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L’ultimo grande romano. Nota su Marco Aurelio

Il classico di Ernest Renan, “Marco Aurelio e la fine del mondo antico”, contiene la preziosa indicazione di considerare il libro di pensieri di Marco Aurelio come il Vangelo di chi non crede al soprannaturale, come la Bibbia del non-credente, del laico, dell’ateo

Marco Aurelio, Esedra Musei Capitolini

Marco Aurelio, Esedra Musei Capitolini

Nel primo grande libro della filosofia politica occidentale, “La Repubblica” – testo enigmatico e incandescente – Platone propone una tesi carica di risonanze (non solo sul piano politico): ossia che i governanti devono essere filosofi e i filosofi governare.

Nel corso successivo della storia europea, sia antica che moderna, questa costellazione del governante-filosofo si è realizzata in pochissimi casi. Uno di essi è costituito dagli imperatori romani della dinastia degli Antonini, da Traiano a Marco Aurelio e oltre, tra la fine del I secolo e la fine del II secolo d. C.

Seppure i romani non ebbero una tradizione filosofica anche soltanto paragonabile a quella dei greci, tuttavia non è possibile affermare che fossero del tutto privi di personalità di spessore filosofico.

Si pensi agli Scipioni, a Catone il Censore e a Catone Uticense, a Cicerone, allo stesso Augusto e al suo congedo dalla vita, a Seneca. La grande statua equestre di Marco Aurelio, conservata ai Musei Capitolini, sembra porre il sigillo a questa tradizione.

Verso la filosofia

Tuttavia, con gli Antonini accade qualcosa di diverso.  L’aspetto filosofico e quello imperiale, soprattutto nel caso di Marco Aurelio, sono saldamente legati, come ben si accorse Santo Mazzarino nel suo “L’Impero romano” (Laterza 1962). È possibile, sotto questo punto di vista, stabilire una progressione.

Se Traiano fu il grande conquistatore, degno di Alessandro Magno e Giulio Cesare, Adriano fu l’imperatore innamorato della Grecia – e ne sono testimonianza sia Villa Adriana nei pressi di Tivoli, sia le numerose opere da lui lasciate ad Atene. Antonino Pio fu il governatore saggio, legato alla tradizione romana, che si ispirava a Catone il Censore, che aspirava ad essere buon agricoltore e buon padre di famiglia.

Dunque, è soltanto con Marco Aurelio che la figura del governante-filosofo, di ispirazione platonica, prende realmente forma – sebbene l’imperatore non condividesse, nel merito, l’utopia di Platone. Marco Aurelio ci ha lasciato uno dei testi filosofici più belli e importanti non solo di tutto lo stoicismo, ma di tutta la tradizione occidentale. Composto in greco, il titolo suona “A sé stesso” – di solito tradotto come “Ricordi” (Einaudi) o “Pensieri” (Mondadori).

Nello stesso tempo, Marco fu anche un grande imperatore, un Cesare a tutto tondo, in ciò degno dei suoi grandi predecessori, Traiano Adriano e Antonino Pio. Non solo, ma è possibile dire che con lui si incarni, per l’ultima volta, il mondo antico nella sua forma classica. In questa duplice veste, di filosofo e di imperatore, deve essere indagata la sua grande eredità.

Interpreti e studiosi

Su Marco Aurelio esistono alcuni libri capitali.  Il classico di Ernest Renan (1823-1892), “Marco Aurelio e la fine del mondo antico” (1882), che contiene la preziosa indicazione di considerare il libro di pensieri di Marco Aurelio come il Vangelo di chi non crede al soprannaturale, dunque come la Bibbia del non-credente, del laico, dell’ateo.

Di chi riesce a stemperare l’ardore delle passioni grazie ad una lente fredda, razionale, ma non per questo gelida e indifferente. Compassionevole, anzi, verso le sorti di tutte le creature. Non sarà superfluo sottolineare, che è proprio ciò di cui il mondo ha un gran bisogno, oggi come ieri.

Facendo un balzo in avanti di più di un secolo, arriviamo alle grandi interpretazioni del Novecento. Tra cui abbiamo il libro di Pierre Hadot (1922-2010) – magistrale storico della filosofia antica, che si è occupato soprattutto della tradizione degli esercizi spirituali nel pensiero greco e romano – dal titolo “La cittadella interiore.

