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Medici: mancano oltre 100.000 figure. Ecco i numeri dell’emergenza

Medici, infermieri, posti letto ma anche strutture ospedaliere e professionisti nelle strutture locali, i numeri dell’emergenza sanità

Medico in corsia di ospedale

La Sanità pubblica necessita di interventi riparatori, soprattutto nei settori che l’esperienza pandemica ha messo in evidenza. Dati alla mano, mancano oltre 100.000 professionisti e altrettanti posti letto per coprire un settore centrale per la nostra società. Mentre partono i concorsi e i primi nuovi assunti in tutta Italia, la Regione Calabria ha chiamato 178 medici cubani per fare fronte alle emergenze.

I medici cubani sono una soluzione d’emergenza

In Calabria la regione ha chiamato 178 medici cubani, per fare fronte alle difficoltà della sanità regionale. Ne ha parlato all’Adnkronos il presidente della Regione Roberto Occhiuto.

Si tratta di due contingenti di medici in arrivo da L’Avana, 52 a gennaio e 126 alla fine di maggio. La misura s’è resa necessaria perché lo scorso anno mancavano all’appello 2.407 medici alla sanità regionale. Non si è riusciti ad assumere nuovi medici, perché i bandi pubblici sono andati deserti. Gli unici contratti a tempo indeterminato fatti lo scorso anno sono appena 244 ma servirebbero ancora 2.163 medici.

I medici cubani son esclusi da questi conteggi perché rappresentano solo una misura emergenziale e temporanea. Per anni il commissariamento ha bloccato le assunzioni e adesso la carenza di personale in Calabria è ancora più grave che in altre regioni.

I medici extracomunitari vengono dirottati nelle varie province, dove ce n’è più bisogno, per esempio nei pronto soccorso, problemi ortopedici e ginecologi. Si tratta di una soluzione emergenziale, grazie al fatto che a Cuba, nonostante le critiche che da sempre l’occidente rivolge a quella realtà sociale e politica, il servizio sanitario funziona, perché la preparazione dei medici è sempre stata un obbiettivo del regime castrista, come uno dei servizi gratuiti fondamentali per la popolazione, così come l’istruzione e la lotta all’analfabetismo.

Considerate che nel continente americano, a parte alcune eccezioni tra cui Cuba e pochi altri paesi, la sanità pubblica è marginale, non è come in Italia, e se è privo di un’assicurazione privata, il paziente rischia di non essere curato.

Mancano 30.000 medici, 70.000 infermieri e 100.000 posti letto

In Italia mancano all’appello 30.000 medici ospedalieri, 70.000 infermieri e circa 100.000 posti letto. Carenze che mettono a rischio la salute dei cittadini che, nel momento del bisogno, potrebbero trovarsi senza la necessaria assistenza.

A allarmare con questi dati e lanciare un appello è il Forum delle Società Scientifiche dei Clinici Ospedalieri ed Universitari Italiani (FoSSC) che chiede al Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, provvedimenti urgenti per salvare gli ospedali mettendo mano alla revisione dei parametri organizzativi degli ospedali sanciti dal Decreto Ministeriale 70 (DM 70 del 2 aprile 2015).

Di fatto in Italia si è depotenziata la sanità pubblica negli anni tra il 2011 e il 2021, quando sono stati chiusi 125 ospedali, ovvero il 12% in meno. Nel 2011 gli ospedali pubblici e privati erano 1.120, due anni fa erano diventati 995, con un taglio più forte nelle strutture pubbliche. Scientificamente si è voluto diminuire il pubblico per favorire il privato.

In un solo anno abbiamo eliminato 21.500 posti letto! Pensate che nel 2020 erano 257.977 e nel 2021 erano scesi a 236.481. Che significa? Che erano stati incrementati sotto la spinta del Covid 19. Ricordate gli allarmi del periodo della pandemia?

Quando si diceva che avevamo posti letto insufficienti e che dovremmo aumentarli anche per far fronte a possibili future nuove epidemie. Abbiamo una popolazione che tende a essere sempre più anziana percentualmente e quindi più fragile. Invece di investire in posti letto, strumentazioni ospedaliere, infermieri e medici che si fa? Si investe in armi? Il Paese ha più frane dell’intera Europa, siamo in un contesto sismico con case condonate costruite nel letto dei fiumi e pensiamo a buttare soldi nel ponte sullo stretto di Messina, che i siciliani e i calabresi neanche vogliono?

