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Roma e le strade che uccidono: 40 morti dal 1 gennaio, 12mila incidenti

In media, a Roma, accadono più di 80 sinistri al giorno. E non si parla solo di tamponamenti o feriti lievi

Polizia Roma Capitale notte

A Roma si continua a morire per strada. Lo dicono i numeri, dal 1° gennaio al 15 maggio di quest’anno, 40 persone hanno perso la vita in incidenti stradali avvenuti all’interno del territorio comunale. Non si considerano qui né il Grande Raccordo Anulare né le aree extraurbane, escluse dalla competenza della Polizia Locale di Roma Capitale. Ma anche restando entro questi confini, il quadro è chiaro: la mortalità resta alta, pur con una leggera flessione rispetto al 2024, quando nello stesso periodo erano stati contati 48 decessi.

Il numero degli incidenti si aggira invece intorno ai 12mila, un dato pressoché stabile rispetto all’anno scorso. In media, più di 80 sinistri al giorno. E non si parla solo di tamponamenti o feriti lievi: dietro ogni numero c’è una storia, un quartiere paralizzato, famiglie coinvolte, pedoni colti di sorpresa. La statistica non copre l’impatto umano.

Le strade più pericolose non sono una sorpresa

Non servono sofisticate analisi predittive per capire dove si concentra il maggior numero di incidenti. Le grandi arterie urbane, quelle che ogni giorno assorbono il flusso di centinaia di migliaia di veicoli, sono anche le più pericolose. Via Prenestina, via Colombo, via Casilina e via Nomentana guidano la lista nera, insieme a Tiburtina, Tuscolana e Cassia.

Parliamo di strade che attraversano quartieri densamente popolati, spesso senza una reale separazione tra traffico veloce e mobilità dolce. Su molte di queste, i sinistri superano i 200 nei primi mesi dell’anno. Nemmeno nelle posizioni di coda, come Salaria, Aurelia, Flaminia o Laurentina, si scende sotto i 100 incidenti. In questi numeri c’è la somma di anni di pianificazione urbana che ha privilegiato la velocità alla sicurezza, e dell’incapacità sistemica di riconvertire davvero il modo in cui ci si muove in città.

Isole ambientali e Zone 30: tra ambizioni e realtà

L’amministrazione capitolina ha da tempo messo in cantiere un progetto di riforma della mobilità urbana basato su una visione più sostenibile e sicura. Il fulcro è rappresentato dalle cosiddette “isole ambientali” e dalle Zone 30, aree dove il limite di velocità è ridotto e la mobilità motorizzata subordinata a quella pedonale e ciclabile. Il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS) fissa un obiettivo ambizioso: 69 aree entro il 2030.

Ad oggi, otto sono quelle già concluse o in via di completamento, da Casal Bertone a Ostia Antica, passando per il Quadraro Vecchio e Terme Deciane. Ne sono in programma altre, da Balduina a Trastevere, ma la strada – non solo in senso figurato – è tutt’altro che in discesa.

L’iter amministrativo è lungo, spesso rallentato da resistenze locali. I comitati di quartiere non sempre accettano la riduzione dei parcheggi o la modifica della viabilità. È il caso di Fonte Meravigliosa o di via Beccari, dove le proteste hanno bloccato o rallentato interventi già progettati. Il risultato è un compromesso costante tra esigenze di sicurezza e opposizione sociale. E nel frattempo, il numero dei feriti e dei morti continua a crescere.

L’effetto tutor nella Galleria Giovanni XXIII

Se da un lato la trasformazione urbanistica va a rilento, su un altro fronte qualcosa si muove. È il caso dell’uso dei sistemi di controllo automatico della velocità. In particolare, l’installazione dei tutor nella Galleria Giovanni XXIII rappresenta uno degli esempi più concreti di efficacia immediata.

Nel 2023 le violazioni rilevate superavano quota 175mila. Con l’entrata in funzione dei dispositivi, i numeri sono crollati a circa 95mila. Anche gli incidenti sono diminuiti sensibilmente: da 28 nel 2022, a soli 12 da aprile a dicembre 2023. In questo caso, la correlazione è diretta. Dove si riduce la velocità reale, calano anche gli scontri. Il rispetto dei limiti, spesso percepiti come una formalità, diventa determinante quando si traduce in decine di vite risparmiate.

Guardando al quadro complessivo, la sensazione è che Roma sia ancora in una fase intermedia. Ha compreso – almeno sulla carta – che non si può continuare con un modello centrato esclusivamente sull’auto privata. Ma fatica a compiere quel salto culturale che renderebbe davvero possibile una città diversa. Serve tempo, certo. Ma anche una regia chiara, capace di superare gli ostacoli burocratici e quelli, più insidiosi, della resistenza al cambiamento.