Introduzione ai ‘Pensieri’ di Marco Aurelio” (1992, ed. it. Vita e Pensiero), che, nell’edizione italiana, è introdotto da Giovanni Reale, altro grande studioso della filosofia antica delle ultime generazioni. Infine, merita di essere ricordata la biografia di Pierre Grimal (1912-1996), “Marco Aurelio. L’imperatore che scoprì la saggezza” (1991, ed. it. Garzanti).

Storico attento, scrupoloso, docente alla Sorbona per decenni, autore di studi importanti sulla Roma degli Scipioni, su Cicerone, su Seneca – il libro di Grimal è un ritratto a tutto tondo di Marco Aurelio, del suo mondo, della sua singolare personalità, della sua politica imperiale, delle sue guerre per rafforzare i confini, dei suoi legami familiari, dei suoi maestri, della sua formazione, del ruolo della filosofia nella sua vita, del suo rapporto con il divino, cui è dedicato lo splendido nono capitolo che chiude l’opera.

Laddove, il grande studio di Hadot – sicuramente imponente sul piano dottrinario – resta confinato nell’alveo delle monografie storico-filosofiche o filosofico-ermeneutiche, tendenti a trascurare il piano storico vero e proprio, Grimal ci offre il ritratto dell’uomo in un’ampia gamma di manifestazioni.

In nuce

Così, attraverso la ricostruzione storica, acuta e attenta, offerta dal libro di Grimal, ci balza incontro l’uomo Marco Aurelio, osservato a distanza ravvicinata. I rapporti con i maestri, Frontone soprattutto. Quelli con i grandi personaggi della sua epoca, come Adriano, Antonino Pio, Lucio Vero, Elio Aristide e Avidio Cassio. L’inclinazione verso la filosofia.

Il tenero sentimento verso i familiari, anche quelli velati da ombre, come la moglie Faustina Minore e il figlio Commodo, futuro imperatore. La sua opera di imperatore, sia nelle vesti di legislatore che di capo militare. L’iniziazione ai Misteri Eleusini nel 176 d. C. e la diffidenza verso il cristianesimo. La sua umanità verso gli schiavi. Il nomignolo assegnatogli da Adriano, fin da quando era bambino: Verissimus.

Un passo del libro “I dèmoni. Undici confessioni apocrife” (Il Poligrafo 2006) di un altro grande studioso, Enzo Mandruzzato (1924-2012), ci avvicina al mistero della vita, della personalità, del pensiero di Marco Aurelio.

Nel testo intitolato “Dialogo a Delfi”, due giovani, Filippo e Demofilo, il primo cristiano e il secondo pagano si confrontano a tutto tondo e il primo dice al secondo, a proposito di Marco Aurelio: “Guardare il cielo per imparare, contemplare l’ordine e la razionalità dell’universo, nel quale tutto è bene. Così bene che anche noi saliremo a quell’ordine.

Siete dei saggi molto signorili, e anche molto discreti. Aurelio Antonino che si prende il lusso di scrivere un bel libro di massime sublimi, in greco, di dormire sulla nuda terra al fronte danubiano, di essere perfetto.

Le sue statue lo presentano sempre clemente, sereno, umano, con quelle sopracciglia un po’ alte, come le tue…E quella barba curata. ‘Se un chicco d’incenso cade prima e un altro dopo, che importa?’ scrive. Ma il suo gesto è come sulla cima del mondo. Lui sì ha ereditato tante cose, tra cui l’impero: e se vuoi la virtù.

No, non reagire, non gliela tolgo, non la misconosco. Penso solo che davvero è un ‘signore’, dominus. Così signore da avere come seguito tutti i suoi sudditi, nel cammino verso le stelle. Non è un caso che gli stoici propendano allo spiritualismo mistico più di tutti. Sono davvero signori, e il signore non chiede. È abituato a ricevere. È nato nell’ordine” (pp. 244-245)

Amuleto

Cercando di focalizzare al meglio ciò che l’esperienza legata al nome di Marco Aurelio può significare per noi, c’è un elemento su cui Grimal insiste e ritorna più volte. Un punto che serve a chiarire il mistero della personalità di Marco e la sua larga e profonda umanità, che lo hanno reso l’ultimo dei grandi romani.

Questo aspetto cruciale è costituito dall’importanza che il sentimento della tenerezza philostorgia, in greco (la lingua che Marco utilizzava per il pensiero e per gli affetti) – rivestiva per l’imperatore. Laddove ci sono forza e umanità autentiche, c’è spazio per sentimenti come la tenerezza, la dolcezza, la compassione.

Si tratta di ciò che, propriamente, ci rende uomini e che il mondo antico ci invita a non trascurare