Medici che vanno all’estero, una delle facce dell’emergenza

Anche rispetto ad altri paesi europei la nostra sanità mostra lacune importanti nella carenza di personale specializzato. La cosa più preoccupante è l’esodo di medici neolaureati e specializzandi, circa 1.000 e più all’anno, che scappano all’estero sia per gli stipendi che per le condizioni del lavoro. Soprattutto nessun medico vuole più fare pronto soccorso. Qui la carenza è di 4.200 medici. In sei mesi da gennaio a luglio del 2022 ben 600 si sono dimessi. Anche tra gli infermieri mancano 70.000 addetti.

Vogliamo far sentire la nostra voce – afferma Francesco Cognetti, Coordinatore del Forum. Rappresentiamo i professionisti che assistono i cittadini nei reparti. Il diritto alla salute è in grave pericolo nel nostro Paese. La situazione degli ospedali è davvero pesante, non più tollerabile e necessita di interventi adeguati e tempestivi. La crisi del sistema ospedaliero, a causa delle politiche deliberatamente anti-ospedaliere dei precedenti Governi, paradossalmente ignorata dal PNRR, è innegabile ed ha raggiunto livelli di tale criticità da creare per la prima volta in tutti noi un enorme problema deontologico.”

Scelte politiche sbagliate hanno messo in difficoltà economiche e professionali i medici e gli infermieri, con conseguenze disastrose per i milioni di pazienti.

Andiamo nella direzione sbagliata e creando premesse per disastri futuri

Il Servizio Sanitario Nazionale (Snn) è sempre meno pubblico e la partecipazione dei privati cittadini alla spesa sanitaria è divenuta via via sempre più imponente fino a raggiungere lo scorso anno la cifra di 37 miliardi, con un numero inferiore di strutture ospedaliere e personale, senza un potenziamento adeguato del territorio. “Dobbiamo abbandonare definitivamente tutte le politiche di deospedalizzazione che hanno colpito il settore negli ultimi 40 anni. Bisogna assumere un numero consistente di medici ed infermieri, per potenziare gli ospedali. Inoltre, va frenato l’esodo di neolaureati, che per specializzarsi vanno all’estero, e il prepensionamento di molti medici, cui vanno garantiti stipendi migliori per evitare, per esempio, la fuga dai Pronto Soccorso”. Questo è il grido di allarme dei medici del Forum (FoSSC).

Dobbiamo arrivare almeno a 500 posti letto per 100.000 abitanti

Gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi dell’assistenza ospedaliera fissati nel DM 70 del 2015, non tenevano in considerazione già allora quelli che erano i parametri vigenti negli altri Paesi europei. Questo ha determinato l’insufficienza e la fragilità del nostro sistema ospedaliero. La Pandemia ha poi acuito questa debolezza.

Ora con il Pnrr si vorrebbero attuare piani insufficienti. “Non basta la costruzione di nuovi edifici, come le 1.350 Case di Comunità, che non rispondono affatto all’idea di prossimità delle cure e rischiano di restare cattedrali nel deserto senza alcun collegamento con l’ospedale. Il numero di posti letto di degenza ordinaria deve crescere ben oltre i 350 per 100.000 abitanti odierni fino a raggiungere almeno la media europea di 500. Anche il numero di posti letto di terapia intensiva deve superare i 14 posti letto, peraltro rimasti sulla carta e mai raggiunti, per arrivare almeno a 20-25 per 100.000 abitanti. In questa situazione riteniamo sia impensabile distrarre personale dai nosocomi verso le strutture territoriali previste dal PNRR, cioè Case od Ospedali di Comunità”.

Anche l’OCSE si è dichiarata molto preoccupata per nuove crisi sanitarie nei Paesi che investono minori risorse in sanità e per l’Italia prevede un investimento pari ad almeno l’1,4% in più rispetto al PIL 2021, che equivale ad un aumento annuo di ben 25 miliardi di euro”.

Una soluzione all’emergenza potrebbe venire dai medici di famiglia

Una volta c’era il medico di famiglia, che conosceva i suoi pazienti ed era la persona di fiducia della comunità per ogni evenienza: dalle emergenze alla pratica quotidiana. Farsi assistere ogni giorno nei presidi delle Asl è diventato impossibile. La burocrazia s’è messa in mezzo tra paziente e malato. E non c’è nessun altro aspetto della vita, a parte l’intimità religiosa, in cui serve invece un rapporto di fiducia e di stima, col medico, per potersi confidare ed avere una risposta scientificamente valida e razionale, per ogni esigenza.

