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Intervista a Paola Lavini, interprete con Elio Germano di “Volevo nascondermi”

In concorso alla 70esima Berlinale e nelle sale italiane dal 27 febbraio: il film narra la tormentata esistenza del pittore e scultore Antonio Ligabue

In concorso alla 70esima Berlinale e nelle sale  italiane dal 27 febbraio: il film Volevo Nascondermi, per la regia di Giorgio Diritti, narra la tormentata esistenza del pittore e scultore Antonio Ligabue, interpretato da Elio Germano. Nel film troviamo anche Paola Lavini, attrice emiliana ma romana d’adozione che, dopo il successo di pellicole come Anime nere di Francesco Munzi e Terra bruciata di Luca Gianfrancesco, torna al cinema con un film girato nella sua terra d’origine.  “Volevo nascondermi” è un film che parla di emarginazione, solitudine  e di arte come forma di riscatto. Incontriamo Paola Lavini per parlare con lei di questo film, ma non solo.

Con Volevo Nascondermi aggiungi un importante tassello alla tua carriera di attrice. Ci racconti che tipo di donna è Pina, il personaggio che interpreti nel film,  e cosa rappresenta nel tuo percorso professionale?

Pina è un’attrice, una bella donna, conosce Antonio Ligabue  durante la lavorazione del documentario sulla vita del pittore  e, ahimè, è attrice anche nel suo rapporto con lui. Toni/Antonio Ligabue si è già arricchito  grazie alla sua arte e l’ ‘infatuazione’  di Pina per lui è del tutto interessata, quando invece lui avrebbe bisogno di un amore autentico. Questo ruolo rappresenta per me una serie di traguardi che mi ero prefissata : innanzitutto lavorare con Giorgio Diritti che stimo da sempre , amo il suo cinema e quello che ha da dire , inoltre confrontarmi con lo straordinario Elio Germano (ho detto anche a lui che vorrei essere il suo alter ego femminile)  e, infine,  tornare a lavorare nella mia terra di origine –  che è l’Emilia Romagna –  e raccontarla.

Hai girato diverse scene con Elio Germano, come ti sei trovata a lavorare con lui?

Benissimo. Attore preciso, meticoloso, in ascolto dell’altro. Ero a mio agio sia sul set  – pur sapendo che lui era ed è un mostro di bravura,  ma  io amo confrontarmi con quelli bravi –  che fuori dal set, data la sua umiltà  e voglia di vivere coinvolgente.

Come hai lavorato con il regista Giorgio Diritti? Avete costruito assieme il personaggio o  ti ha lasciato libera  di crearlo e svilupparlo?

Come ho detto prima , è un regista che stimo da sempre. La costruzione del personaggio era già  partita dal provino. Avevo centrato il colore di quel personaggio: rosso. Sul set è stata una costruzione fatta insieme, ma basata su una fiducia reciproca e quindi in un qualche modo libera di essere espressa. Giorgio Diritti è di poche parole ma di grandi contenuti e sostanza, sono stata orgogliosa di  riuscire a restituirgli il personaggio che si aspettava.

C’è qualcosa che in questo film che ha rappresentato per te una sfida particolare?

Sicuramente reggere il confronto con Elio Germano, con il suo talento, con il suo nome.  Un confronto sano, ma che c’è, indubbiamente. La sfida è stata anche quella di studiarmi alla perfezione il dialetto di Gualtieri (la cittadina emiliana dove si svolge il film ndr), passando ore al telefono con la gente del posto per coglierne le sfumature, che sono diverse ad esempio dal dialetto di Modena, che è quello che parlo io, essendo nata lì. Mi sono concentrata sul linguaggio, come una vera secchiona.

Il film è in concorso alla 70esima Berlinale, cosa può  offrire oggi il cinema italiano ad una platea internazionale?

Innanzitutto voglio dire che essere a Berlino rappresenta un’ esperienza unica. Penso di essere capitata in un ‘filmone’ che si merita tutta questa attenzione. Il cinema italiano può offrire tanto, credo che all’ estero ci amino molto ,molto più di quello che pensiamo.  Il cinema italiano è vivo, anche oggi. Tanta creatività, tanta poesia , tanta professionalità e qualche ‘picco’ di genialità che non viene dalla studio a mio avviso, ma da un Dna che ci contraddistingue, quasi come marchio di fabbrica. Made in Italy.

Cos’è per te il cinema d’autore?

Io abolirei questa definizione, pur avendo fatto molto cinema cosiddetto “d’autore'”. Per me il cinema è cinema. E, se fatto bene, significa che c’è sempre dietro un grande autore. Non mi piace questa connotazione quasi ‘di nicchia’.  Vorrei che il cinema parlasse a tutti , che fosse comprensibile a tutti , arrivasse in quante più sale e a quante più persone possibili.

La musica fa parte della tua sfera artistica, quando è arrivata nel tuo percorso professionale  e quanto è presente?

La musica fa parte da sempre della mia sfera artistica, canto fin da piccola; per intenderci, io nasco nel coro della parrocchia. La mia era una parrocchia molto ‘avanti’: già all’epoca cantavamo canzoni pop in chiesa. Poi sono arrivate  le band (anche  rock e metallare), ho fatto tanto pianobar, preso lezioni di canto, per poi approdare ad una scuola di musical poco più che ventenne. Ho recitato in numerosi spettacoli di musical  e continuo a farlo, lavoro col M° Vince Tempera, ho partecipato recentemente all’incisione della colonna sonora di un film e sto incidendo canzoni mie. E considera che vengo da un’accademia d’arte drammatica dove al saggio finale recitai ne” L’Opera da tre soldi” di Bertolt Brecht!

Hai un rapporto molto profondo con il Marocco. Ce ne parli? T

L’accademia d’arte drammatica che frequentai, finanziava gemellaggi culturali con tutto il mondo, tra cui il Marocco. Qui, grazie al fatto che conoscevo molto bene il francese, potei cominciare ad entrare nella loro cultura non da turista, ma da indigena. Venni accettata, forse grazie anche alla mia fisicità che ricorda molto quella delle donne arabe (e questo lo devo a mia mamma che, essendo del sud, mi ha trasmesso tratti somatici molto mediterranei). Già da piccola ascoltavo musica africana. Non chiedetemi il perché. Già quindicenne mi occupavo di integrazione. Sono sempre stata molto affascinata dalla loro musica e dal loro modo di vivere. Dal mangiare con le mani. Ritrovo in questo paese molte somiglianze con quello che mi è stato raccontato dell’Italia negli anni ’60 , nel dopo guerra. Continuo a sospettare di avere nella mia genia qualche parente di quelle parti . Qualcuno mi ha detto che ero una danzatrice del ventre qualche…vita fa.

Dove ti vedremo prossimamente, quali progetti ha in serbo?

Ho appena finito di girare il film “Anima bella” di Dario Albertini, inoltre  è in post-produzione il film “L’isola del perdono” del regista Ridha Behi, girato in Tunisia con Claudia Cardinale.  Anche qui si parla di integrazione e di divisione, quella degli anni ‘ 50. Un tema, quello dell’integrazione, a me sempre  molto caro e per cui mi batto attraverso l’arte.

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