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Denis Diderot, un insopprimibile bisogno di libertà

Denis Diderot occupa un posto rilevante nel vasto panorama della letteratura francese, non solo per la grande “Enciclopedia”

Denis Diderot, ritratto realizzato da Louis Michel van Loo

Denis Diderot, ritratto realizzato da Louis Michel van Loo

Nell’immensa parabola della cultura e della letteratura francesi, Denis Diderot (1713-1784) riveste un ruolo decisivo. Non solo per il lavoro alla grande “Enciclopedia”, che dà ali e consistenza teorica all’Illuminismo. Senza di cui sarebbero impensabili sia la Rivoluzione francese, che le democrazie occidentali contemporanee. Ma anche per una serie di romanzi, tra i quali “Jacques il fatalista e il suo padrone” (1796, ed. it. Bur) occupa un ruolo centrale.

Sempre diversi perché sempre uguali

L’insistenza sul valore dell’uguaglianza è, già, nel titolo e nel soggetto dell’opera. Il protagonista è Jacques, un servo. Poiché, nonostante i suoi molti denigratori odierni, i valori cardine della Rivoluzione francese, Liberté Égalité Fraternité, non sono affatto da sottovalutare. Ce ne rendiamo dolorosamente conto, ogni volta che volontà di potenza e sopraffazione tornano a fare capolino sul piano della Storia.

Pochi decenni dopo Diderot, sarà Hegel, nella sua prima grande opera, la “Fenomenologia dello spirito” del 1807, a ritornare sulle figure concettuali di Signoria e Servitù. Anche il grande rappresentante dell’idealismo tedesco, inclina verso la figura del servo rispetto a quella del signore.

Ciò darà un fondamentale spunto a Marx, per il suo pensiero relativo alla necessità di una rivoluzione comunista.

Uno sguardo asciutto

Dunque Diderot innalza, come Mozart nelle sue opere, l’uomo semplice, umile. Non c’è niente, nel grande illuminista, dell’esaltazione filosofica di Nietzsche, oscillante tra le figure del super-uomo e di Zarathustra.

Anche se è un abbaglio critico, una distorsione ermeneutica, mettere su di un piano di discendenza e filiazione teorica il pensiero di Nietzsche e il fenomeno del nazismo, tuttavia è lo stesso Giorgio Colli a ricordarci (“Scritti su Nietzsche”, p. 203) che, per Nietzsche, gli uomini non sono tutti uguali. Questo assunto è coerente con il paganesimo antico e, tuttavia, ci sembra ugualmente terribile.

Goethe aveva visto più a fondo, quando – nel pensiero n° 807 delle sue “Massime e riflessioni” – scrisse: “Noi siamo nell’investigare la natura panteisti, nel poetare politeisti e in morale monoteisti” (ed. it. Bur, trad. di S. Giametta). Dove monoteisti vuol dire cristiani, ossia fautori dell’uguaglianza di tutti gli uomini.

Che Goethe fosse, politicamente, un conservatore, ci porterebbe troppo lontano dal nostro discorso ed è meno importante. Resta che, rispetto a Nietzsche, il grande poeta comprendesse la grandezza dell’etica cristiana e, dunque, l’assunto dell’uguaglianza di tutti gli uomini, che aveva contribuito a scardinare il mondo antico.

Un primato fragile

Se, dunque, l’idea di libertà nell’Illuminismo moderno è rivolta contro la Chiesa di Roma così come contro l’assolutismo monarchico, le idee di fraternità e uguaglianza vengono tanto dal repubblicanesimo antico, che dal cristianesimo. È poco? Si tratta comunque di un caso unico nell’ambito della cultura mondiale. Tra le grandi tradizioni spirituali dell’umanità, solo l’Occidente ha coltivato il filone della libertà e della fratellanza degli uomini e dei popoli.

L’applicazione non è stata altrettanto felice, si potrebbe ribattere. La vocazione imperiale dell’Occidente è un filo rosso, che unisce Alessandro Magno agli americani. Non ci sono dubbi su questo. Eppure, anche qui, la questione va problematizzata. Il grande Alessandro – che recise l’ultimo grappolo nella vigna dell’Ellade, per dirla con Giorgio Colli – capovolse completamente l’atteggiamento greco, di fronte agli abitanti asiatici dei paesi conquistati, facendo parlare di uguaglianza.

L’esatto opposto di quello che Aristotele gli aveva suggerito. Gli americani hanno assunto una funzione di guida imperiale rispetto ai paesi europei, ma hanno contribuito a liberare l’Europa dal nazi-fascismo e – visto che gli imperi, nella storia umana, ci sono stati sempre – trovo che siano, di gran lunga, da preferire gli americani rispetto ai sovietici di un tempo o ai cinesi di oggi.

È per questo che autori come Diderot hanno ancora qualcosa da dire al nostro presente. Proprio nella capacità di scavare più a fondo nel cammino intrapreso, cercando di eliminare in futuro le contraddizioni del passato.

Speranza nel futuro

Se, dunque, la libertà è innanzitutto una dimensione spirituale, l’andamento ironico, leggero, scattante di “Jacques il fatalista e il suo padrone” di Diderot realizza qualcosa di sconosciuto, ad esempio, allo spirito tedesco. Ed è per questo che, nel 1785, Schiller tradurrà un lungo frammento di quest’opera e che Goethe tradurrà “Il nipote di Rameau”, sempre di Diderot, così come tradusse “Il cinque maggio” di Alessandro Manzoni.

A dimostrazione che l’idea di un’Europa unita non è soltanto una fantasia del gruppo dirigente di Bruxelles – poiché Altiero Spinelli non era, certo, un tecnocrate – ma una concezione cui hanno sempre guardato come un faro le migliori menti europee, di tutte le nazionalità, che sono state realmente aperte al futuro.

Viene in mente Ernst Cassirer, grande storico tedesco della filosofia e grande teorico, che proprio nel 1932, ossia quando la Germania stava precipitando nell’incubo nazista, che avrebbe investito il mondo intero, volle pubblicare “La filosofia dell’Illuminismo” (ed. it. La Nuova Italia), testimonianza del suo grande dialogo con la tradizione speculativa dell’Europa moderna, tanto tedesca quanto francese e inglese.

Nello stesso anno, Benedetto Croce pubblicava la “Storia d’Europa nel secolo decimonono” (Adelphi), dedicandola proprio a Thomas Mann – testimonianza del dialogo di due altre grandi menti europee aperte al mondo.

Poiché è possibile costruire la pace del futuro, soltanto nella tolleranza e nel dialogo reciproci.

 (In copertina ritratto di Denis Diderot, autore Louis Michel van Loo, anno 1767)