L’unica ragionevole opzione nei confronti della Russia è una mediazione diplomatica
L’Europa contro la Russia. Forse addirittura la Terza guerra mondiale. Una catastrofe che dovrebbe indurre chiunque a una cautela assoluta

Ursula von der Leyen (© Ec.europa.eu)
“Ci si muove su un crinale in cui, anche senza volerlo, si può scivolare in un baratro di violenza incontrollata”. A dirlo, la settimana scorsa e in Slovenia, è stato Sergio Mattarella. E se si trattasse solo di questo gli si potrebbe anche dare ragione. Al di là del fatto che ci sarebbe da discutere, e non poco, su quell’ambiguo “anche senza volerlo”.
Il primo obbligo di chi governa, infatti, è essere lungimirante e restare lucido, escludendo sempre e comunque che le circostanze possano prendergli la mano. Tanto più in una situazione come questa. Dove il rischio non è una litigata ordinaria, che benché furibonda non porta a conseguenze irreparabili, ma un conflitto armato su vasta o vastissima scala.
L’Europa contro la Russia. Forse, o probabilmente, addirittura la Terza guerra mondiale. Una catastrofe (atomica?) che dovrebbe indurre chiunque a una cautela assoluta.
Fin dall’inizio, invece, i vertici UE e quelli di quasi tutti gli Stati europei hanno puntato sullo scontro frontale. L’Ucraina ha tutte le ragioni, Mosca tutti i torti. Putin verrà piegato sia sul piano economico, sia su quello militare. Sul piano economico attraverso le sanzioni. Su quello militare rifornendo Kiev di armi, e di soldi.
Propaganda a oltranza
Che il teorema fosse sballato lo si poteva capire subito. Ma chi non c’è arrivato per tempo dovrebbe almeno ravvedersi davanti all’evidenza dei fatti: l’Ucraina è estenuata, la Russia no. I negoziati di pace sono un’urgenza sempre più pressante per Zelensky, mentre per Putin hanno senso solo a condizione che riconoscano, adesso per allora, ciò che ha sostenuto da sempre: la sua non è stata affatto un’aggressione immotivata a un Paese pacifico e incolpevole, bensì la reazione ai tentativi della Nato di espandersi verso est e di usare l’Ucraina come un proprio avamposto ai confini della Russia. Con tanto di armamenti nucleari.
Macché. Nessun ripensamento e anzi, dai Volenterosi di Macron & Starmer ai vari Kallas, Rutte e compagnia strombazzante, toni ancora più accesi. E versioni più che mai a senso unico.
“Quanto avviene in Ucraina – sottolinea il pensoso Mattarella, proseguendo il discorso sui pericoli incombenti – sta accentuando queste prospettive gravi. Le dichiarazioni frequenti che vengono dal Cremlino, minacciose nei confronti di Paesi europei, sono un elemento che induce all’allarme”.
Voilà: i timori legittimi si trasformano nell’ennesimo j’accuse. Che rende impossibile una ricomposizione pacifica del conflitto in corso.
Okay: parliamo di guerra
Dal 1945 a oggi sono passati ottant’anni. Un lunghissimo arco di tempo che ha sostanzialmente rimosso, nella mente di noi europei, la consapevolezza di cosa significhi essere in guerra. Non per interposta nazione, come sta avvenendo in Ucraina, ma a tutti gli effetti. Con i nostri connazionali al fronte che crepano a decine o a centinaia di migliaia, e con le bombe, i missili, i droni, che ci sventrano le città e aggiungono distruzione ovunque e vittime pure tra i civili.
La guerra è diventata una notizia tra le tante. Un’esperienza indiretta che magari ci turba e ci addolora ma che rimane a distanza di sicurezza. Qualcosa che accade agli altri e che noi seguiamo in televisione, sempre che ne abbiamo voglia. Razionalmente sappiamo che cosa comporta. Quel “razionalmente” assomiglia moltissimo a “astrattamente”. Ne puoi ragionare in lungo e in largo, ma non sei tu quello che è appeso al filo dell’imponderabile e che potrebbe morire da un momento all’altro.
C’è da chiedersi – ci sarebbe da chiederlo a loro, e a brutto muso – se quelli che si compiacciono dell’ipotesi di inviare truppe in Ucraina e si illudono di spaventare Putin evocando il mutuo soccorso dei Paesi Nato abbiano una vera consapevolezza di questi terrificanti scenari.
O se al contrario è solo l’ennesimo riflesso dell’abitudine a campare di bei discorsi e di proclami altisonanti. Le cui ripercussioni, quando ci sono, si scaricano su settori più o meno ampi della popolazione. Ma non certo su di loro.
Far finta di essere forti
Ce l’hanno detto e ripetuto in mille occasioni: la politica è l’arte del possibile.
Vale a dire – a tutto vantaggio di chi governa e mira ad autoassolversi per quello che non riesce a migliorare – non è che non vogliamo. È che proprio non ce ne sono le condizioni. Non dipende mica da noi, ma dalle circostanze. E pazienza se quelle “circostanze” sono in realtà le imposizioni di altri potentati, a cominciare da quelli della finanza internazionale.
Lasciamo da parte questo aspetto, però. Rimaniamo sulla frase-slogan e prendiamola per buona. Se davvero “la politica è l’arte del possibile” l’ovvio corollario è che qualsiasi scelta dovrebbe rientrare tra le opzioni effettive. Ossia tra quelle che sei in grado di rendere operative, perché ne hai non soltanto l’intenzione (l’ambizione) ma i mezzi concreti.
La traduzione, in chiave bellica, è inequivocabile: sei ben armato, sei in grado di produrre le munizioni e quant’altro ti servirà per un conflitto prolungato, e puoi contare su una forte e profonda legittimazione da parte dei cittadini. Si fidano di chi li guida e sono pronti a sopportare i sacrifici che verranno imposti.
Bene. Di tutti questi requisiti l’Europa attuale non ne ha nessuno. Gli armamenti non sono adeguati né per qualità né per quantità, prova ne sia che li si vorrebbe incrementare massicciamente con gli 800 miliardi di euro del piano “Readiness 2030”, e i relativi rifornimenti sono a loro volta un obiettivo remoto e di là da venire. Quanto all’appoggio popolare, se la prospettiva non fosse spaventosa verrebbe da sorridere. O da sogghignare.
Cresciuti alla scuola del consumismo e infrolliti dalla demonizzazione dello scontro fisico (se a scuola ci sono i bulli parlane con lo psicologo, non sia mai che li affronti a cazzotti; se assisti a un crimine chiama le forze dell’ordine, ché non siamo nel Far West) i più non sono minimamente in grado di affrontare le durezze e i lutti di una guerra. In aggiunta, la fiducia nelle classi dirigenti è in caduta libera. Come dimostra, fra l’altro, la disaffezione al voto.
Stando così le cose, l’unica vera e ragionevole opzione nei confronti della Russia era, e rimane, un’effettiva mediazione diplomatica. Che riconosca le cause originarie di quanto è accaduto e che si liberi, finalmente, delle logiche perverse e spocchiose del “noi siamo democratici e di buon cuore, Putin è un autocrate, un tiranno e persino, Macron dixit, un orco”.
Manco per sogno, invece. I guerrafondai made in UE gonfiano il petto e mostrano i muscoli (che non hanno). Un’esibizione grottesca ma che rischia di diventare tragedia. Di immani proporzioni.
Gerardo Valentini – presidente Movimento Cantiere Italia
