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L’ultimo viaggio senza ritorno: Nietzsche a Torino

Nel gennaio 1889, a Torino la sua mente crollò, consegnandolo a una tenebra psichica senza ritorno

friedrich nietzsche

Friedrich Nietzsche (1844-1900)

La vita di Nietzsche fu straordinariamente breve e intensa. Analogamente a Van Gogh e Rimbaud, egli espresse la condizione dell’uomo occidentale contemporaneo in opere di lancinante espressività filosofica, come quegli altri due avevano fatto, negli stessi anni, sul piano pittorico e poetico.

Poiché ciò che deve essere considerato è che, se la sua attività pubblica iniziò nel 1872 quando, giovane professore di filologia greca all’Università di Basilea, pubblicò la “Nascita della tragedia”. Tuttavia, la sua grandiosa ricerca non si concluse il 25 agosto 1900, data della sua morte. Ma più di un decennio prima, nel gennaio 1889, quando, a Torino, la sua mente crollò, consegnandolo a una tenebra psichica senza ritorno.

La testimonianza

Da questo punto di vista, è possibile considerare la silloge di lettere raccolta da Giuliano Campioni e Vivetta Vivarelli per l’editore Adelphi e intitolata “Lettere da Torino” come l’ultimo libro del grande filosofo. Questa raccolta nasce in margine alla grande edizione dell’“Epistolario” di Nietzsche, curata da Giorgio Colli e Mazzino Montinari.

A sua volta, essa nacque in appendice all’edizione critica delle opere di Nietzsche, curata dagli stessi studiosi e pubblicata, oltreché in italiano, anche in tedesco, francese e giapponese. E continuo a pensare che sia straordinario che siano stati due studiosi italiani, a curare Nietzsche per i tedeschi…

Nel 1888, Nietzsche compose i suoi ultimi, fatali, scritti: “Crepuscolo degli idoli”, “L’anticristo”, “Ecce homo, “Il caso Wagner, “Nietzsche contra Wagner”, “Ditirambi di Dioniso”. Il tono, lo stile filosofico di Nietzsche era sempre stato attraversato da una lieve brezza dionisiaca. A partire dalla “Nascita della tragedia”, che ha ad oggetto proprio i rapporti tra apollineo e dionisiaco, nell’ambito della tragedia greca classica.

Ma in questi tardi scritti del suo ultimo anno di vita cosciente, questo aspetto subisce un’ulteriore intensificazione e radicalizzazione. L’interesse delle “Lettere da Torino” sta proprio nel mostrarci che forma avesse, quest’ultima danza sull’abisso compiuta dal grande filosofo tedesco nella città piemontese.

L’ambiente e gli interlocutori

Non è chiaro, se Nietzsche negasse soltanto ai suoi interlocutori eventuali sensazioni negative legate al suo stato di salute psicologica, o facesse lo stesso anche con sé medesimo. Forse una spia è nel tono di trasfigurazione fatale che investe tutto: dal suo destino personale alla città di Torino. Tutto è troppo perfetto, si potrebbe dire. Il mondo è in attesa dell’astro filosofico Nietzsche.

Del resto, al di là delle espressioni enfatiche e al di là del crollo che Nietzsche non aveva previsto, il mondo sarà davvero pronto ad accogliere il suo pensiero. Mai consacrazione sarà di primo rango come la sua. Degna di Platone, Aristotele o di Descartes. Se è nota la battuta che il pensiero occidentale nel suo complesso è un commento a Platone, è possibile dire che il pensiero di un secolo, filosoficamente grande come il Novecento, è un commento a Nietzsche.

Intanto, il filosofo è alle prese con i suoi nuovi libri, con gli editori, con le sempre poco amate madre e sorella, con il suo albergo in centro a Torino, con amici vecchi e nuovi, fa i conti, si compra una stufa, mangia a quattro palmenti.

Visto con le conoscenze odierne, di noi che sappiamo quale sarà lo sbocco drammatico della vicenda, Nietzsche sta preparando le sue cose – e, in particolare, ciò che gli premeva di più: le opere – perché tutto sia in ordine al momento del crollo.

Quando l’amico di vecchia data Franz Overbeck, su sollecitazione del grande storico svizzero Jakob Burckhardt – cui è dedicata l’ultima lettera della raccolta – lo andrà a prendere a Torino, la situazione è ormai senza rimedio.

Irrompe la marea

Poiché l’uomo faceva le cose molto sul serio, qualunque fosse l’ambito a cui aveva deciso di dedicarsi, anche il crollo fu immane. Enorme, incalcolabile, senza rimedio. Su You Tube è possibile trovare brevi filmati del Nietzsche degli ultimi anni. Catatonia assoluta.

Ma ancora da Torino, scrive una serie di biglietti della follia, molto famosi, in cui la coscienza razionale non c’è più, è scomparsa, inabissata. Volta a volta, Nietzsche si firma Dioniso o il Crocifisso. Parole, entrambe, che compaiono nella frase conclusiva di Ecce homo, che può essere posta a suggello di tutta la sua opera: «Sono stato capito? – Dioniso contro il Crocifisso…».

Può essere legittima e sorge spontanea la domanda: qual è l’interesse di contemplare lo sfacelo psichico di un uomo, che non mostrerà più alcuna capacità di ripresa? La domanda è giustificata, soprattutto per chi non ama gli enigmi. Ma se si rivolge alla filosofia e al pensiero qualcosa di più di un interesse occasionale, la sorte umana di Nietzsche è un enigma.

Ed è nota la funzione decisiva che Colli attribuiva all’enigma nell’ambito della cultura greca arcaica. Un enigma che sollecita sempre nuove interrogazioni e interpretazioni. La domanda, ineludibile, è dunque questa: perché il filosofo più decisivo, radicale ed importante del mondo contemporaneo fu avvolto da una crisi psichica di questa potenza? Il parallelo con il destino di Hölderlin ci può aiutare. Così come le riflessioni di Karl Jaspers sul tema genio e follia.

Gli abissi sono, dunque, interessanti. Lo sanno, soprattutto, coloro che soffrono di vertigini, in cui l’attrazione per il vuoto si mischia con il terrore. A scrutare in quel baratro furono in molti. Da Thomas Mann a Gottfried Benn, da Martin Heidegger a Karl Jaspers, da Pierre Klossowski al nostro Giorgio Colli. Senza che nessuna di queste grandi menti sia stata in grado dire una parola convincente, esaustiva, definitiva.

Una risposta plausibile può essere questa. Genio e follia non sono in contrasto tra di loro. Per rimanere all’Ottocento, lo mostreranno tanto Hölderlin nella poesia, quanto Schumann nella musica e Van Gogh nella pittura. Scrutare in quell’abisso può essere inquietante, perfino doloroso. Ma, nello stesso tempo, intrigante, enigmatico.

Ecco perché, accompagnare Nietzsche nel suo ultimo viaggio, che da Torino lo porterà nell’abisso, può anche essere un’avventura piena di fascino