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La sfida della libertà: maestri del Novecento

“Non l’Uomo, ma gli uomini abitano questo pianeta. La pluralità è la legge della terra”

guernica, quadro di pablo picasso

Guernica, di Pablo Picasso

In questo 2021 difficile e complesso, in cui l’Italia e il mondo sono funestate dalla pandemia del Coronavirus, tre libri estremamente importanti per la cultura filosofica contemporanea compiono settant’anni. Si tratta di “Minima Moralia. Meditazioni della vita offesa” (ed. it. Einaudi) di Theodor W. Adorno; di “Le origini del totalitarismo” (ed. it. Einaudi) di Hannah Arendt; del “Trattato del Ribelle” (ed. it. Adelphi) di Ernst Jünger. Tutti e tre usciti nel 1951.

Ora, a questo proposito, un equivoco deve essere subito chiarito. Ossia che, tanto per i tempi della storia tout court, quanto per i tempi della storia del pensiero, settant’anni sono un battito di ciglia.

Dunque, i tre testi che abbiamo citato, appartengono storicamente al nostro ieri. Che poi abbiano avuto, nell’evoluzione culturale di chi scrive, un ruolo enorme, è un fatto assolutamente trascurabile, naturalmente. Tutti e tre questi grandi libri hanno al loro centro il problema della libertà. Vediamo in che senso.

Conservare la libertà

Per Jünger – eroe pluridecorato nella Prima guerra mondiale, esploso con libri come il romanzo “Nelle tempeste d’acciaio” (1920) o con saggi come “La mobilitazione totale” (1930) o “Il lavoratore” (1932) – il “Trattato del Ribelle” è un testo relativamente tardo. Va detto che la vita di questo autore sarà lunghissima.

Nato nel 1895, morirà nel 1998, e dunque è possibile trovare suoi importanti libri in anni assai più recenti. (Non è la prima volta, del resto, che lo affrontiamo nelle nostre rubriche). Ma lo Jünger di questo magnifico libriccino parla ancora il linguaggio dello Jünger vecchia maniera. Non a caso l’incipit del libro suona: Hic et nunc. Passare al bosco”.

Il problema del pensiero di Jünger ci tocca ancora molto da vicino. È il problema del nichilismo e della libertà nel mondo della tecnica. Di solito si associa la teorizzazione filosofica della tecnica al nome di Heidegger. Eppure, come lo stesso Heidegger era incline ad ammettere, dato il rapporto di stima reciproca esistente tra i due, Jünger lo anticipò di circa un ventennio. Mantenendosi fedele ad uno stile speculativo più libero, che gli permise di percorrere, con ampiezza, la via del romanzo.

I grandi nemici della libertà

Rispetto all’agile testo di Jünger, “Le origini del totalitarismo” di Hannah Arendt è un ponderoso trattato di filosofia politica, che ha ad oggetto la drammatica crisi della politica in un secolo come il Novecento. Poiché le tirannidi e le dittature hanno sempre fatto parte della cultura politica occidentale. Il totalitarismo – e con questo termine, Arendt intendeva principalmente il nazismo tedesco e lo stalinismo – è, invece, un fenomeno nuovo e radicalmente inaudito. I Lager e i Gulag ne sono, non a caso, il simbolo.

Leaders politici affetti da forme cliniche di paranoia, Hitler e Stalin realizzarono sistemi di dominio in cui non era solo la libertà politica ad essere coartata – come, tutto sommato, accadeva ancora nel fascismo italiano. Quanto piuttosto la libertà come fatto filosofico ed esistenziale, cui Arendt deve l’elaborazione ai suoi maestri Heidegger e Jaspers, imprescindibilmente connesso alla condizione umana sulla terra. Nelle sue opere più tarde, Arendt esprimerà questa insopprimibile esigenza, con la stupenda frase: “Non l’Uomo, ma gli uomini abitano questo pianeta. La pluralità è la legge della terra”.

L’arcano maestro

Adorno, da marxista eterodosso che non amava la scuola di Heidegger, disprezzava tanto Jünger che Arendt. Vedeva manifestarsi in loro forme degenerate di logos, in cui erano assenti tanto la dialettica di Hegel quanto la critica del capitalismo di Marx.

Eppure, egli riuscì nel miracolo di restare libero dal delirio ideologico di tanta parte del marxismo novecentesco. Grande lettore di Goethe, Hölderlin, Schopenhauer e Nietzsche, come i suoi sodali e maestri Benjamin e Horkheimer, egli ebbe un fiuto micidiale per le tare della cultura industriale applicata alla cultura di massa e per l’alienazione in regime di capitalismo avanzato.

“Minima Moralia”, raccolta di 153 aforismi dedicata a Max Horkheimer, è un testo di un’efficacia, di una radicalità e di una potenza strabilianti. Libro profondamente tragico, scritto durante l’esilio americano, ha consegnato il suo autore alla leggenda. Mettendolo sulla scia dei grandi esponenti della letteratura aforistica tedesca: Goethe, Nietzsche, Kraus, Hofmannsthal, Benjamin.

Poiché la sfida della libertà è sempre complicata nella storia umana. Soprattutto in un’epoca come la nostra, in cui dominano incontrastate le dimensioni mediatiche e digitali. Questi tre libri sono in attesa di tutti coloro che, sulla soglia del secolo e del millennio venturi, vogliono ancora compiere lo sforzo di pensarsi come uomini.