Sicurezza sul lavoro: se il linguaggio tradisce il ruolo dei rappresentanti dei lavoratori
Qualche settimana fa a Parma, un volantino della CGIL ha promosso un seminario dedicato ai “Responsabili dei Lavoratori per la Sicurezza”

Quando le parole minano la prevenzione
In un contesto dove la sicurezza nei luoghi di lavoro dovrebbe essere una priorità assoluta, anche un errore terminologico può diventare un segnale di allarme. È accaduto qualche settimana fa a Parma, dove un volantino della CGIL ha promosso un seminario dedicato ai “Responsabili dei Lavoratori per la Sicurezza”. Un termine che, a prima vista, può sembrare neutro. Ma che, se osservato da vicino, rivela una distorsione potenzialmente pericolosa.
Non si tratta di un cavillo formale. In Italia, il RLS – Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza – è una figura prevista dall’articolo 47 del Decreto Legislativo 81/2008. Il suo ruolo è chiaro: rappresentare, segnalare criticità, partecipare ai processi di prevenzione. Non ha responsabilità diretta in caso di incidente, né competenze dirigenziali o di controllo. È eletto dai colleghi, non nominato dall’azienda. Confondere questo ruolo con quello di un “responsabile” significa attribuirgli compiti che non gli competono. E in un’epoca in cui la sicurezza è ancora un fronte fragile, la confusione non è ammissibile.

Il rischio di una pericolosa ambiguità
L’errore nel volantino della CGIL non è solo una svista. È un cortocircuito culturale. Parole come “responsabile” evocano ruoli esecutivi, obblighi giuridici, e in ultima analisi responsabilità in caso di incidente. Chiamare “responsabile” chi è, per legge, un rappresentante, può alterare le percezioni dei lavoratori e dei datori di lavoro. Può generare aspettative sbagliate, o peggio, alimentare l’idea che la sicurezza sia un problema di pochi, delegabile a un singolo soggetto, piuttosto che un processo condiviso e partecipato.
Questo slittamento lessicale rischia anche di avere ripercussioni sul piano legale. In sede giudiziaria, la definizione dei ruoli è essenziale. E attribuire impropriamente la “responsabilità” della sicurezza a una figura priva di poteri e strumenti operativi può creare cortocircuiti nei percorsi di accertamento delle responsabilità vere. In pratica, non si tutela nessuno e si espone tutti.
La legge c’è, ma va conosciuta e applicata
Il rafforzamento del ruolo del RLS è stato sancito anche dalla recente Legge 88/2023, che ha confermato e ampliato le funzioni consultive, informative e partecipative del rappresentante. Tuttavia, le norme non sono sufficienti se non vengono comprese fino in fondo da chi ha il compito di applicarle e divulgarle. I sindacati, in questo senso, hanno una responsabilità ulteriore: quella di formare con precisione, senza ambiguità, e di presidiare il linguaggio con la stessa attenzione con cui si presidiano le condizioni di lavoro.
Le parole, nel campo della prevenzione, sono strumenti operativi. Definire bene i ruoli significa anche costruire un impianto efficace di responsabilità, vigilanza e partecipazione. Non è un dettaglio. È il fondamento della prevenzione. Perché nessuna procedura funziona davvero se chi la applica non sa esattamente chi fa cosa.
La coerenza sindacale come presidio culturale
Un errore su un volantino non è la fine del mondo. Ma se viene da un’organizzazione con una lunga storia nella difesa dei diritti dei lavoratori, allora vale la pena fermarsi a riflettere. Anche perché, nell’attività quotidiana, i sindacati sono spesso il primo punto di riferimento per i lavoratori in materia di salute e sicurezza. Se anche da lì partono messaggi ambigui, si rischia di compromettere la fiducia e l’efficacia stessa delle misure di tutela.
L’autorevolezza si costruisce anche con la precisione. È legittimo sbagliare, ma è doveroso correggersi. Perché la cultura della sicurezza non si basa su slogan o indignazione estemporanea, ma su una pratica rigorosa, coerente, fondata sulla conoscenza delle leggi, dei ruoli e delle responsabilità.
Prevenire è anche questione di chiarezza
Nel 2025, in Italia, si continua a morire troppo spesso sul lavoro. È un dato che resta stabile da troppi anni, nonostante le norme, le ispezioni e le campagne informative. Per questo ogni dettaglio conta. Anche quello che può sembrare una semplice parola sbagliata.
Chiamare un rappresentante “responsabile” non è solo un errore formale. È un modo inconsapevole di scaricare il peso della sicurezza su una figura che dovrebbe invece essere tutelata, ascoltata, valorizzata per il suo ruolo di ponte tra i lavoratori e l’organizzazione.
La prevenzione passa anche dal linguaggio. E ogni volta che si sbaglia parola, si rischia di sbagliare direzione.