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Era chiarissimo che Putin non sarebbe intervenuto al “vertice” di Istanbul

La conclusione è che l’Europa sulla scena globale non è affatto accreditata come una superpotenza alla quale attribuire una funzione di guida

Zelensky, Erdogan, vertice di Istanbul

Zelensky, Erdogan, vertice di Istanbul

Era chiarissimo e quindi facilmente prevedibile. A patto, naturalmente, che lo si volesse vedere. E che si fosse disposti a riconoscerlo, uscendo dalla propaganda a senso unico per cui Putin ha tutte le colpe e Zelensky, all’opposto, tutte le ragioni.

La buona volontà di Putin

Ciò che era chiarissimo è che Putin non sarebbe intervenuto al “vertice” di Istanbul, per il banale e ottimo motivo che quel termine è sbagliato e capzioso. Perché mira a far passare l’idea che tutto potrebbe risolversi se solo il leader russo ci mettesse un po’ di buona volontà. Ovvero, nel caso specifico, se accettasse di incontrare Zelensky per accordarsi insieme, oplà, dapprima su una tregua di trenta giorni e in seguito sulla conclusione definitiva della guerra.

Come se bastasse vedersi e parlarsi. Come se tutto quello che è accaduto in precedenza, sia ben prima che lo scontro bellico si scatenasse, sia dopo l’avvio della cosiddetta “operazione militare speciale” da parte di Mosca, si potesse ridurre a una sorta di equivoco.

Suscettibile, appunto, di essere chiarito e appianato con una schietta chiacchierata tra i rispettivi capi di Stato. Quando invece è persino ovvio che un trattato di questa portata non può essere raggiunto senza un complesso lavoro di preparazione.

Gli esempi che comprovano questa falsissima rappresentazione sono innumerevoli. Sia nelle parole dei politici europei, sia in quelle dei media mainstream.

Limitiamoci però a quanto ha dichiarato il ministro degli esteri britannico, David Lammy, in vista di questo fantomatico vertice. A sentire lui la disponibilità di Zelensky a incontrarsi personalmente con Putin «è un’ulteriore dimostrazione del suo impegno per la pace e della sua disponibilità a entrare in colloqui diretti con la Russia».

L’attacco di Putin all’Ucraina

Quanto ai veri e profondi motivi del conflitto, si sorvola come al solito. In linea con il teorema principale: l’attacco di Putin all’Ucraina non ha la benché minima giustificazione. La sua è stata un’aggressione unilaterale, cinica e imperialista, ai danni del povero Zelensky e del suo popolo.

Un autocrate spietato contro un sincero democratico animato dalle migliori intenzioni. E chi osa dissentire è un servo di Mosca.

Un tribunale severo, ma fittizio

L’interpretazione non è solo errata e a senso unico. Si incardina su un presupposto infondato: che l’Unione Europea abbia l’autorità di ergersi a giudice unico, e perentorio, di quanto avviene. Dando inoltre per scontato che la sua versione sia ineccepibile e che, perciò, il reprobo Putin vi si debba giocoforza adeguare.

Anzi, inchinare. Ammettendo le sue terribili responsabilità e accettando di pagarne il fio.

Una pura illusione. E siccome questo potere non sussiste, ci si rifugia in due surrogati. Da un lato le condanne politico-morali espresse a gran voce, dall’altro le famigerate sanzioni. Di cui è stato appena approvato il diciassettesimo pacchetto, riservandosi di disporne altre ancora, e più massicce, qualora Mosca non aderisca alla tregua incondizionata verso cui si cerca di spingerla.

La garanzia di accordi rispettabili

La domanda, come si dice, sorge spontanea: perché mai la Russia dovrebbe interrompere le attività belliche in mancanza della benché minima garanzia sugli accordi successivi, adesso che si trova in netto vantaggio e si sta andando verso condizioni climatiche che favoriscono ulteriori successi?

La UE, e chi le regge il gioco, non dà nessuna risposta e confida di cavarsela nel modo più facile. Evitando completamente di affrontare la questione.

Nessuna verità, nessuna pace

Il consigliere presidenziale e capo della delegazione russa a Istanbul, Vladimir Medinsky, lo ha detto in maniera inequivocabile: «L’obiettivo dei negoziati diretti proposti da Putin è quello di stabilire una pace duratura, eliminando le cause profonde del conflitto».

Bene. A differenza di ciò che strombazza la propaganda antirussa, che si ostina a paventare il pericolo di un’aggressione militare nei confronti dell’intera Europa, la prima e cruciale di queste cause è stata già indicata da moltissimo tempo: è che l’Ucraina divenga uno Stato neutrale, anziché quell’avamposto della Nato in cui l’asse USA-UE intendeva trasformarla.

Il problema aggiuntivo, che dipende innanzitutto dal rigetto di questa istanza originaria, è che questi tre anni di guerra ci sono stati e che sul campo, come abbiamo già ricordato, è la Russia ad avere prevalso. Una superiorità che è stata pagata a caro prezzo, con un gran numero di vittime anche tra i propri soldati, e che oggi non può non esigere delle contropartite. Non soltanto politiche ma territoriali.

Una pace duratura

Chiunque voglia arrivare davvero a una pace duratura (e stendiamo un velo pietoso sull’altro aggettivo, “giusta”, che è solo un modo ipocrita di prefigurare un assetto totalmente sbilanciato a favore di Zelensky) deve tornare a muoversi sul terreno della realtà. Ossia della verità, quand’anche sgradita.

Tale verità è che l’Europa non ha alcuna voce in capitolo, riguardo agli eventuali accordi tra Mosca e Kiev. Non ce l’ha perché non può più contare sull’appoggio di una Casa Bianca nelle mani dei democrat e perché, venuto meno il puntello USA di Biden & C., non ha nessuno dei requisiti indispensabili per svolgere un ruolo determinante in questa vicenda.

Serve un elenco? Eccolo

Politicamente la UE è ancora lontana dall’essere una vera federazione con una guida unitaria.

Economicamente ha molti punti deboli, dall’approvvigionamento energetico al rilancio delle esportazioni e alla contrazione della domanda interna.

Socialmente ha un mucchio di problemi irrisolti, a cominciare dalla gestione dell’immigrazione illegale.

Militarmente è organizzata in ordine sparso e senza mezzi adeguati, vedi il maxi piano di investimenti del ReArm Europe. Che peraltro è tutto da definire e che richiederà svariati anni prima di andare a regime.

La conclusione, palese e innegabile, è che sulla scena globale non è affatto accreditata come una superpotenza alla quale attribuire una funzione di guida. E se al proprio interno può continuare a fingere che non sia così, sciorinando proclami pomposi e lanciando ultimatum ridicoli, si tratta solo di una recita a scartamento ridotto.

Che, del resto, piace sempre di meno al suo pubblico “obbligato” di cittadini ed elettori.

Gerardo Valentini – presidente Movimento Cantiere Italia