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Prescrizione e crimini dei colletti bianchi: il caso Massimo Ferrero

Processi penali mai svolti e altri scandali del nostro sistema giudiziario: oltre il pregiudizio che il crimine sia commesso dagli indigenti

Prescrizione, colletti bianchi e il caso Massimo Ferrero.

A causa dell’annosa condizione del nostro sistema giudiziario, qualunque avvocato penalista che si rispetti, una volta ricevuta la nomina ed acquisita la documentazione, la prima cosa che annota sul suo fascicolo è il termine di prescrizione del reato. Sia che l’assistito risulti parte indagata, sia che si dichiari parte offesa.

Non dunque sarà primaria l’analisi della documentazione probante, o l’ermeneutica giuridica della fattispecie.

Piuttosto studiare il modo più efficace per far si che il processo, nel caso in cui si celebri, non debba mai arrivare a sentenza nel tempo utile a comminare l’eventuale pena.

Processi penali mai svolti e il caso Massimo Ferrero

In Italia, infatti, la maggior parte dei processi penali, malgrado le indagini della Procura, e malgrado le prove in alcuni casi schiaccianti per la determinazione della colpevolezza dell’indagato, non si fanno (per usare un termine poco tecnico ma riteniamo chiarificatore).

D’altra parte, ipotizzare una deriva giustizialista di una prescrizione indiscriminatamente “lunga”, senza fornire al Sistema i mezzi necessari in termini di uomini e strutture, appare una strada comunque impraticabile.

Pertanto, ci si ritrova sempre al punto di partenza, in cui le parti lese sono sempre più svantaggiate e coloro che delinquono abitualmente e premeditatamente possono dormire sonni tranquilli.

Ci riferiamo soprattutto ai reati tipici dei “colletti bianchi”, in cui il movente unico è rappresentato dal denaro e dal potere finanziario, mezzo principe per accreditarsi sempre di più nel sistema del nuovo capitalismo che negli ultimi decenni è andato a “prendersi” anche gli scranni della politica che conta.

Sono reati che vedono quasi sempre la strisciante complicità di Commercialisti, Notai, Avvocati o altri generi di “consulenti” iscritti ad albi professionali il cui codice deontologico viene facilmente ed impunemente violato senza alcuna conseguenza.

Storia dei “colletti bianchi”

Il primo a utilizzare il termine “colletto bianco “ in ambito criminologico ed a classificarne il genere di devianza espresso, fu Edwin Sutherland negli anni ’40 attraverso lo studio di quella tipica criminalità economica che coinvolge la classe borghese.

I White Collar Crimes (Crimini dei colletti bianchi) portano il Sutherland a teorizzare che il crimine non fosse un fallimento individuale o un difetto personale, ma fosse collegato alla tematica della socializzazione, la quale si riferisce alle norme e ai valori dominanti che apprendiamo.

Dunque il crimine o la devianza in genere, non sono qualcosa di ascrivibile solo a soggetti facenti parte di realtà socio-culturali travagliate, ma possono verificarsi anche nella classe media più insospettabile. Quando parliamo di White Collar Crimes, parliamo di crimini di natura finanziaria finalizzata per lo più all’appropriazione indebita di denaro.

La genesi dei White Collar Crimes e il loro progressivo sviluppo nelle società capitaliste, demoliscono la mitica correlazione tra povertà e crimine, confermando che si possono commettere crimini indipendentemente dal contesto socio-culturale di appartenenza.

Anzi, oseremmo dire che proprio lo status sociale e l’ambiente lavorativo di riferimento, contribuiscono a favorire la circostanza, che l’azione criminale espressa rimanga con ogni probabilità non rilevata e soprattutto mai punita.

Il colletto bianco si esprime nella veste di “criminale” con comportamenti raramente violenti e a livello intellettuale piuttosto che comportamentale. Si parla di atteggiamento piuttosto che di comportamento, di idee piuttosto che di agiti.

Chi sono i “colletti bianchi”

I Colletti bianchi, che costituiscono di per sé una sub cultura, sono oggi un vero è proprio gruppo sociale al cui interno si trasmettono valori difformi rispetto ai valori dominanti del contesto sociale , i quali paradossalmente diventano la copertura idonea per accreditarsi in un sistema di legalità che pensano continuamente di aggirare e sfruttare. Il loro essere “bilingui” li porta ad avere pertanto un codice proprio di comportamento che li spinge ad avere successo proprio nel sistema di una società portatrice di valori antitetici.

Unica legge a baluardo della giustizia nei confronti di questi particolari fuorilegge, il cui essere “border line” raramente li riesce a qualificare come veri e propri criminali, è quella che regola il reato di bancarotta fraudolenta (Art. 216 Legge fallimentare).

Grazie al termine di prescrizione da 10 a 15 in base alla tipologia, questo reato è rimasto l’unico mezzo per poter assicurare alla giustizia (almeno per una parte delle malefatte commesse) pseudo imprenditori ed organizzazioni criminali.

A dire il vero, oltre all’arco temporale concesso dal legislatore, grandi meriti vanno alla nostrana Guardia di Finanza, la cui competenza è stata sempre rilevata nelle decine di inchieste giudiziarie di cui abbiamo potuto acquisirne i contenuti.

Il caso Massimo Ferrero

Massimo Ferrero, ormai ex Presidente della Sampdoria, è l’ultima, più recente illustre “vittima” della prescrizione lunga legata a coloro che sono coinvolti in una bancarotta fraudolenta.

Che “er viperetta” potesse destare qualche fondato sospetto, circa il fatto che le enormi ricchezze di cui dispone(va), fossero frutto di qualche insano meccanismo pseudo imprenditoriale, era immaginabile da sempre.

Eppure, questa iconica macchietta, la cui inattendibilità di competenza imprenditoriale è pari alla straripante simpatia che genera ad ogni apparizione pubblica, ha potuto con estrema facilità diventare un protagonista del sistema economico finanziario del nostro Paese.

Ovviamente, nulla a che vedere con i sofisticati “colletti bianchi” che ancora frequentano indisturbati i Palazzi della politica o gli Uffici finanziari della Borsa di Milano.

O ancora quelli recentemente “pizzicati” tra la seconda e la terza Repubblica (vedi le condanne all’ ex Senatore Denis Verdini che per anni è stato un’eminenza grigia, e neanche troppo, determinante nei rapporti di potere e di spartizione tra i partiti politici).

Tornando a Massimo Ferrero, per quanto dispiaccia sempre vedere un uomo di 70 anni rinchiuso in carcere, e per quanto in ottica garantista vada ritenuto innocente fino all’ultimo grado del giudizio, con buona pace del parere del proprio commercialista, comunque deve ritenersi un fortunato alla pari di tutti i “colletti bianchi” che nel Sistema Italia, da loro stessi minato e imbastardito trovano il modo più facile per realizzarsi a danno di chi non è né furbo, né spregiudicato ma semplicemente onesto.

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