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Putin e Ucraina, lo scontro di civiltà. Il racconto inedito di un oligarca russo

A.K. comincia a raccontarci di quel giorno a Parigi con Putin. La cifra spesa per il colpo di stato appena fatto in Ucraina era là sotto il naso…

Ucraina-Russia, Volodymyr Zelensky vs. Vladimir Putin

Ucraina-Russia, Volodymyr Zelensky vs. Vladimir Putin

Sono seduta al tavolo con due amici russi nati vicino al Donbass. Ucraini ma russi, fanno parte di quelle ormai note comunità perseguitate, a quanto raccontano, dal “regime nazista ucraino”. In realtà vivono a Mosca da decenni, pur avendo la madre e i parenti ancora in patria. “Alcuni cugini non mi parlano, siamo divisi in fazioni anche nelle famiglie”, mi racconta l’oligarca.

L’oligarca russo mi racconta

La guerra Ucraina non comincia nel 2022, come mi raccontano, ma nel 2014, quando con un colpo di stato il vecchio presidente fu sostituito dalle truppe armate.

A.K. – non ne svelerò il vero nome – è in realtà un oligarca che vive nello stesso quartiere di Abramovich, a Mosca, dove “d’inverno abbiamo le piste da sci sotto casa, in un parco enorme”.

Quando la Russia fu smembrata e Putin come un grande monarca distribuì i beni dello stato ai suoi feudatari, loro ricevettero molte opere d’arte che conservano in un museo londinese e in varie gallerie nel loro Paese. I due coniugi si muovono con aerei privati e dato che si sono visti confiscare barche e aerei parcheggiati in Europa (“Perché con i vostri soldi ricostruiremo l’Ucraina” gli hanno detto in una banca svizzera dove hanno congelato i conti), scendere a Dubai regolarmente sembra l’unica vacanza possibile.

Il denaro è l’unica democrazia possibile

Qui trovano un paese che li accoglie, non li sanziona nonostante l’impossibilità di aprire conti in banca, perché il Dio-soldo tratta tutti in modo uguale. Ovvero: dove si guadagna, non si guarda in faccia a religione, razza o provenienza di sorta. Il denaro è l’unica democrazia possibile.

I coniugi K. in sei anni hanno avuto cinque bambini, come tutte le famiglie oligarche, similmente a quelle arabe, la famiglia è un valore, per cui dimostrare di averne una grande e funzionante è un pregio.

Sono amici da tanto, non voglio escluderli solo perché questa maledetta guerra ci ha divisi. Perciò mentre mangiamo in riva al mare, ad Abu-Dhabi, mi sembra che nulla sia mai accaduto a gettare un’ombra su di noi. Eppure, a mano a mano che ci addentriamo nella discussione, mi accorgo che come al solito sono calata in una realtà più grande di quella che mi sembra di afferrare e che i film di James Bond, a certi livelli, assomigliano più alla realtà di quello che sembri la realtà stessa.

Quel giorno a Parigi con Putin

A.K. comincia a raccontarci di quel giorno a Parigi con Putin. La cifra spesa per il colpo di stato appena fatto in Ucraina era là sotto il naso: “5 miliardi di dollari, tutto scritto nero su bianco, e quella mattinata sentivo la Merkel e il presidente francese chiedere a Putin di accettare la nuova condizione, altrimenti avrebbero bombardato i territori russi in Ucraina. La persecuzione era già cominciata, ma Putin voleva evitarla. Quindi disse: ok, non faccio niente, riconosco il potere delle vostre truppe militari, ma poi l’Europa non mantenne la promessa e continuarono a perseguitare i russi”.

“Intendi dire che la Merkel e la Francia avevano fatto questo colpo con la Nato, l’America?” chiedo io che come al solito di geopolitica non capisco molto ma abbastanza per intravedere che gli intrighi alla corte parlamentare europea sono degni di un complotto medioevale.

“Ovvio” risponde lui. Stava dicendomi che nel 2014 lui era in Francia con i capi di stato europei e le forze americane sottese ai loro sorrisi e Putin era già messo alle strette.

“Se ho ben capito” chiedo, “Putin vuole la famosa cintura neutrale tra lui e i paesi della Nato come gli accordi presi dopo la seconda guerra mondiale, giusto?”

