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Sì alla dignità dei detenuti ma tuteliamo prima quella dei cittadini

Dovessimo anche aggiungere spese legali e burocratiche ci costerebbe comunque meno rimandare i detenuti stranieri a casa loro che tenerli in cella in Italia

Carcere, prigione

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Su una strada dell’Arkansas, negli Stati Uniti, un furgone della polizia penitenziaria sta trasferendo in carcere alcuni detenuti. Fra questi, sotto mentite spoglie, c’è il nuovo direttore della prigione che prima di sostituire quello uscente si fingerà carcerato per poter osservare dall’interno le storture e le atrocità che in quella prigione vengono commesse.

E’ l’inizio di un film basato su una storia vera, uscito nelle sale cinematografiche nel 1980, dal titolo Brubaker e che vede come protagonista uno straordinario Robert Redford nei panni nel nuovo direttore del carcere di Wakefield.

il film denuncia

E’ un film di denuncia sociale sulle condizioni di sfruttamento, di abusi e di maltrattamenti che i detenuti dell’Arkansas subivano In quegli anni.

Il Penitenziario di Wakefield era un’enorme azienda agricola all’interno della quale, in un utopistico esperimento sociale, i carcerati si autogestivano. Alcuni di loro, chiamati affidabili e armati, gestivano l’ordine mentre gli altri detenuti allevavano bestiame, coltivavano campi, svolgevano lavori di artigianato e di falegnameria.

Con i frutti di questo lavoro interno, il carcere si sarebbe dovuto autosostentare e l’eccesso di produzione venduto all’esterno. Un sistema all’apparenza perfetto che celava tuttavia una serie di situazioni al limite della schiavitù e della tortura che vedevano come protagonisti sia i detenuti che i commercianti della cittadina adiacente , i quali vedevano in quel penitenziario una fonte inesauribile di manodopera a costo zero.

Per motivi politici e burocratici, ma anche a causa della malvagità dell’essere umano ( politici e detenuti ), gli sforzi del direttore Brubaker per riformare in maniera dignitosa quel penitenziario portarono a un nulla di fatto.

L’idea che un detenuto potesse scontare la propria pena imparando un mestiere, ritrovando così una dimensione umana, potendo svolgere dei lavori e delle attività per sé e per gli altri, era un’immagine sicuramente molto più accattivante e dignitosa di quello del carcerato rinchiuso in una cella di pochi metri quadri in una condizione di totale abbrutimento. Ma gli interessi economici e di potere vengono ahimè’ sempre prima.

Il penitenziario di Wakefield venne chiuso pochi anni dopo

Tuttavia non dobbiamo lasciarci trascinare dell’atmosfera romantica che anche un film come Brubaker, per quanto brutale, diretto e per certi aspetti fastidioso come sabbia fra i denti, ci fa percepire. Perché non dobbiamo dimenticare che chi è in prigione ci sta perché ha commesso dei reati che vanno da quelli sì di più lieve entità, nei confronti magari del patrimonio, come la bancarotta o l’evasione fiscale, ma anche a quelli molto più gravi. E non possiamo mettere sullo stesso piano chi ha rapinato una banca senza torcere il capello ad alcuno o ha stampato banconote false e chi invece magari ha stuprato un bambino, ha sgozzato una donna o ha sequestrato, malmenato e seviziato una coppia di anziani per poi svaligiare la loro casa.

Perché prima della dignità del criminale, ammesso che taluni ne abbiano una, occorrerebbe impegnarsi a tutelare quella dei cittadini, vittime reali o potenziali.

La popolazione carceraria italiana ammonta a circa 66.000 detenuti, un terzo dei quali costituito da stranieri.

In cima alla lista ci sono i detenuti per reati contro il patrimonio, seguiti da chi sconta una pena per reati contro la persona. Di seguito, chi soggiorna per reati che riguardano gli stupefacenti. Poi a seguire quelli che occupano una cella per crimini legati alla mafia, reati contro la pubblica amministrazione e contro la persona e così via.

Nelle prigioni italiane circa 22mila immigrati stranieri stanno al fresco per reati come colluttazioni, ferimenti, evasioni dai permessi premio, danneggiamenti di beni, reati contro la persona e il patrimonio, violazioni della normativa sugli stupefacenti etc.

