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Strane idee: vietiamo il velo a scuola e permettiamo la costruzione di nuove moschee

Coprire la testa, in particolare i capelli, è un atto molto diffuso in molti paesi del mondo e affonda le proprie radici in tradizione e precetti religiosi

Donna con il velo, Islam, pexels, rdne

Donna con il velo, Islam, pexels, rdne

Se dunque una donna non vuol mettersi il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra. L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo”.

No. Non si tratta di versetti del Corano

Sono piuttosto parole che Paolo di Tarso (San Paolo) scrisse nella Prima lettera ai Corinzi, uno dei testi che compongono il Nuovo Testamento. Anche Maria, madre di Gesù, probabilmente indossava il velo. D’altronde nel I secolo, le donne ebree spesso si coprivano il capo in pubblico, specialmente in occasioni religiose o quando andavano al tempio. Non vi è rappresentazione della Madonna che non la ritragga con l’iconico velo blu.

Il cristianesimo è una sorta di upgrade, di aggiornamento dell’ebraismo, cosi come lo è l’islam nei confronti delle due religioni monoteiste che lo hanno preceduto.

Ebraismo, Cristianesimo e Islam condividono origini comuni quasi tutte da identificare in figure ed eventi descritti nell’Antico Testamento (creazione, profeti, diluvio etc.,) seppure a volte con alcune differenze. Anche indossare il velo è una tradizione comune.

La direttrice della Casa della Divina Misericordia, Suor Daira Rosales, spiega in una recente intervista che per le suore: “Il velo rappresenta la consapevolezza che la mano di Dio è su di noi e ci protegge. Ma soprattutto, coprirsi i capelli è un atto di umiltà. In poche parole, ci sottomettiamo umilmente a Dio, sottomettiamo la nostra volontà, la nostra vanità e mettiamo tutto al Suo servizio. Stiamo offrendo noi stesse a Dio, è come un’oblazione che gli facciamo”.

Il velo, segno di umiltà

Il velo è un segno di umiltà che ricorda ai fedeli che stanno entrando nella Casa di Dio, dove si celebra la Messa e si rende omaggio al Sacro. Proprio come gli uomini si tolgono il cappello, le donne indossano il velo per manifestare la propria sottomissione e il rispetto verso Dio durante la liturgia.

Fino agli anni ’60 era comune, se ci si recava nel sud d’Italia, vedere donne con il capo coperto da un velo nero. Lo facevano anche le nostre nonne quando la domenica mattina andavano a messa.

Quello di coprire la testa, in particolar modo i capelli, è un atto molto diffuso in molti paesi del mondo e affonda le proprie radici in tradizione e precetti religiosi sempre legati al concetto di sottomissione e rispetto verso la divinità. Presso Ebrei, Cristiani, Musulmani, ma anche Indù.

La pratica non coinvolge solo le donne. Gli uomini sikh (comunità etno-religiosa originaria diffusa in India e Pakistan) portano il turbante, un segno distintivo della loro fede e un simbolo di rispetto per Dio. E che dire della kippah, quel piccolo copricapo a forma di cupola che gli ebrei portano sulla testa? Addirittura il Papa indossa uno zuccotto bianco molto simile, i cardinali quello rosso e i vescovi uno di colore viola.

Coprirsi il capo è una pratica religiosa trasversale

Eppure un deputato della Lega ha chiesto al governo di vietare che le bambine musulmane portino il velo a scuola. Anche se il divieto dovesse tradursi in legge, nessuno potrà impedire che le bimbe indossino il hijab in altri contesti, soprattutto privati.

Il punto è che il hijab non è il niqaab, tantomeno il burqa. Il burqa è una sorta di vestito che copre integralmente il corpo della donna, dai piedi alla testa non lasciando scoperto neppure un centimetro di pelle, occhi inclusi.

Il niqab è anch’esso un velo integrale che tutto copre lasciando scoperti solo gli occhi.

Il hijab invece è un velo che copre capelli, orecchie e collo, lasciando visibile l’ovale del viso della donna che lo indossa.

La legge italiana non prevede il divieto del velo per le donne

Infatti, l’articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, vieta l’uso di mezzi che travisino l’identità di una persona in luogo pubblico senza giustificato motivo.

Che ci siano dei focolai di tentativo d’islamizzazione delle scuole italiane è un fatto accertato. Tutelare e conservare le nostre tradizioni è un dovere quantomeno culturale.

Dopodiché dovremmo forse concentrarci su rischi più reali come le assurde abolizioni di certi simboli cristiani (crocefissi, presepi, talune festività) perché qualcuno afferma potrebbero ledere la sensibilità di certi musulmani. A parte il fatto che sarebbe interessante chiedere se davvero si sentano in qualche modo offesi. Dopodiché se dovessimo decidere di vietare alle bambine musulmane di coprirsi i capelli a scuola, allora dovremmo, quantomeno per coerenza, requisire anche le kippah degli studenti ebrei.

E che dire delle donne nere africane presso le quali la moda di indossare parrucche è diffusissima? Sul proprio documento d’identità magari hanno la foto che le ritrae con i capelli cortissimi, ma nella vita quotidiana portano sul capo chiome artificiali.

La libertà di culto

Qui in Marocco, dove vivo, la legge vieta la produzione, la vendita e il porto del burqa. Pochissime donne indossano il niqab, Il hijab invece è molto diffuso così come lo sono le minigonne.

Se poi la questione riguarda la reciprocità della libertà di culto tra il nostro paese e alcuni di fede islamica, allora se ne può discutere. Quantomeno per una questione di principio. In paesi come l’Arabia Saudita, il Brunei, il Pakistan, Corea del Nord, Cina (tanto per citarne alcuni) non si possono costruire chiese e professare in pubblico la fede cristiane con pene che in taluni casi vanno dalla detenzione alla morte.

Eppure qui in Italia non solo consentiamo la costruzione di moschee, ma siamo spesso addirittura disposti a sacrificare espressioni delle nostre radici cristiani in nome di un politicamente corretto che preferisce l’autocastrazione al rischio di offendere la sensibilità altrui.

E’ comprensibile che in un tale clima la voglia di rivalsa sia forte e difficile da mandar giù. Tuttavia, se davvero ci consideriamo un paese democratico, civile, basato su principi liberali, allora forse, con le dovute accortezze e senza eccessi, dovremmo dimostrare che il nostro senso di libertà è più forte di certe provocazioni.