“A Putin non importa che sia Nato o non Nato, guarda i paesi scandinavi, sono Nato ma non gli importa. Il problema sono le basi: se la Nato mette le basi in questi paesi e un missile in due minuti può arrivare a Mosca è il vero problema. Noi nel 2014 non avevamo i missili ultrasonici ora sì, Putin può in ogni momento raggiungere Parigi, Londra…”.

Il rischio di guerra nucleare

Questa cosa mi fa inorridire, sembra che i K. non capiscano che se parte qualche missile non solo non ci saranno né vinti né vincitori, ma verrà distrutto tutto, l’apocalisse.

“Tu puoi sempre venire qui” mi dice A.K. ridendo, “e anch’io”.

Ma io non rido. La cosa mi terrorizza. All’improvviso spero che le dicerie su Putin e sulla sua malattia siano vere.

“Come sta di salute? È vero che è ammalato?”

Anastasia ride: “Putin sta benissimo, gioca a Hockey tre volte in settimana e fa sport ogni giorno per due ore nonostante i suoi impegni. È fortissimo! Possibile che abbiate tutti la stessa idea?”

Ora capisco che non saprò la verità: dove comincia la propaganda da parte dei vassalli di Putin che devono tutto a lui e se mai si sapesse che dicano qualcosa contro, perderebbero tutto in un soffio?

Mi rendo conto che ci troviamo di fronte a un Paese che non ha la libertà di opinione, e principalmente di fronte a ricchissimi che non vogliono compromettere ciò che posseggono. La loro adorazione per il presidente si sente dalla bambina di sei anni: “Io Putin lo vedo ogni giorno!” dice fiera. “In televisione?” “Anche dal vero, quando lo andiamo a trovare…”

Zelensky intrattenitore

“Parliamo di Zelensky” propongo.

“Lui viene dalla nostra stessa città” spiega K., “i miei amici lo chiamavano alle feste di compleanno, lui intratteneva le persone, un attore di talento. Prima avevano scelto un altro attore famoso, un ebreo come noi. Il fatto che fosse ebreo non giocava a favore così poi scelsero lui. Che è un po’ meno ebreo.”

“Loro chi?”

“Gli americani” mi guarda K. con lo sguardo di chi esprime un’ovvietà disarmante. “Fece anche una serie televisiva in cui anticipava proprio il fatto di venir eletto e si è preparato alla parte. Ora lui legge bene i testi che vengono scritti, ma non li scrive lui. Lui non è un politico. Non capisce nulla di politica.”

“Finirà la guerra?”

“Noi non abbiamo fretta” risponde.

Ora dice noi, non più Putin: si sta schierando contro di me. Adesso lui è dall’altra parte, con Putin.

“L’Europa si sta scavando la fossa da sola” gli dico, “le sanzioni vanno contro di noi che non possiamo più avere il gas a buon prezzo. Sono gli americani a vendercelo al doppio adesso. Voi russi attraverso l’India lo distribuite ugualmente”.

“E non solo” risponde, “vedrai che dopo maggio in Africa ci sarà la fame. Moriranno in tantissimi e questi poveri ve li ritroverete in Europa, a bussare per un piatto di pasta”.

“Dovrebbero sedersi tutti a dialogare, ma il problema è che nessuno da noi in Europa si rende conto che per Putin è una vera questione di vita e di morte. Putin si sente minacciato esistenzialmente e proprio per questo è disposto a tutto per vincere.”

Diritti civili

L’Europa e l’Occidente con la concezione dei diritti, non si stanno rendendo conto che ci sono Paesi dove i diritti delle persone non hanno rilevanza. E dove il diritto pubblico, lo Stato, è l’unico ad avere diritto sopra ogni cosa. In questa prospettiva chi si oppone al mainstream passa per complottista e nemico. Un po’ come da noi se non che da noi non si va in carcere e non si viene uccisi, se non mediaticamente, come nel caso Trump. Una morte digitale quasi più vera di quella reale, oggi.

Ci sono tanti stati che ragionano così: la Russia, la Cina, l’Arabia Saudita. L’Occidente vuole la libertà degli altri senza rendersi conto che gli altri non vogliono essere liberi. O che la libertà, per essere raggiunta, deve passare attraverso una crescita delle coscienze, un risveglio collettivo.

