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Il vaticanista Tornielli: “Pasqua 2020 di sofferenza e surrogati virtuali”

La Pasqua 2020, segnata dal distanziamento sociale, celebrata in diretta streaming senza fedeli, un evento di portata storica e sociale eccezionale

La Pasqua 2020 sarà una Pasqua speciale come ogni volta che una ricorrenza spirituale cadenza il ritmo delle nostre vite. E sarà una Pasqua segnata dal distanziamento sociale, celebrata in diretta streaming e in Tv senza folla di fedeli. Un evento di portata storica e sociale eccezionale, che vede Bergoglio trovare nella cifra del virtuale l’unico modo di tenere unita la comunità dei fedeli. Le disposizioni in tema di messa si trovano nel decreto “In tempo di Covid-19”, inviato dalla Congregazione vaticana per il Culto Divino fino alle parrocchie. La Lavanda dei Piedi non potrà essere svolta e la Via Crucis non avrà la suggestiva cornice del Colosseo. Abbiamo chiesto al vaticanista, giornalista, scrittore e direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, Andrea Tornielli, una sua analisi di questo fenomeno religioso e sociale inedito:

“Certamente è un momento di grande lutto e sofferenza, perché si celebra la Paqua davanti a migliaia e migliai di morti in tante regioni, soprattutto del Nord Italia. La sofferenza dei malati e delle famiglie è presente nel vivere questa Pasqua. Un altro motivo di sofferenza sarà nel fattto che le persone non potranno recarsi in chiesa e celebrare i riti come la veglia e la messa di Pasqua, con le proprie comunità. In tal senso i nuovi mezzi di comunicazione come lo streaming e i social sono un surrogato importante, ma che non può e non deve in alcun modo sostituire l’aggregazione cattolica che si vive di persona, anche se questi media aiutano a sconfiggere un po’ di solitudine e danno un senso virutale di comunità.

Non è la prima volta nella Storia che non è possibile celebrare grandi feste nelle chiese, successe infatti nel 1576 quando un’epidemia di peste sconvolse Milano e non si poté celebrare neanche il Natale. San Carlo Borromeo era circondaro da medici e da scienziati della sua epoca e propose alle autorità governative la quarantena che durò poi più di 40 giorni. Negli incroci principali della città di Milano aveva creato delle colonne con fissata la croce e un altare, dove i sacerdoti celebravano la messa e le persone dai loro balconi e finestre, potevano seguirla e pregare. Adottando dunque quel distanziamento sociale di cui parliamo oggi. In quell’epoca si trovò un compromesso e oggi è quello offerto dalla tecnologia. Anche se la situazione è diversa, mondiale, con città e metropoli non paragonabili a quelle di seicento anni fa. Questi mezzi, ribadisco, sono un aiuto ma la fede cristiana resta comunitaria, si vive di persona, la totalità della persona con i fratelli che si comunicano l’Eucarestia del corpo di Cristo. Usiamoli senza infatuarcene, la fede non si vive virtualmente”.

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