I detenuti in Italia

Ora, già abbiamo 40.000 detenuti nostrani, caserecci, italiani. E’ davvero necessario ospitarne a spese del contribuente altri 20.000 stranieri? Per quale ragione? non ci sono accordi con i paesi di provenienza dei cittadini non italiani che commettono reati nel nostro paese? Per quale motivo lo Stato italiano, più precisamente i cittadini con le proprie tasse, deve mantenere oltre che i criminali connazionali anche quelli d’importazione?

Il governo italiano ha impiegato quasi 40 anni per riuscire ad ottenere l’estradizione e far rientrare nel nostro paese un brigatista rosso prima rifugiatosi in Francia e poi in Brasile, dove ottenne addirittura lo statuto di rifugiato. Ma quando si tratta di rimandare a casa loro detenuti stranieri, non si muove foglia, i paesi d’origine dei criminali non li rivogliono indietro o i detenuti stessi, conoscendo la durezza delle proprie patrie galere, preferiscono rimanere in cella qui da noi.

Vedete, è un po’ come se un bambino invitato alla festa di un compagnuccio di scuola commettesse delle marachelle e il papà del festeggiato, telefonando ai genitori del bimbo monello, si sentisse dire: “Beh, mio figlio ha fatto il discolo a casa vostra. Ha rotto una finestra, ha strappato una tenda e ha gettato dal bancone il gatto, ma è un problema vostro, ve lo tenete voi per un po’ e quando si sarà calmato, ce lo rimandate a casa“.

Le spese per i detenuti

C’è da un lato tutta una serie di problemi politici e burocratici, accordi internazionali, e poi c’è il paradosso rappresentato dal fatto che per rimandare a casa propria un detenuto straniero è necessario, per il trasferimento, il consenso del detenuto stesso perché in base al diritto internazionale non si possono effettuare rimpatri forzati!

Sapete quanta costa al giorno mantenere un detenuto in una prigione italiana? 150 euro. Questo significa che se un cittadino italiano o straniero soggiorna presso il carcere di San Vittore per un periodo di detenzione di tre anni, il costo per lo stato italiano è di circa 165 mila euro. A conti fatti solo per la giornata di oggi, mentre state leggendo quest’articolo, l’Italia spende circa 10 milioni di euro per tenere in cella 66.000 detenuti. Solo per 24 ore. Di cui 3 milioni e 300 mila euro per detenuti stranieri.

Attualmente circa il 30% dei detenuti stranieri in Italia (poco meno di 7mila carcerati) sta scontando una pena tra i cinque e i dieci anni che a conti fatti ci costa mediamente 2 miliardi e mezzo di euro a fine condanna. Spesso ci sentiamo dire che, malgrado vi siano degli accordi internazionali tra paesi, ce li teniamo qui perché rimandarli a casa loro ci costerebbe troppo.

A conti fatti non sembra essere cosi

Divisi per nazionalità, i detenuti stranieri in Italia sono costituiti, in ordine di presenze, da marocchini, rumeni, albanesi, tunisini e nigeriani. Se volessimo rimpatriare i detenuti rumeni o albanesi, i più vicini in linea d’aria, anche facendoli viaggiare in aereo con un biglietto di sola andata in prima classe, ci costerebbe mediamente 9mila euro a detenuto, l’equivalente del costo di un soggiorno in galera di due mesi per un solo carcerato, 4mila euro per rimpatriare un cittadino marocchino o tunisino ( costo individuale di un mese in carcere) e 5mila euro per un biglietto verso la Nigeria. Per non rivederli mai più.

Dovessimo anche aggiungere spese legali e burocratiche ci costerebbe comunque infinitamente meno rimandarli a casa loro che tenerli in cella in Italia.

I più maliziosi penseranno che i paesi d’origine dei criminali detenuti da noi non li rivogliano indietro perché a loro fa più comodo tenerseli al di fuori dei propri confini. E di certo i detenuti stranieri stanno meglio a San Vittore che in un penitenziario nigeriano o albanese.

La polita purtroppo, come spesso accade, a destra o a sinistra, non dà risposte e spiegazioni soddisfacenti. Come sempre gli interessi in ballo a livello internazionale, di natura diplomatica, polita o commerciale che siano, vengono anteposti ai problemi e alle esigenze dei cittadini, quegli stessi cittadini le cui tasse servono per pagare il soggiorno degli ospiti delle nostre patrie galere.