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Schiavettoni, le manette con catene alle mani e ai piedi che piacevano durante Tangentopoli

In Italia suscitarono clamore le immagini di Ezio Carra, durante Tangentopoli, trascinato per il Palazzo di Giustizia con gli schiavettoni

Ilaria Salis, schiavettoni

Le immagini di Ilaria Salis legata per le mani e i piedi, tenuta per una catena e sorvegliata da due agenti di un corpo speciale di polizia penitenziaria che indossano il giubbotto antiproiettile e il passamontagna per non essere riconosciuti, hanno indubbiamente sconvolto l’opinione pubblica italiana e in molti il pensiero è andato alle foto dei prigionieri di Guantanamo, la base navale americana diventata campo di prigionia dopo l’11 settembre 2021. Un paragone che ha suscitato più di un brivido e la sensazione di trovarsi di fronte a un trattamento molto al di sopra degli standard ordinari e, soprattutto, leciti per un paese che fa parte dell’Unione Europea.

Cosa sono gli schiavettoni

Sono ricomparsi nei servizi giornalistici termini con cui non avevamo più familiarità da molto tempo. Ad esempio, gli schiavettoni che, come spiega il dizionario Treccani, sono “le pesanti […] manette con catene che vengono assicurate ai polsi dei detenuti al fine di evitarne la fuga (durante gli spostamenti da un carcere all’altro, nella traduzione in tribunale, ecc.)”. O, ancora, i cosiddetti ceppi abitualmente usati sulle caviglie per costringere il prigioniero a camminare con un passo limitato. Termini che riportano ai tempi della schiavitù a cui, peraltro, gli schiavettoni si richiamano anche etimologicamente.

In Italia una cosa del genere non sarebbe mai potuta accadere, assicurano i vertici della polizia penitenziaria. Quantomeno da Tangentopoli in poi, “quando suscitarono un grande clamore le immagini del politico e giornalista Ezio Carra, trascinato per il Palazzo di Giustizia di Milano con gli schiavettoni“, ricorda all’agenzia AGI Francesco Maisto, garante dei detenuti del Comune di Milano ed ex presidente del Tribunale di Bologna.

Era il marzo 1993 e fino ad allora scene di prigionieri in fila legati a una catena mentre venivano accompagnati dal carcere alle aule di tribunale non erano così rare. “Decisiva fu la legge 492 del 1992 arrivata nel momento in cui cambiò il regolamento e il compito di accompagnare i detenuti passò dai carabinieri agli agenti della polizia penitenziaria”.

La posizione dell’Europa riguardo alle misure di detenzione

L’Europa poi, nel rafforzare le misure di tutela della presunzione di innocenza con la direttiva 343 del 2016, ha invitato le autorità ad “astenersi dal presentare gli indagati o imputati come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica, quali manette, gabbie di vetro o di altro tipo e ferri alle gambe a meno che il ricorso a tali misure sia necessario per ragioni legate al caso di specie in relazione alla sicurezza”.

E’ una questione di umanità ma anche di rispetto della privacy. Nel nostro Paese, le Regole deontologiche giornalistiche impongono al giornalista di non fornire “notizie, né pubblicare immagini che possano risultare lesive della dignità della persona”, salvo il limite delle informazioni “essenziali”. Concetto ribadito dal Garante della Privacy che nel febbraio 2021 ha condannato una testata giornalistica per aver pubblicato una foto che ritraeva due indagati in stato di arresto, con il particolare delle manette ai polsi, immagini che il Garante ha ritenuto lesive della dignità dei soggetti coinvolti e non “essenziali” ai fini del diritto di cronaca.

L’immagine infatti, ricorda l’ordinanza del Garante, ha una “particolare potenzialità lesiva della dignità della persona connessa alla enfatizzazione tipica dello strumento visivo”.

E proprio l’immagine, le foto e i filmati di Ilaria Salis circolati ieri, hanno certamente contribuito a rendere la storia della insegnante milanese ancor più sconcertante e grave.