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Morte Gorbaciov, Guidi: “Il primo consapevole della crisi irreversibile dell’Urss”

La nostra intervista all’editorialista ed ex inviato di guerra sulla morte di Mikhail Gorbaciov, tra i protagonisti della fine della Guerra Fredda e della dissoluzione dell’Urss

Foto di profilo di Mikhail Gorbaciov

Mikhail Gorbaciov

La morte di Gorbaciov, avvenuta nella tarda serata di ieri, ha portato a inevitabili riflessioni sulla sua vita e sull’evento di cui è stato indiscusso protagonista, ossia la dissoluzione dell’Urss e la fine della Guerra Fredda. Marco Guidi, giornalista ed ex inviato di guerra, nella nostra intervista ha tracciato un profilo di Gorbaciov e una fotografia di uno dei periodi storici più importanti della storia contemporanea.

Come ricordare Mikhail Gorbaciov?

“Gorbaciov era sicuramente l’uomo che si era reso conto che il declino dell’Urss era ormai irreversibile. Non a caso era un pupillo di Jurij Andropov – che prima di essere stato Segretario generale e leader dell’URSS fu il capo del KGB – il quale sapeva esattamente che l’Unione Sovietica stava andando verso lo sfacelo economico generale. Per una serie di motivi: non sapeva resistere alla sfida spaziale di Ronald Reagan e per farlo stava rovinando quel poco di economia che funzionava; inoltre l’Urss era ormai una gerontocrazia in cui se non si aveva 65 anni non facevi carriera. Infatti Andropov prima di morire disse di portare al potere un giovane, e che questo giovane doveva essere Gorbaciov.

Certo, il desiderio di Gorbaciov di normalizzare, cambiare e modernizzare l’Urss attraverso la Glasnost (la trasparenza) e la Perestrojka, le politiche economiche e sociopolitiche, fallì. Ma fallì perché l’economia dell’Urss non aveva possibilità di salvarsi e perché la gerontocrazia al potere, i burocrati e gli alti gradi non solo non lo capivano ma allo stesso tempo giudicavano pericolosissima l’apertura verso Occidente.”

Il suo ruolo nella caduta del muro e nella fine della Guerra Fredda

“Il muro di Berlino crollò anche grazie all’intervento dello stesso Gorbaciov. Mentre stavano succedendo cose inenarrabili in Germania orientale, dal comando delle truppe russe (500mila truppe e mille carrarmati in una zona molto ristretta) luì ordinò all’Armata Rossa in Germania orientale, Slovacchia e Ungheria di rimanere in caserma. Ciò causò il rancore di chi voleva usare la mano pesante come nel ‘56 in Ungheria e nel ’68 in Cecoslovacchia.

Inoltre seppe trovare un dialogo alla fine della Guerra Fredda prima con Margaret Thatcher, poi con Ronald Reagan e Karol Wojtyla. Tutte queste cose gli costarono caro: nel 1991 mentre era in vacanza sul Mar Nero, i vertici militari e politici dell’Unione Sovietica organizzarono un golpe. A questo golpe lui non rispose, mentre rispose il capo del partito comunista russo, che era Boris Yeltsin.

Fermò il golpe e poi chiamò Gorbaciov facendogli annunciare in diretta “l’Unione Sovietica è finita”. Gorbaciov fece così e ciò causò inevitabilmente la fine del suo potere e l’inizio di quello di Yeltsin. Tuttavia quella fu davvero la fine dell’Urss, perché Yeltsin portò una generazione di gente abbastanza corrotta e corruttibile, pronta a qualsiasi compromesso pur di arricchirsi. Non a caso da quella generazione uscì l’uovo avvelenato che si chiama Vladimir Putin.”

Morte Gorbaciov: il ricordo “freddo” di Mosca

“Certo, anche Gorbaciov sbagliò: non si rese conto della profondità dell’anima imperiale russa nel togliere la visione rassicurante del partito comunista che reggeva tutto per le “magnifiche sorti e progressive”. È vero che le “magnifiche sorti e progressive” erano finite, ma raccontarlo così bruscamente gli causò una grandissima popolarità in Occidente e la damnatio memoriae in Oriente.

Ne è l’esempio la giornata di oggi: mentre tutto il mondo fa le condoglianze per Gorbaciov, tutti i russi e i filo-russi hanno avuto una risposta molto fredda. Non ci sarà alcuna cerimonia funebre e gli stessi russi addebitano a Gorbaciov la fine dell’Urss mentre in realtà si era già suicidata con una politica economica fallimentare.”

Il processo di trasparenza che fallì e l’apertura all’Occidente

“Nelle sue intenzioni doveva dare frutti migliori. Naturalmente fece degli errori di valutazione nella velocizzazione e nel non rendersi conto che non c’era una classe politica destinata a succedere a quella passata. Dopo 70 anni di dittatura sovietica non c’era una classe politica nuova, portatrice di rinnovamento. Allo stesso tempo la stessa Russia non capiva che l’apertura all’Occidente non era un cedimento ma un tentativo di chiedere una collaborazione. Anche lì l’Occidente ha le sue colpe, perché sul cadavere dell’Urss si sono avventati tanti altri nazionalismi, basti pensare ai Paesi Baltici, all’Ucraina che si è distaccata, alla Bielorussia del primo Lukashenko, alla fine delle repubbliche asiatiche che aveva dittatori anche peggiori

Insomma, non è stato un cedimento all’Occidente, ma una cosa inarrestabile che si sarebbe lo stesso verificata. Il merito di Gorbaciov è stato quello di essersene reso conto e di aver gestito questo sfacelo, anche non volendolo, in un modo quasi pacifico. Al netto delle guerre cecene non ricordiamo guerre civili. Ricordiamo invece la nascita della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), un fantoccio voluto da Yeltsin che era un  modo come un altro di ammettere la fine di un sogno politico, quello leninista votato all’uguaglianza e al progresso umano, che si trasformò negli anni in un incubo, come quello di Stalin, che probabilmente si riflette ancora oggi in alcune sue sfaccettature.”