Oggi un medico è più un impiegato, con il suo orario di lavoro e non è sempre disponibile quando serve. Per questo si sta pensando a istituire di nuovo il medico di famiglia. In base alle richieste delle regioni e delle Asl, che conoscono le esigenze della gente, i nuovi medici saranno dipendenti del Ssn, in servizio 38 ore settimanali. Ma di dottori ce ne sono pochi e il Fimmig, sindacato maggioritario del 50% dei medici di base, non è d’accordo che i medici siano dipendenti del Ssn.

Per varare qualsiasi riforma occorre però che ci siano i numeri. Attualmente, come abbiamo detto, i medici scarseggiano e chiamarli da altri Paesi quando i nostri scappano, non mi pare la soluzione migliore. Mancano i medici generalisti, quelli specializzati e gli ospedalieri. Tra chi se ne va in pensione e chi si licenzia per i turni eccessivi e lo scarso guadagno stiamo andando verso una situazione di disastro per i prossimi anni.

Nei pronto soccorso troppi rischi di contenziosi e turni massacranti

Un altro settore della sanità pubblica che rischia di rimanere scoperto – e in parte lo è già, è quello dei pronto soccorso. Per lavorare in questo settore c’è bisogno della specializzazione in Emergenza-Urgenza, una scelta che però sempre meno neolaureati in Medicina compiono e nel 2022 è stato possibile assegnare solo la metà dei posti disponibili.

In questo caso a lanciare l’allarme è Anaoo Assomed: un’analisi del 2022 ha rivelato che ben il 50% dei contratti di medicina d’emergenza non è stato assegnato.  Questo significa che nei prossimi anni saranno sempre meno i medici formati per lavorare in pronto soccorso. I motivi li abbiamo già specificati: turni massacranti, retribuzioni poco allettanti, di certo più basse rispetto al resto d’Europa, ma anche il più alto rischio di contenziosi medico legali e di aggressioni rispetto ad altre professioni mediche.

I Governi non hanno saputo prevedere questa crisi

Negli anni non è stata fatta una programmazione adeguata da parte dello Stato. Nello specifico gli ospedali si sono svuotati prima per colpa del blocco del turn over – ovvero il ricambio di personale – in vigore dal 2005 con il governo Berlusconi due e proseguito con il Prodi due, Berlusconi Tre, Monti, Letta e Renzi.  Tra il 2019 e il 2021 si sono licenziati 9mila medici. Inoltre, i governi che si sono susseguiti negli anni precedenti al Covid-19 non sono stati in grado di garantire un adeguato reinserimento di nuovo personale da sostituire ai medici in età pensionabile.

Secondo una recente stima di Agenas, l’Agenzia Nazionale per i servizi sanitari regionali che fa capo al Ministero della Salute, su 100 medici andati in pensione, 10 non sono stati sostituiti, ma in Regioni come il Lazio, la Sicilia e la Campania il numero sale a 31. È mancato un adeguato piano di ampliamento di posti nei corsi post-laurea di medici generale. Il numero di medici in uscita è molto più alto di quello dei nuovi assunti. Il tasso di turnover in Italia è negativo per la maggior parte delle Regioni.

“Il protrarsi del blocco delle assunzioni, interrompendo la regolare alimentazione dei ruoli – si legge nel rapporto Agenas ha determinato l’innalzamento dell’età media del personale e il conseguente fenomeno della ‘gobba pensionistica’. Tale fenomeno, sebbene riguardi tutto il personale sanitario, appare più minaccioso per i profili professionali già carenti. Le due categorie più a rischio appaiono essere i medici di famiglia e gli infermieri.”

Trattenere in servizio professionisti fino a 72 in prepensionamento al 40%

Una ipotesi di soluzione temporanea, potrebbe essere quella di cui si sta discutendo, circa la possibilità che medici convenzionati disponibili, possano restare in servizio fino a 72 anni.  L’Enpam, Ente di previdenza di medici e dentisti è pronta a recepire questa norma.

Potrebbe non essere del tutto insensata. Anche perché per ogni medico anziano si potrebbe ipotizzare venga affiancato da uno o più neolaureati che potrebbero così godere di un avviamento professionale interessante.

Consentendo al professionista anziano di poter usufruire di un aiuto nei carichi di lavoro. Il medico anziano inoltre potrebbe già godere di una quota del 40% della futura pensione (anticipazione di prestazione previdenziale) pur restando in servizio per il tempo necessario all’arrivo di chi lo sostituirà. In assenza di pianificazioni e soluzioni, andiamo avanti con le “pezze”.