Fino al 30 maggio, “Aggiungi 2 posti a tavola”, l’iniziativa per i ristoranti di Roma
Entro il 30 giugno, ogni locale partecipante accoglierà simbolicamente due persone in più a tavola, offrendo loro un pranzo o una cena

Piatto di Carbonara
C’è qualcosa di straordinariamente semplice — e per questo tanto potente — nell’idea di “aggiungere due posti a tavola”. Non si tratta solo di offrire un pasto a chi non se lo può permettere, ma di fare spazio. Di creare un luogo, anche solo per il tempo di un pranzo o una cena, dove nessuno è straniero. Un gesto quotidiano, che Roma, attraverso i suoi ristoratori, sta provando a rendere collettivo.
La presidenza dell’Assemblea Capitolina ha scelto un’immagine familiare per dare corpo a un’iniziativa sociale che chiama in causa il cuore pulsante della città: le trattorie, i ristoranti, le osterie, quei luoghi dove spesso si mescolano le storie, i dialetti e le fragilità di chi vive e lavora nella capitale.
Un’iniziativa che coinvolge chi ha Roma nel sangue
Il progetto “Aggiungi 2 posti a tavola” non si rivolge a grandi gruppi industriali o a meccanismi complicati. È pensato per i ristoratori, quelli veri, che conoscono i propri clienti per nome e che, spesso, riconoscono la solitudine negli occhi di chi entra a chiedere un bicchiere d’acqua.
Fino al 30 maggio, chiunque gestisca un ristorante a Roma può aderire scrivendo a questo indirizzo. Poi, entro il 30 giugno, ogni locale partecipante accoglierà simbolicamente due persone in più a tavola, offrendo loro un pranzo o una cena.
Ma al di là dell’organizzazione pratica, ciò che conta davvero è il messaggio: anche nel pieno di un servizio, anche con i tavoli pieni, si può fare spazio. Non si tratta di beneficenza, ma di comunità. Di non lasciare che il benessere sia un fatto esclusivo. Di restituire alla città quell’umanità che spesso, tra bollette e rincari, rischia di perdersi.
Chi siede a tavola non è un numero
“Lavoriamo tanto, corriamo, ma quando ti fermi un attimo e vedi chi non ce la fa più a reggere il passo, capisci che c’è qualcosa che va rimesso in equilibrio”, racconta Marco, ristoratore nel quartiere San Lorenzo, uno dei primi ad aver aderito. Non cerca visibilità, né sgravi fiscali. Dice solo che gli sembra giusto. E che spera lo facciano in tanti.
Perché, lo si dimentica spesso, chi siede a tavola non è un numero. È una persona che magari ha perso il lavoro, o che semplicemente non riesce più a tenere il ritmo di una città che cambia in fretta. Ed è proprio lì che entra in gioco il valore della proposta: non un centro assistenza, ma un ristorante. Non un pasto “per poveri”, ma una cena in cui il cameriere chiede “come lo vuole il vino” e in cui ci si sente, anche solo per un’ora, parte del mondo.
Roma prova a diventare un modello
C’è un’ambizione, certo, dietro questa iniziativa: fare di Roma un esempio. Non per esibire buone pratiche, ma per dimostrare che si può fare. Che le istituzioni possono parlare il linguaggio semplice delle cose che funzionano. E che anche in un sistema complesso come quello urbano, il tessuto sociale può essere ricucito un gesto alla volta.
Altri Comuni stanno osservando l’esperimento. Non mancano le difficoltà — burocrazia, costi, logistica — ma finora la risposta è stata positiva. E non è escluso che iniziative simili possano fiorire altrove, in altre città che cercano modi più umani per occuparsi dei propri cittadini.
Una chiamata alla responsabilità quotidiana
“Aggiungi 2 posti a tavola” è anche un invito indiretto a tutti noi. Non solo ai ristoratori, ma ai clienti abituali, ai cittadini, ai vicini di casa. È un promemoria: che fare comunità non è un discorso da convegno, ma una scelta di tutti i giorni.
Forse non cambierà il mondo, ma potrà cambiare la giornata di chi, quella sera, si sentirà guardato negli occhi, accolto, riconosciuto. E magari, uscendo dal ristorante, si sentirà di nuovo un po’ parte della città.