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Sue Black, la scienziata forense che riconosce i pedofili dalle mani

La scienziata guiderà la sua squadra nella creazione di un sistema d’identificazione che sfrutti l’intelligenza artificiale

Ritratto Sue Black

Una ragazza del Regno Unito, nel 2006, aveva confessato alla madre di aver subito numerosi abusi dal padre, ma lei non le aveva creduto. A quel punto, presa dallo sconforto, una notte decide di riprendere la violenza, grazie a una telecamera nascosta nella stanza. 

Il caso del 2006

Decide di portare il filmato alle autorità. Purtroppo, dal video si vedevano solo le mani dell’aggressore, la Polizia allora si rivolse a Sue Black e alla sua squadra, per riuscire a identificare l’uomo. Inizialmente hanno analizzato le immagini, concentrandosi sulle riprese delle vene delle mani, le nocche, le lentiggini e le cicatrici, in questo modo sono arrivati a confermare che l’aggressore fosse il padre. 

Tale prova è stata ammessa per la prima volta in un tribunale del Regno Unito, cambiando la storia della disciplina. Ecco le parole della studiosa: “Vogliamo far capire che il corpo umano è davvero solo strati su strati di memoria e ricordi incisi nel tempo”. Inoltre, ha dichiarato che “i criminali devono sapere che la scienza è sulle loro tracce”. Nel caso del 2006 l’uomo è stato dichiarato «non colpevole». Quando l’antropologa, sbalordita, ha chiesto il perché del verdetto, la risposta che le è stata data dalla giuria è: “durante la confessione la giovane non ha pianto“. 

Da allora la scienza forense ha fatto numerosi passi in avanti così come le analisi della Black che sono state sempre più volte ammesse nei tribunali. 

L’intervista a El Pais

In un’intervistaEl Pais ha spiegato: “ci sono sempre più crimini virtuali, truffe e abusi sessuali. Nessuno si sognerebbe di filmarsi con una telecamera mentre rapina una banca, ma non i pedofili che invece scattano foto e registrano perché vogliono condividere i loro crimini sulla rete e guadagnare da quei video. La maggior parte di loro è riconoscibile dal dorso delle mani con cui toccano le vittime”.

La storia di Sue Black

Nel 2018, la Black ha inoltre confessato di aver subito abusi da bambina ma non è stato quell’episodio a incidere sulla sua scelta professionale: “Quando ho iniziato a identificare le mani dei pedofili nel 2006 la mia carriera era già consolidata”. La passione per l’anatomia è di famiglia, ereditata dal padre. All’età di 12 anni la Black ha iniziato a lavorare in una macelleria e all’università si è iscritta a Biologia, senza avere le idee chiare su cosa avrebbe voluto diventare fino al secondo anno, quando le è stato chiesto aiuto nel risolvere un caso, lì ha capito il suo destino.

Dopo la fine dell’Università, Sue Black è stata chiamata tre volte in Kosovo per identificare i resti umani delle vittime dei crimini di guerra, riuscendo a riconoscere le vittime dello tsunami del 2004. Altro primato importante l’ha ottenuto diventando l’unica persona al mondo ad aver volato da Verona a Glasgow con due teste umane nel suo bagaglio a mano. In quell’occasione i carabinieri italiani le avevano chiesto aiuto per identificare due vittime di Gianfranco Stevanin, il serial killer noto come il Mostro di Terrazzo.

La scienziata ha raccontato che una parte dell’indagine poteva essere completata solo nella sua base in Scozia: “Abbiamo deciso di mettere ciascuna testa in un sacco bianco sigillato e di trasportarle in due borse di design, così che nessuno avrebbe sospettato di niente”. 

La sovvenzione dell’UE

Recentemente Sue Black e la sua squadra hanno ricevuto una sovvenzione da parte dell’Unione Europea per sviluppare un sistema di identificazione delle mani grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale: “Vorremmo che i computer siano in grado di fare quello che già facciamo noi esperti: vedere una mano e identificarla dalle vene o dalle rughe. In questo modo caricando tutte queste informazioni in un database, dalle impronte digitali alle rughe e le vene, la possibilità che un individuo possa essere confuso con un altro è una su un milione”. 

L’antropologa infine ha dichiarato di aver donato il proprio corpo al dipartimento di anatomia della Lancaster University così che gli studenti possano esercitarsi nella sua dissezione: “in questo modo posso continuare a insegnare per il resto dei miei giorni”. 

Il ritratto di Sue

La National Gallery of Scotland, galleria d’arte di Edimburgo, oggi ospita un ritratto dedicato a Sue intitolato “Uomo non identificato”. La scienziata è ritratta dietro a un lenzuolo verde e il dipinto si riferisce al suo lavoro nell’identificare gli individui dai loro resti.