciò che è empirico e reale le ragioni della sua ricchezza, il suo potenziale intatto di conciliazione e di utopia che la volontà di concettualizzare propria della metafisica gli aveva sottratto. Oltre ciò, la filosofia occidentale aspetta ancora di andare.

 

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