Prendiamo l’esempio saudita: il principe Mohammed Bin Salman è ben visto per le sue idee progressiste e innovative. Con lui le donne sono tornate al volante, le riforme sono concrete e ha pure regalato al Louvre di Abu-Dhabi quel Cristo che si credeva fosse opera di Leonardo da Vinci e non della sua scuola. Il che lo avrebbe aperto concettualmente anche alla cultura e alla pluralità delle religioni.

“E il giornalista fatto a pezzi? Khasoggi?”

“Ogni riformista fa a pezzi i suoi nemici” dice Anastasia (ripeto: nome inventato). “guarda le rivoluzioni.”

“Anche noi facciamo così” sorride K., ma io resto di ghiaccio. Non si sorride davanti alla morte né alla repressione del pensiero.

Ricordo quindi loro che un nostro amico comune, il figlio di un ministro saudita, è finito detenuto in un Hotel di Riad da anni perché non paga quel miliardo di euro che Salman pretende in cambio della libertà. E ora che la moglie e i figli sono tornati a Londra vendendo la casa a Dubai senza mandare i proventi al governo saudita, sembra scomparso in un vero carcere. Non lo si raggiunge nemmeno con un sms. Stiamo tutti silenziosi di fronte alla memoria dell’amico in carcere solo per questo truculento principe riformista che fa a pezzi chi vuole in nome del diritto assoluto di decidere cosa sia giusto o sbagliato per la sopravvivenza del suo governo.

Lo scontro tra civiltà, il racconto di Anastasia

“Da noi si va in carcere anche solo se a scuola si parla del tema gay” mi dice Anastasia. Eccoci arrivare al punto: questa non è una lotta per un pezzo di terra, questo è uno scontro tra civiltà! Il patriarca che grida all’anticristo apostrofando la filosofia gender come la distruzione della famiglia e dei valori con una nuova Sodoma e Gomorra, è l’animo della Russia stessa. Là i balletti e i tutorial sulle nostre mode non arrivano, come in Cina, e da sempre nei paesi arabi la nostra libertà è stata vista come l’opera di satana. A maggior ragione Zelenski, con il suo passato di balletti seminudo, è simbolo di questo liberalismo occidentale.

Qui c’è in ballo qualcosa di più: qui si tratta del bipolarismo del globo, o meglio, delle due fazioni mondiali divise tra l’Occidente di Nord-America-Europa-Australia e qualche altro paese occidentalizzato contro il resto del mondo. Putin non è da solo. Ci sono i BRICS, Brasile, India, Cina e Sudafrica e altri Paesi come l’Arabia Saudita che potrebbero aggiungersi. Ci sono più Paesi che la pensano come la Russia e non come noi.

Noi siamo quasi la minoranza.

Certo, non vorrei essere in Russia. Io ci tengo a parlare, a dire la mia senza finire in un gulag. Ci tengo alla libertà di essere una donna che vuole lavorare o essere una mamma, anche se mi accorgo che alle nostre latitudini tale libertà non c’è. Da noi una decide di fare la mamma e poi è costretta a lavorare perché il salario non basta. E poi si ritrova a fare la schiava domestica per crescere i figli e tenersi il marito spaparazzato sul divano come la pelle di un daino, un trofeo di caccia.

Il conto pagato “alla romana”

Negli Emirati o in Russia, mi si racconta invece che “gli uomini aprono le portiere delle macchine, si propongono in matrimonio senza lasciar passare una vita e hanno intenzioni più serie. Noi abbiamo diverse italiane sposate con Russi che non tornerebbero indietro nel loro Paese a dividersi i conti alla romana, a una cena”.

Il conto alla romana con un uomo ha sempre fatto rabbrividire anche a me. Io che voglio il diritto di parlare e di essere servita da un uomo, o perlomeno che sia lui a provvedere alla famiglia mentre io faccio la mamma. Ma mi sono resa conto che non puoi avere tutto: non puoi avere un uomo vecchio stampo e rispettoso. Prima o poi i conti sulla tua libertà li devi pagare tu.

