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Sondaggio Raggi. Per quelli che “i processi non si fanno sui social”

La maggior parte dei lettori ha capito il senso del nostro invito e ha detto la sua. Qualcun altro se l’è presa

Ebbene sì: ci hanno bacchettato. Non in tanti, per fortuna, ma qualcuno sì. Qualcuno che purtroppo non ha capito il senso del nostro invito ai lettori a dire la propria, riguardo al processo a carico di Virginia Raggi. E non avendolo capito (lo sappiamo: può succedere) si è inalberato. Rimbeccandoci con frasi del tipo “i processi li fanno i giudici non i social”, “Non c'è l'opzione: basta perdere tempo con queste cazzate?”, “un sondaggio su un processo? vabbè ve levo solo il mi piace va… vi evito pipponi”.

Potevamo infischiarcene, ovviamente. Ma siccome siamo abituati ad andare al di là del fatterello specifico, cercando invece di afferrare gli spunti che esso offre, prendiamo la palla al balzo e proviamo a chiarire.

Dritti al punto: ma certo che i processi si fanno in tribunale. Tuttavia, dei processi è lecito parlare anche altrove. Ed è altrettanto lecito farlo in diverse maniere e da differenti angolazioni. In questo caso, ci è sembrato interessante sentire la voce dei lettori. E dare loro l’occasione di confrontarsi in uno spazio aperto e non filtrato come Facebook. Mica per attizzare la furia dei “commentatori da tastiera”, ma per sondare il pensiero – e non soltanto gli umori – di chi ci segue più o meno abitualmente. D’altronde, nel lanciare il sondaggio abbiamo usato toni quanto mai pacati e anche per questo confidavamo che non si scatenasse nessun vespaio, come in effetti non si è scatenato.

Chi ci ha rimbrottato, dunque, si è lasciato travolgere dalla fretta. E magari dal fastidio, sacrosanto, per i tanti altri che sono sempre pronti a soffiare sul fuoco delle tifoserie contrapposte. Noi, e la generalità dei nostri articoli sta lì a dimostrarlo, siamo di tutt’altra pasta: non titilliamo in alcun modo i lettori stupidi. Ma ogni tanto, eh già, ci piace coinvolgere quelli intelligenti.

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