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Riforme, si va verso il premierato: ecco tutto ciò che c’è da sapere

Il Governo Meloni punta sull’elezione diretta e il rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio: aperture dal Terzo Polo, cauto il Pd, no secco del M5S

Piazza Colonna, Palazzo Chigi (sede Governo)

Piazza Colonna, Palazzo Chigi (sede Governo)

Sembra proprio che le riforme istituzionali promosse dalla maggioranza di centrodestra stiano assumendo la forma del premierato. Questo, almeno, è l’orientamento prevalente delineatosi durante le consultazioni tenute dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Ecco dunque tutto ciò che c’è da sapere su questo neologismo noto, al momento, soprattutto agli addetti ai lavori.

Riforme, si va verso il premierato

Le riforme istituzionali devono «garantire due obiettivi irrinunciabili: la stabilità dei Governi e delle legislature e il rispetto del voto dei cittadini». Così parlò, come riporta Rai News, il Premier Giorgia Meloni al termine dell’incontro con i partiti di opposizione. Nel corso del quale è emersa la possibilità concreta di una convergenza sulla proposta del premierato, sia pure con differenti sensibilità (e paletti).

Questo sistema, come spiega Sky TG24, implica il rafforzamento dei poteri del Capo del Governo rispetto a quelli attualmente assegnati dalla Costituzione. Con particolare riferimento alla facoltà di nominare e revocare i Ministri che, come ha dichiarato a La Stampa il leader italovivo Matteo Renzi, «è il minimo sindacale».

Dal Terzo Polo, in effetti, è arrivata l’apertura più significativa, anche sulla base di un vecchio cavallo di battaglia come il cosiddetto “Sindaco d’Italia”. Un modello che comporta pure l’elezione diretta del Premier, gradita all’alleanza FdI-Lega-Forza Italia, magari con un doppio turno analogo a quello già applicato agli enti locali.

Sono contrari a quest’ipotesi ultrademocratica, scrive l’ANSA, tanto il Pd (che però, forse per lenire il paradosso, non ha chiuso pregiudizialmente al confronto) quanto, soprattutto, il M5S. I quali hanno rilanciato invece sulla sfiducia costruttiva, ovvero sull’impossibilità di sfiduciare un Governo se non si vota contestualmente la fiducia a un altro esecutivo.

Il numero uno pentastellato Giuseppe Conte ha inoltre aggiunto che «il quadro» non deve «mortificare il ruolo parlamentare nella mediazione». Che detto da uno dei Presidenti del Consiglio che hanno maggiormente umiliato le Camere suona piuttosto risibile, ma tant’è.

L’incognita del ruolo del Capo dello Stato

In questa prospettiva, come hanno sottolineato pressoché tutte le forze di minoranza, diverrebbe un’incognita il ruolo del Capo dello Stato. Che in questo momento nomina l’inquilino di Palazzo Chigi anche disattendendo le indicazioni degli elettori, com’è accaduto per esempio dal 2011 al 2022. Pretendere di lasciarne inalterate le prerogative nel contesto del “Sindaco d’Italia”, come vorrebbe il leader di Azione Carlo Calenda, è quindi una contraddizione in termini.

Il segretario dem Elly Schlein, scrive il Corsera, esorta piuttosto a preservare l’aura d’imparzialità del Quirinale – o, per citare Giuseppi, la funzione di «garante della coesione nazionale». Che però sono leggende metropolitane, perché il Presidente della Repubblica è espressione di un partito e come tale agisce. Sergio Mattarella non fa affatto eccezione – il che, sia chiaro, è perfettamente legittimo: basta essere consapevoli che un giocatore non può improvvisarsi arbitro.

Per il resto, la strada delle riforme pare ormai tracciata e, come ha assicurato il leader di Fratelli d’Italia, indietro non si torna. E dunque è solo questione di capire chi avrà la… Carta vincente.