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Invecchiare bene è possibile? Tutto merito della riserva cognitiva

Invecchiare è qualcosa che capita prima o poi nella vita, ma come si fa a invecchiare bene e perché la riserva cognitiva di alcuni è migliore?

Due anziani di spalle in automobile felici

Con un calo demografico ormai certo, invecchiare bene diventa una delle grandi scommesse del futuro; ma come si fa a invecchiare bene? Con la riserva cognitiva.

La popolazione anziana di oggi ha vissuto la sua giovinezza nel secondo dopoguerra, un periodo di grande trasformazione culturale, economica e sociale.

I nuovi anziani hanno avuto libero accesso all’istruzione, molti di loro sono diplomati e alcuni laureati. Negli ultimi 100 anni la popolazione anziana è raddoppiata, si vive più a lungo e si stima un’età media di vita intorno agli 80 anni. Sono calate sensibilmente le nascite e ciò non permetterà ai nuovi anziani di avere vicino familiari accudenti.

La massa di popolazione anziana che si avrà tra pochi anni sarà un evento unico nella storia. Questa trasformazione della società ci obbliga a riflettere e a preparare modelli d’intervento che evitino il ricorso in massa alle case di riposo e a prevenire la solitudine.

Cambiano i target d’intervento, cambiano i bisogni, cambiano le aspettative verso i servizi alla persona. Nelle persone affette da demenza ci si è resi conto che anche negli stessi test per misurare il grado di deterioramento cognitivo andavano modificati e aggiornati alle nuove abilità acquisite dai giovani anziani.

Invecchiare bene grazie alla riserva cognitiva: chi sono gli anziani?

Si definisce anziano una persona che abbia compiuto i 65 anni di età, sebbene in piena attività lavorativa, comunque anziano. Sappiamo che c’è chi invecchia bene, reagisce positivamente al passare del tempo e risponde diversamente alle lesioni cerebrali che a lungo andare portano al deterioramento cognitivo, come avviene nella malattia di Alzheimer.

Come si spiega questo diverso percorso di evoluzione della vecchiaia e il diverso progredire della malattia da individuo a individuo? La risposta risiede nel nostro cervello e si tratta della cosiddetta “riserva cognitiva”.

Yaakov Stern della Columbia University,  definisce la riserva cognitiva strettamente dipendente dalle esperienze e attività “cognitivamente stimolanti” nella vita di ogni individuo. Quindi il cervello è in grado di compensare un danno utilizzando delle riserve cognitive messe da parte durante l’arco di vita precedente alla malattia.

La riserva cognitiva non è solo frutto di un’alta scolarizzazione ma riguarda tutte le attività positive che la persona svolge quotidianamente: attività fisica, buon cibo, la lettura, gli hobby, il teatro e tutto ciò che dona benessere. L’accumulo di riserva cognitiva rende il cervello sempre attivo e più ricco di sinapsi rispetto a un cervello di una persona depressa e sedentaria.

Quindi se oggi i giovani anziani hanno davanti più di venti anni di vita rispetto al passato sarà necessario e urgente investire sull’invecchiamento attivo e adottare politiche sociali che permettano a questa grande massa di popolazione di invecchiare bene, di evitare l’isolamento e di produrre benessere per se stessi e per la società.