La distanza tra popolo e classi dirigenti, a cominciare dall’UE, si espande a dismisura
Democrazia, com’è noto, significa letteralmente “potere del popolo” e il compito delle élite sarebbe rappresentarlo dignitosamente

Ursula von der Leyen (© Ec.europa.eu)
I cittadini non votano, i politici fanno finta di niente. I cittadini pensano una cosa – per esempio che non hanno nessuna intenzione di fare la guerra alla Russia – e i politici se ne infischiano. Perché hanno deciso così. Perché sono al servizio di altri interessi, di altri poteri, di altri scopi. Loro sì che capiscono: e infatti comandano. I popoli mica devono capire: basta che ubbidiscano.
Magari controvoglia. Magari lamentandosi o addirittura protestando un po’. Ma alla fine chi se ne frega: basta che non si ribellino sul serio. Basta che non smettano di essere l’unico tipo di popolo che i potenti desiderano: il popolo bue. Buono per tirare l’aratro (del PIL). Buono da mandare al macello (se la guerra dovesse essere “inevitabile”).
Finora è andata così. Le classi dirigenti a tirare i fili, la generalità dei cittadini a sforzarsi di cavarsela comunque. E siccome più o meno ci si riusciva, nella relativa tranquillità dell’Europa ingrassata all’ombra degli USA, le contraddizioni e i vizi rimanevano sullo sfondo. Benché il sistema fosse palesemente iniquo – e logora la retorica di chi si ostinava a cantarne le lodi – la reazione prevalente era l’indifferenza.
I capi sono quelli che sono, noi tiriamo avanti comunque.
Le elezioni continuano a svolgersi come al solito ma noi non siamo tenuti a partecipare: un tempo sì, credevamo che il nostro voto potesse servire a orientare i governi e a modificare in meglio la realtà; poi abbiamo capito che non è vero. O lo è solo in misura limitata e riguardo ad alcuni aspetti.
Di carattere generale per un verso: meglio le destre, che almeno non ci sommergono con le ipocrisie e la spocchia dei progressisti da salotto. Marginali per l’altro: le decisioni cruciali si prendono altrove.
Democrazia di nome, oligarchia di fatto.
Il popolo di qua, il potere di là
Versione garbata o persino colta: c’è una profonda, enorme, crescente crisi di legittimazione. Versione spiccia, o persino volgare: sempre più persone ne hanno le palle piene dei politici odierni. E soprattutto di quelli del PD e dintorni. Quelli del fantomatico “campo largo”. Quelli che si ergono a difensori dei deboli e degli oppressi, sorvolando su ciò che sono stati in precedenza e che in effetti sono ancora, dietro la riverniciatura “movimentista” di Elly Schlein.
La scommessa è collaudata: i cittadini hanno la memoria corta e abboccano facilmente a qualsiasi esca che appaia nuova e desiderabile. Serve un taumaturgo esterno e arriva Prodi. Serve un rottamatore che promette miracoli e arriva Renzi. Serve una donna da contrapporre a Giorgia Meloni e arriva appunto la Schlein.
Visto? I gazebo acclamano e un futuro radioso si annuncia. I votanti di passaggio diventano “il popolo del PD” e chi ha organizzato la baracconata gongola. Il KO delle Politiche 2022 è alle spalle e il rilancio è alle porte. La genialata funziona. La messinscena è servita.
Questo tipo di scommessa ha funzionato molto a lungo ed è comprensibile che quelli che ci hanno lucrato sopra per così tanto tempo siano restii a rinunciarci. Per quanto vergognoso sia il cinismo su cui si basa, per i mestieranti della politica il problema non si pone. Le hanno imparate così, le regole del gioco, e così perseverano ad applicarle.
È stata la chiave di volta delle loro carriere: barcamenarsi in ogni tipo di mare, galleggiare nella bonaccia e sopravvivere alle tempeste, fare proclami altisonanti e compromessi vantaggiosi. Raccontarsi in un modo e agire in un altro. E che dobbiamo fare, d’altronde? Mica è colpa nostra, se la politica è fatta in questo modo.
La democrazia inceppata
In condizioni di quiete, questo degrado viene sostanzialmente accettato. O quantomeno tollerato.
Più di qualcuno lo asseconda attivamente, perché è a sua volta compartecipe dei profitti e dei privilegi che ne derivano. Molti altri ci coesistono per i più diversi motivi: dal conformismo spicciolo al fatalismo smaliziato, dalla speranza di godere almeno delle briciole di quel banchetto senza fine alla mancanza di alternative credibili.
In tempi di crisi, invece, la situazione cambia. Si incrinano le certezze, o vengono tout court spazzate via (vedi i tanti e brutali diktat di Trump), e gli abusi dei potenti emergono con una forza assai maggiore. I loro inganni non sono più solo dei trucchi sullo sfondo, ma delle menzogne che intessono trame terrificanti e che preludono a esiti catastrofici: come nella pretesa, delirante, di stroncare Putin con la forza delle armi.
Cambia la situazione, cambia la percezione
L’ignavia è un lusso. Quegli “squilibrati equilibri” traballano e il crollo incombe. Un conto è vivacchiare in periferia, un altro è rischiare di restare schiacciati sotto le macerie. Rischiare. O esserne pressoché sicuri.
Non è più questione di disagi, ma di disastri. Ai disagi puoi farci l’abitudine. Ai disastri no. I responsabili dei disagi puoi lasciarli impuniti. Quelli dei disastri in avvicinamento devi cercare di fermarli prima che sia troppo tardi.
La distanza tra popolazione e classi dirigenti, a cominciare da quelle in ambito UE, si sta espandendo a dismisura e ad alta velocità. Una divaricazione che non può più essere ignorata appellandosi al consueto e infido “la gente comune non ne sa abbastanza e bisogna lasciar fare ai professionisti”.
Le sedicenti élite
Democrazia, com’è noto, significa letteralmente “potere del popolo”. Il compito delle élite è rappresentarlo, trasformando in scelte concrete e pragmatiche le esigenze che non tutti i cittadini riescono a mettere a fuoco in modo saggio e realistico. Ma nell’Europa in cui ci tocca vivere, e ormai da troppo tempo, questo compito è stato snaturato e tradito: dalla rappresentanza legittima alla usurpazione arbitraria. Chi sta in cima non ha mai torto. Chi ha torto, se non concorda e non si adegua, è chi sta sotto.
Persino un quotidiano mainstream come La Stampa ha centrato il punto, anche se lo ha fatto occupandosi in modo specifico del PD e delle sue sbiadite e testarde reazioni dopo la sconfitta/debacle subita nelle Regionali delle Marche.
L’articolo, pubblicato martedì scorso, è di Alessandro De Angelis. La chiusura è fulminante.
“Si potrebbe nominare un nuovo popolo, perché l’attuale non ha capito il Comitato Centrale, come diceva Bertold Brecht. È una linea. Però difficilmente praticabile.”
Gerardo Valentini – presidente Movimento Cantiere Italia