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Shock nel mondo della ginnastica: digiuni forzati e pressioni psicologiche

La storia shock che vede protagonista la Federazione della Ginnastica Inglese e la cosiddetta cultura della paura, nasce dalla denuncia di alcune atlete

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Attraverso il racconto di un documentario della BBC, scopriamo il dramma che si nasconde troppo spesso dietro il mondo dello sport praticato a certi livelli, e non solo. Lo scopriamo e ne rimaniamo in qualche modo basiti, oltre che per la drammaticità della storia, anche per il velo di omertà che lo avvolge. La storia che vede protagonista la Federazione della Ginnastica Inglese e la cosiddetta “cultura della paura”, nasce dalla denuncia di diverse atlete inglesi vittime di soprusi e severe regole alimentari a causa delle quali molte delle stesse sono sprofondate nell’incubo della bulimia, creando un vero e proprio effetto domino che sta evidenziando sempre più casi di forti condizionamenti psicologici attuati nei confronti di atlete e atleti al fine del raggiungimento del risultato.

La cultura della paura, quando lo sport diventa pressione

Tutto questo ci deve ancora una volta far interrogare su quella che dovrebbe essere in verità la vera cultura dello sport. Oggi più che mai il ruolo dello sport assume un’importanza sociale enorme attraverso i suoi modelli e alla capacità di coinvolgere emozionalmente intere masse di appassionati, divenendo così a tutti gli effetti un volano sia sociale che economico. Per questi motivi le risposte che deve fornire debbono inevitabilmente essere decise e sempre più prestazionali.

La continua ricerca di perfezione

Il superamento dei limiti diviene così una costante, come anche la ricerca continua della perfezione del gesto atletico e l’investimento dell’atleta non solo dal punto di vista fisico ma soprattutto mentale. Ecco allora che nella costruzione della performance si inseriscono tutta una serie di figure professionali (allenatori, preparatori atletici, nutrizionisti, mental coach, ecc.) che devono supportare l’atleta verso il raggiungimento dell’obbiettivo. Un obbiettivo purtroppo spostato sempre più in avanti con il conseguente rischio di violare l’atleta come persona pur di raggiungerlo. La storia delle ginnaste inglesi costrette molto spesso a digiuni forzati o a importanti restrizioni alimentari pur di rispondere alle ferree regole del peso, portando le stesse a gravissime ripercussioni sulla salute psicofisica, ne è la più palese dimostrazione.

Ma siamo sicuri che certi comportamenti appartengano solo allo sport di altissimo livello? Oggi purtroppo le aspettative che gli stessi genitori proiettano sui propri figli nelle diverse attività sportive extra scolastiche già in categorie inferiori, vede la necessità di interventi strutturali di professionisti atti alla ricostruzione di un modello culturale della disciplina sportiva. Le pressioni nei confronti della prestazione e del successo ad essa correlato divengono miscele esplosive nel giovane atleta, che ancora investito dal bisogni di condividere un gioco, si ritrova invece a dover rispondere da subito a richieste eccessive da parte degli adulti. Le frustrazioni che ne derivano vedono comportamenti di rifiuto in alcuni casi, o come in altri l’assunzione di comportamenti disfunzionali.

Il ruolo dello psicologo come supporto e aiuto

La richiesta di un agonismo estremo, di una cattiveria sportiva al limite del buonsenso da una parte e il bisogno di non deludere le aspettative che l’adulto crea, divengono un fardello enorme già nella tenera età. Ecco che allora la figura professionale dello psicologo all’interno delle organizzazioni sportive diviene fondamentale e preminente. La gestione delle dinamiche interne alla disciplina sportiva non può non considerare la crescita dell’individuo come essere umano e per tale motivo va salvaguardato da ogni tentativo manipolatorio che il raggiungimento a tutti i costi del successo sportivo può suggerire.

Le federazioni devono rispondere concretamente a tale esigenza, inquadrando obbligatoriamente all’interno delle società sportive la figura dello psicologo, il quale attraverso l’uso di strumenti di gruppo e l’analisi dei soggetti possa intercettare il disagio personale che molto spesso si nasconde dietro alle spinte eccessive del risultato prestazionale.

E’ tempo di una nuova cultura dello sport

Una nuova cultura dello sport deve per forza di cose passare anche attraverso la cultura della sconfitta. Attraverso la condivisione del successo e il rispetto dell’avversario. Il contenimento della delusione e dell’insuccesso, la motivazione al miglioramento e alla gestione delle emozioni sono argomenti importantissimi nella crescita personale con i quali l’atleta si confronta quotidianamente. Proprio per riportare al centro della pratica sportiva l’atleta prima ancora che il risultato, l’atleta come essere umano. La psicologia diviene disciplina primaria e fondamentale anche nella verifica stessa dell’etica ormai violata che ne deve fare da modello assoluto. Episodi come quello delle ginnaste inglesi possono sembrare lontani dal contesto che ci appartiene, ma il semplice assistere ad una partitella fra giovani calciatori in un campo di calcio periferico ci racconta invece a quante richieste deve rispondere quel bambino con i pantaloncini che gli coprono anche le ginocchia. 

In collaborazione con lSP, Istituto per lo studio delle psicoterapie

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