Eppure le ragazze sognano. Scendono negli Emirati o volano in Russia, a quanto sembra, a cercare il loro principe azzurro. In società più conservatrici dove poter fare ancora le donne mentre da noi bisogna restare amazzoni per sempre, senza scampo. E dove gli uomini sembrano disorientati, a cercare un ruolo che non è stato loro tramandato. Un ruolo che le loro madri femministe hanno buttato in fondo al mare per un sogno di indipendenza.

Esportare democrazia

Vivendo tanto in Medioriente ho capito di essere cresciuta in un mondo occidentale che non è l’assetto mondiale, ma l’aspirazione a un assetto mondiale che dovrebbe fornire a tutto il globo diritti e serenità. L’aspirazione della Nato e quindi degli Usa ad esportare democrazia come modus vivendi che garantisca diritti umanitari a tutte le persone, è ammirevole e sacrosanto. Tutti vorremmo un mondo in cui il rispetto vicendevole, la pace, il libero arbitrio, la possibilità di scegliere persino il proprio sesso fosse un postulato dell’esistenza.

Ma la realtà è che tre quarti del pianeta, non vogliono questo sistema di valori. C’è una politica realista che stride con quella concettuale. Prendiamo solo l’Africa: come fai a parlare di diritto al lavoro se non hai nemmeno diritto a un pezzo di pane o accesso libero all’acqua? Come fai a parlare di diritti quando in Medioriente dopo i cinquant’anni devi pagare una tassa per continuare a lavorare. E cose da noi scontate come la cassa pensione o i sindacati non esistono. Non esiste nemmeno il diritto di avere una cittadinanza o un passaporto dopo vent’anni di permanenza nel Paese, nemmeno se sei figlio di immigrati che praticamente diventano espatriati perenni, pronti esser rispediti in patria appena il tuo contributo di manodopera non sia più necessario?

Non sto dicendo che in questi Paesi si pratichi la schiavitù, visto che i salari provvisti sono equiparabili a quelli di un avvocato dei propri Paesi di origine: sto dicendo che i diritti dell’emisfero occidentale sono ben diversi da quelli del resto del mondo.

I diritti delle donne nel mondo

I diritti a cui aspira una donna in Medioriente sono diversi dal resto del mondo. C’è il cosiddetto gap culturale che fa assomigliare la relazione matrimoniale tra una donna occidentale e il suo marito musulmano, arabo, alla strategia di guerra tra stati occidentali e mediorientali. Lui si sente minacciato vitalmente da lei anche solo al sentire parlare di diritti biondi e critici. Lei si sente usurpata da lui anche al solo sentirsi rivolgere una domanda con un tono patriarcale e autoritario. La sola verbalizzazione di un discorso espresso nei toni di due mondi diversi, costituisce una minaccia reciproca.

Quando si capisce che il concetto di diritto non è universale, si capisce perché anche in questa guerra Putin non ragiona per diritti. È evidente che l’Ucraina abbia il diritto di scegliere se entrare nella più libera e ridente Nato che la avvii a una modalità di vita più ricca e divertente, se vogliamo, ma d’altra parte se ti trovi a confine con l’autoritarismo, non stai a pensare in termini di diritti. Ragioni in termini di minor danno possibile.

Del resto la situazione di oggi assomiglia a quella di Cuba negli anni sessanta: quando Cuba accettò di mettere i missili russi nei suoi confini si rischiò un conflitto mondiale. Gli Usa non avrebbero mai permesso che alcuno Stato ai suoi confini contenesse basi avversarie. Oggi è quello che sta succedendo: in nome del diritto di far parte di un sistema che riconosce i diritti e non li annienta, si è voluto trasformare l’Ucraina in una base Nato.

Ma dal punto di vista putiniano, l’Ucraina non ha alcun diritto di minacciare i suoi confini. L’esigenza di farla restare neutrale per garantire una stabilità politica avrebbe risparmiato lo scempio attuale. Bastava capire che se sei uno staterello rispetto a uno stato enorme, che non conosce il concetto di diritto, eviti di farti annientare.

In guerra e nella politica mondiale, non è questione di diritti ma di rispettare certe linee di equilibrio. Se l’Ucraina sarà spazzata via dall’atomica sarà anche colpa dell’Occidente e della sua miopia concettuale.

Il sacrificio di un popolo, di bambini innocenti e di una ridente civiltà, poteva essere evitato con una sacrosanta neutralità.

M.F.