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Guerra: condividere la paura fa sperare i nostri giovani

Se è vero che la paura è un’emozione contagiosa, la condivisione di essa è la più potente fonte di coraggio!

La guerra è un fenomeno sociale, un conflitto armato fra coalizioni oppure fra Stati sovrani, che ha come fine ultimo quello di risolvere una contesa internazionale, motivata da dispute economico-ideologici, politico-militari o territoriali. Ma quando veramente ha un inizio una guerra? L’inizio di una guerra è il momento in cui si ha una dichiarazione ufficiale o quando viene sparato il primo colpo? E quando realmente finisce?

Forse è più probabile che “La Guerra “, intesa come fenomeno sociale sia difficilmente definibile dentro un preciso spazio temporale, dato da un inizio e da una fine, come invece abbiamo studiato sui testi di scuola. Purtroppo, i suoi prodromi in molti casi sono vissuti ancor prima del primo scontro armato e l’onda lunga delle conseguenze belliche lascia ferite nel tessuto sociale, difficili da rimarginare, con un eco lungo anni. Oggi il mondo è in una fase particolare rispetto al discorso guerra. I conflitti in corso in alcune regioni del globo vedono il riaccendersi di tensioni fra le più grandi superpotenze sulle egemonie geopolitiche.

Questa tensione ci ha riportato indietro agli anni della guerra fredda dove l’incubo di un terzo conflitto mondiale ha condizionato fortemente la serenità dell’intera umanità. La cortina di ferro di quel periodo, malgrado fosse strutturale e animata da contrasti ideologici, restava però più carsica, aveva le caratteristiche di un “un detto non detto “di un “potrebbe accadere”, oggi al contrario, telegiornali o quotidiani come anche i social, utilizzano un modello di comunicazione più esplicito e diretto e la conseguenza di questo è estremamente tangibile all’occhio esperto dello psicologo clinico, specie se rivolto verso i giovani o i bambini.

Dal Covid alle guerre, i giovani hanno un grande peso da affrontare

Giovani e bambini che ancora cercano di superare con difficoltà i residui tossici del vissuto del covid, si trovano nuovamente ai margini di un qualcosa di enormemente più gigantesco di loro. Così già disorientati da una società che cambia alla velocità della luce e disarmati dei più naturali ancoraggi emotivi (dentro dinamiche familiari non facili da tradurre), sono costretti ad elaborare una nuova forma di angoscia, quella di un conflitto mondiale che si combatterà con armi non convenzionali. (dic.) “Io non so come sarà combattuta la terza guerra mondiale, ma posso dirvi che cosa useranno nella quarta: pietre! “Lo smarrimento delle nuove generazioni è facilmente comprensibile.

Perché mentre l’adulto è in possesso di strumenti emotivi e cognitivi in grado di ponderare e dare significato a certi proclami, i più giovani restano indifesi difronte ai titoli forti dei telegiornali o dei quotidiani, dove ogni giorno le minacce dei vari contendenti minano la stabilità emotiva. Una corsa a chi potrà far più male, a chi è in possesso dell’arma più micidiale. Una vera e propria dinamica da bulli, che non lascia speranza! Ma quindi siamo già in guerra? Per rispondere è necessario in primis definire le fasi iniziali che preannunciano un conflitto a largo raggio. Un periodo di tensione causato da un’incompatibilità di obiettivi prefissati e caratterizzato principalmente da una chiara indisponibilità nel trattare pacificamente i temi del contrasto.

Condizione questa di per sé destabilizzante a livello psicologico in ognuno di noi, perché sabotatrice continua di speranze e al contempo fautrice di paure. Nessun margine di trattativa. Nessuna disponibilità a fare un passo indietro e il continuo rincorrersi di immagini di distruzione e morte. Da qui il senso costante di ansia e impotenza che le notizie infondono, con l’inconfondibile alone di catastrofismo che lede psicologicamente ogni individuo. Tutto ciò influisce dinamicamente sulla psiche umana. In un primo momento si prova dolore e dispiacere per coloro che sono coinvolti direttamente nelle vicende, (di nuovo numeri di morti con tabelle e categorie, civili – militari, feriti, rifugiati), in seguito subentrano senso di ingiustizia e rabbia, poi la paura. L’apocalisse della potenziale minaccia nucleare.

La paura è un fenomeno che colpisce ogni aspetto umano

Una paura ancestrale, perché la guerra essendo un fenomeno sociale, comprende fattori come l’arte, la cultura e l’economia e la perdita dell’identità individuale. Gli effetti collaterali della guerra sulle persone sono molteplici, a partire dall’aumento della povertà che comporta migrazioni, rischi per la sopravvivenza e morti violente. Nel grafico vengono classificate tipologie e numero di guerre in atto nel 2023 in tutto il mondo. Dati che raccontano una verità raccapricciante. Ma come ne risentono i bambini e i più giovani di tutto questo? Loro intercettano parti di conversazioni degli adulti, immagini forti nei telegiornali e online, ed elaborano il tutto attraverso un modello percettivo non sempre opportunamente sviluppato che li isola nel proprio angolo buio. Hanno paura e non chiedono.

Hanno timore a chiedere per vergogna del fatto che provano paura. E allora restano come sospesi nelle loro elaborazioni che spesso non restituiscono certezze su nulla. Ecco che proprio qui si crea il pertugio dove l’ansia attecchisce e mette le proprie radici. Qui il ruolo fondamentale dell’adulto, genitore, insegnante, che deve lui proporsi nei confronti dell’argomento in questione. È l’adulto che deve aiutare il giovane invitandolo al confronto sulla singola notizia e sulla situazione dello scenario internazionale. Non serve per forza dare conforto, ma serve innanzitutto dare chiarezza e restituire presenza e condivisione sulle emozioni che l’attuale situazione crea in ognuno di noi.

Nel dialogo e nella condivisione la nostra speranza per il futuro

Bisogna parlare con i nostri giovani e stare al fianco dei nostri bambini più che mai in questo preciso momento storico. Hanno bisogno di un sostegno al quale far riferimento, perché la magnitudo emotiva che l’angoscia di una guerra mondiale crea è disarmante. E i suoi effetti saranno nel lungo periodo. I traumi vissuti durante il periodo dell’infanzia aumentano le problematiche fisico-cognitivo-psicologiche in età adulta, come la depressione, il disturbo da stress post-traumatico, il disturbo da ansia generalizzata e l’abuso di alcol o stupefacenti. Sebbene nell’infanzia il cervello sia molto sensibile agli stimoli, e ciò permetta capacità di recupero e rimodellamento, gli effetti di un trauma possono comunque deviare il neurosviluppo. L’ignoranza o la mal informazione dei giovani quando si parla di guerra è dovuta anche alla gestione dell’argomento nelle scuole o in famiglia.

Si cercano risposte a domande su cui non è possibile dare certezza di replica. È per questo che ci si deve spostare sul piano emotivo. È qui che la relazione adulto -bambino o adulto-giovane deve vedere una forte condivisione. Perché se è vero che la paura è un’emozione contagiosa, la condivisione di essa è la più potente fonte di coraggio! Iniziamo a curare le prime ferite di una guerra strana, già iniziata.

In collaborazione con Vanessa Righini