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Ucraina: per Trump è solo una pedina sulla scacchiera globale

Il cuore del problema sono i rapporti di forza tra gli Stati Uniti e la Cina e con le potenze emergenti dei Brics

Donald Trump, Iran

È stato l’ennesimo ribaltamento. Che è arrivato nel giro di una giornata, o anche meno, e che ha prontamente smentito quello che poco prima era stato dato per certo.

La versione iniziale era che Washington avesse deciso di interrompere gli aiuti militari a Kiev. Quella rettificata afferma che le forniture continueranno.

L’una cancella l’altra? Non proprio.

Tra le due c’è un dato comune. Che non va affatto sottovalutato e che anzi va inquadrato in una visione più generale: gli USA concederanno quel supporto a patto che non comporti un indebolimento delle proprie riserve di armi e di munizioni. In altri termini, che ci avvicinano alla questione cruciale, a condizione che la difesa dell’Ucraina sia compatibile con gli interessi americani.

Detto in maniera più spiccia, ma niente affatto superficiale, “se ci fa comodo, bene; se ci danneggia, fanculo”.

Questa brutalità – che costituisce la verità sostanziale e costante dietro la retorica dei valori occidentali e della famigerata “esportazione della democrazia” – è in effetti tutt’altro che inedita, nella storia degli USA. Come dimostrano, per citarne solo qualcuno, gli interventi bellici in Vietnam, in Iraq o in Afganistan.

Lo schema si ripete: la “cavalleria” arriva, scatena un pandemonio, si ammanta di grandi ideali e promette sostegno eterno alle fazioni locali che in quel momento sono nelle grazie di Washington. Dopo di che, se le cose non vanno come si desiderava e il saldo tra sforzi e risultati non appare più vantaggioso, con la medesima disinvoltura si abbandona la contesa. Lasciando gli “alleati” nelle peste e rivolgendo altrove la propria attenzione.

Allargare lo sguardo, please

L’Ucraina rientra perfettamente in questa logica. In una fase precedente la si è utilizzata come spina nel fianco della Russia, nell’ambito di quella espansione a est della Nato che voleva sfruttare la dissoluzione dell’URSS. E che nei decenni successivi non ha smesso di farlo, cercando in tutti i modi di incorporare gli Stati dell’Europa orientale fuoriusciti dall’ex blocco sovietico.

Poi, per tanti motivi, gli scenari sono cambiati. L’attrito con Mosca si è trasformato in guerra aperta. Le sanzioni economiche non hanno fermato Putin. La situazione sul campo è diventata sempre più favorevole alle truppe russe. Che, sia pure lentamente, continuano ad avanzare.

Il ritorno di Trump alla Casa Bianca ha reso tutto molto più rapido e palese, anche se non è detto che un’eventuale conferma dei Democrats avrebbe evitato che gli USA riconsiderassero comunque l’appoggio a Zelensky.

La questione cruciale è diventata esplicita: che cosa conviene di più, a Washington? Insistere/ostinarsi a seguire il copione dell’Ucraina incolpevole e aggredita suo malgrado, o viceversa riscriverlo per raggiungere altri scopi?

L’intreccio è amplissimo. E per l’appunto è anche estremamente intricato.

Ma un aspetto essenziale, che a noi europei tende a sfuggire, è che la geopolitica globale va molto oltre questa specifica vicenda.

Mentre per la UE è una priorità, in cui gli interessi concreti si mischiano all’immagine “idealistica” che si vuole dare di sé per farne l’architrave della propria legittimazione politica, per Washington si tratta di un conflitto locale. Che deve essere valutato sulla base di altre e ben più complesse finalità, tra dinamiche planetarie e situazioni territoriali.

Il cuore del problema sono i rapporti di forza con la Cina e con le potenze emergenti dei Brics.

Gli obiettivi sono una miriade, dalle materie prime alla supremazia del dollaro e alle aree di influenza commerciale. Ma per restare nell’ambito degli scontri armati la massima attenzione è oggi riservata al (cosiddetto) Medio Oriente. Dove gli interventi a favore di Israele sono parte di un disegno assai più vasto e ambizioso.

E anche qui, come per la stessa Ucraina, la parola imprescindibile per provare a capire ciò che si prospetta nel medio-lungo periodo è la medesima: strategia.

Motivi etici? Non scherziamo

In linea di principio questo approccio ad ampio raggio è ovvio. All’atto pratico lo è molto meno.

Il sistema mediatico mainstream, infatti, lo sacrifica di continuo sull’altare posticcio delle notizie a getto continuo. Che sono talmente concentrate/appiattite sull’attualità del momento da far dimenticare, ai più, che gli aggiornamenti quotidiani hanno davvero senso solo se si è capaci di inquadrarli in una visione d’insieme.

La definizione-slogan è “informazione in tempo reale”.

Quella corretta dovrebbe essere “distrazione h. 24”.

Se si è sommersi dai dettagli diventa ancora più difficile essere in grado di cogliere le vere direttrici di quanto accade. A maggior ragione quando, vedi l’enfasi sulle vittime civili, i fatti di cronaca vengono drammatizzati in chiave emotiva e asserviti a delle interpretazioni a senso unico che sprofondano nella propaganda.

Nel caso dell’Ucraina, fin dal primo momento, si è data una rappresentazione totalmente sbilanciata a favore di Kiev. Ovvero, e non andrebbe mai dimenticato, del Presidente in carica. Quel Volodymyr Zelensky che si è trasformato in leader politico grazie a una fiction televisiva. E la cui identificazione con la generalità del popolo ucraino è a dir poco discutibile.

Una lettura meno superficiale e faziosa porterebbe a riconoscere che la guerra non scaturisce solo dalle mire espansionistiche di Putin ma, come abbiamo già accennato, da un conflitto strisciante che voleva espandere la Nato sull’onda del crollo dell’Unione Sovietica. Questo, si intende, non fa di Putin un santo, però smonta l’agiografia pro Zelensky.

Rimossa l’aureola fittizia del patriota senza macchia, la sua figura assume contorni ben diversi: quella dell’attore prescelto, con largo anticipo, per svolgere un certo ruolo in una certa messinscena. Che ha avuto il suo regista principale nel governo statunitense e che è proseguita imperterrita fintanto che alla Casa Bianca è rimasto Biden.

L’abbaglio, per chi vi sia incappato in buona fede, è aver creduto che questa direzione semi occulta e di per sé transitoria fosse un’alleanza formale e vincolante, destinata a proseguire per sempre.

Non è così. Gli USA non proteggono nessuno per motivi etici e lo fanno solo e soltanto quando quelle difese di facciata coincidano con il loro tornaconto.

Una verità che bisogna comprendere fino in fondo e stamparsi nella memoria. Senza necessariamente scandalizzarsi, perché non è che altrove ci sia chissà quale purezza di intenti, ma nella piena consapevolezza che è così anche nel “democratico” Occidente con sede centrale a Washington.

Gerardo Valentini – presidente Movimento Cantiere Italia