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Il politically correct va alla (inutile) guerra delle parole

Vari musei europei, dal Prado al Rijksmuseum alla National Gallery, cambiano titoli o descrizioni dei quadri per renderli più “inclusivi”: e il Pd vuole che Montecitorio diventi la “Camera delle Deputate e dei Deputati”

Basta politically correct

Basta politically correct (© Wikipedista DeeMusil / Wikimedia Commons)

Bisogna ammettere che col politically correct non ci si annoia mai. Ogni volta, infatti, che si pensa che abbia toccato il fondo, questa ideologia distopica e del tutto scollata dalla realtà inizia a scavare. L’ultima follia è una (inutile) guerra delle parole, che dà ulteriormente la misura di quella cupio dissolvi verso cui continua a correre, forse inesorabilmente, l’Occidente.

Basta politically correct
Basta politically correct (© Wikipedista DeeMusil / Wikimedia Commons)

L’inutile guerra delle parole del politically correct

Partendo dal nostro giardino, paradigmatica è una proposta di legge costituzionale presentata, come riporta l’ANSA, dai due parlamentari dem Gian Antonio Girelli e Sara Ferrari. Che prevede di cambiare la denominazione di Montecitorio in “Camera delle Deputate e Dei deputati” in nome di una malintesa «parità di genere».

Camera dei Deputati
Camera dei Deputati (© DellaGherardesca / Wikimedia Commons)

Perché allora non “Camera e Camero”, verrebbe da chiedersi, se tanto bisogna ridurre le battaglie per i diritti a una parodia macchiettistica. Ma in fondo è solo l’ennesima conferma che il Pd ha il senso delle priorità sviluppato come quello del ridicolo.

Un “virus” diffuso in tutta Europa

Si tratta comunque di un “virus” che, quanto pare, è diffuso per buona parte del Vecchio Continente, come dimostra un recente video di France 24. Che rileva come diversi musei europei stiano autocensurando titoli e descrizioni di opere d’arte anche di pittori importantissimi, per adottare un fantomatico «linguaggio più inclusivo». Il che, paradossalmente, nella smania iconoclasta risulta talvolta più discriminatorio della (presunta) discriminazione.

Pourquoi les grands musées rebaptisent-ils leurs œuvres ?

🎨🖼️ Des tableaux signés #Velázquez ou #Degas, accrochés sur les murs du #Prado, du #Rijksmuseum, ou de la #NationalGallery. De nombreuses œuvres ont vu leur titre ou leur description modifiés ces derniers mois. Les musées adoptent un langage plus inclusif, plus féministe pour respecter les sensibilités contemporaines.- Avec Culture Prime

Pubblicato da FRANCE 24 su Mercoledì 7 febbraio 2024

Accade, per esempio, al Prado di Madrid, che tra l’altro ha eliminato ogni riferimento al nanismo, sostituito da perifrasi che di nazionalpopolare hanno poco o nulla. Tipo «persone che soffrivano probabilmente di acondroplasia», come si può leggere oggi di due personaggi raffigurati da Diego Velázquez nel suo capolavoro Las Meninas.

Diego Velázquez - Las Meninas
Diego Velázquez – Las Meninas (Madrid, Museo del Prado, 1656 ca.). Immagine da Wikimedia Commons

Analogamente, il Rijksmuseum di Amsterdam ha espunto dai cartigli termini ora considerati «coloniali» e «razzisti», come “moro” o “maomettano”. Mentre nella National Gallery di Londra le Danzatrici russe di Edgar Degas, dopo lo scoppio della guerra tra Mosca e Kiev, sono diventate Danzatrici ucraine.

Edgar Degas - Danzatrici russe
Edgar Degas – Danzatrici russe (Londra, The National Gallery, 1899 ca.). © The National Gallery

D’altronde, anche a livello linguistico i deliri woke sono figli di quella cancel culture che a sua volta nasce proprio dal politically correct. E, come ironizzava anni fa il mitico Gigi Proietti in una celebre réclame, «se ne incontrano di idiomi nella vita!»