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Da “Cuties” a “Baby”, aumentano film e serie sulle adolescenti, ma i benpensanti si arrabbiano

Da “Cuties” a “Baby”, proliferano film e serie sul difficile tempo delle minorenni. Ma i benpensanti si arrabbiano

Serie Baby

Serie Baby

La serie “Baby” e il film “Cuties”, lo schermo delle minorenni. Proliferano film e serie sul difficile tempo delle minorenni. Ma i benpensanti si arrabbiano.

Guardando l’offerta cine-tv di questi giorni, non passa inosservata la profusione di opere sull’età difficile delle ragazze – diciamo dai 10 ai 20. Le accomuna un tema antico, ma continuamente in evoluzione al passo con gli stili di vita dei tempi: cosa significa essere ragazzine o adolescenti oggi.

In certi titoli si calca sulla poesia di quell’età, in altri sull’eroismo quotidiano di sostituirsi ai grandi che non fanno la loro parte. Ci sono invece quelli sulle tentazioni e i pericoli dell’età; due in particolare, di grande attualità in questi giorni, ci danno lo spunto per alcune considerazioni.

Per i dettagli e le valutazioni tecniche di entrambi vi rimandiamo alle rispettive recensioni che trovate sul Quotidiano del Lazio.

Cuties, la storia di Amy

Qui vi ricordiamo soltanto che nel primo, il film Cuties, l’undicenne Amy di famiglia senegalese tradizionalista trapiantata a Parigi, nel tentativo di sottrarsi all’anacronismo dello stile di vita familiare e alla poligamia del padre che porta a casa una seconda moglie gettando la madre in una silenziosa prostrazione, si fa accettare in un gruppo di ragazzine “svelte” che partecipa ad un concorso di ballo con avversarie decisamente più grandi. Per lei è il tuffo spaziale, dal velo ad un’altra dimensione fatta di richiami glamour, abbigliamento sexy, linguaggio disinibito, emulazione dei modelli dei grandi. E soprattutto dittatura dei social media. Roba con cui dovrà fare i conti.

All’uscita del film in streaming, indignados hanno assediato la futura sede Netflix di Roma rivestendola di striscioni; le accuse: 1) costringere bambine a recitare in pose allusive da adulte; 2) aver pubblicato un manifesto in cui posano in abiti da cheerleader e atteggiamenti sexy; 3) dare un pessimo esempio e fare proselitismo. Circola il neologismo Pedoflix. Netflix ha ritirato il manifesto ma non (ancora) il film.

Un’altra crociata figlia dei tempi, degna di miglior causa. Il film è scritto e diretto da una donna, franco-senegalese, Maïmouna Doucouré, impegnata in movimenti a carattere sociale. Ha fatto precedere e seguire la lavorazione del film da ricerche, consultazioni e dibattiti con psicologi e sociologi, ha lungamente parlato con le giovanissime attrici, per renderle partecipi degli intenti del film.

Non ci vediamo manipolazione nè cinismo, semmai un certo coraggio, date le prevedibili conseguenze; che di questi tempi possono significare ostacoli a circolare e difficoltà a produrre ancora. Solo con una certa dose di falsità possiamo negare che qualunque ragazzina imita davanti allo specchio o con le amiche quello che vede negli show in tv; che noi le facciamo vedere.

E allora “Arancia Meccanica”? La solita questione

Poi, se ci chiedete se sia possibile che dalla visione qualche ragazzina sia tentata all’emulazione, invece di cogliere il messaggio dissuasivo esplicitamente contenuto nel film,la risposta non può che essere ; ma è il caso di tornare sulla solita questione? Quando uscì Arancia meccanica, qualcuno mise in dubbio che teste calde potessero assumerlo a modello da emulare, anziché riconoscere la messa in scena della bacatezza di balordi che fanno strani cortocircuiti con la realtà politica del loro tempo? Eppure avvenne; ma non per questo neghiamo a quel film l’etichetta di capolavoro.

Ci sembra che Cuties non strizzi affatto, con mire commerciali, l’occhio alle ragazzine, che nonostante tutto ci vengono mostrate in alcune scene rivelatrici in tutta la loro “involontaria” innocenza. Piuttosto fa riflettere noi adulti, sui modelli che implicitamente suggeriamo (“i bambini ci guardano…”), sull’urgenza di far sì che a società abissalmente distanti che le migrazioni portano a vivere a stretto contatto sia offerta una possibilità di integrazione autentica, o quantomeno di adiacenza pacifica senza strappi e provocazioni.

La serie Baby nei quartieri alti di Roma

Nella serie Baby cambia l’ambientazione (siamo nei quartieri della buona borghesia romana) e la fascia d’età, tra i liceali di una scuola privata. Certo ne sapete anche di più; se ne parla molto (l’ultima stagione, finale, è stata appena rilasciata) perché è ancora scottante il ricordo dello scandalo che nel 2014 colpì alcune famiglie della Roma-bene; scandalo a cui la serie esplicitamente si rifà.

La storia della discesa agli Inferi e (possibile) risalita di Ludovica e Chiara, compagne di scuola / amiche / alleate, finite in un giro di baby-squillo più grande di loro, ci parla della leggerezza con cui molti giovani cercano scorciatoie nella vita, della confusione di valori della società in cui sono immersi, della distanza da genitori sempre più persi nei loro egoismi o meandri esistenziali, delle possibili reazioni al clima scoraggiante di un mondo giovanile dipinto come il vuoto torricelliano: non un interesse di sorta, non quella sana aggregazione giovanile che qualcuno di noi ricorda, non un comportamento alimentato dall’emozione, non una manutenzione dei sentimenti. Non c’è traccia di confronti di idee (fossero pure illusioni) fra di loro: vano cercarli. Tutto tautologicamente si richiude sui soli accadimenti quotidiani. Un quadro desolante che ai nostri occhi vale un’attenuante per le due adolescenti.

Due titoli che di nient’altro ci parlano che, alla fine, della difficoltà, nell’era della connessione, a comunicare fra noi.

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