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Cucina italiana patrimonio UNESCO, Vissani: “Vittoria dei piccoli produttori, non dei ristoranti stellati”

La cucina italiana entra nel Patrimonio culturale immateriale UNESCO: il commento di Gianfranco Vissani, omaggio a territori e piccole aziende agroalimentari

Gianfranco Vissani

Gianfranco Vissani

Oggi, 10 dicembre 2025 la cucina italiana è stata ufficialmente iscritta nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità dell’UNESCO, con la denominazione “Italian cooking, between sustainability and biocultural diversity”. È la prima volta che un’intera tradizione culinaria nazionale ottiene questo riconoscimento, finora riservato a singole pratiche o preparazioni. Un passaggio storico che premia non solo l’immagine globale dell’Italia a tavola, ma soprattutto il lavoro di milioni di persone che ogni giorno coltivano, allevano, trasformano e cucinano.

Cucina italiana patrimonio UNESCO, un riconoscimento al Paese reale

Dietro la formula ufficiale adottata dall’UNESCO c’è l’idea di una cucina che nasce nei campi, nelle stalle, nei frutteti, nei mercati rionali e nelle case, molto prima che nelle sale dei grandi ristoranti. L’organo dell’ONU sottolinea il valore sociale delle pratiche culinarie italiane, che uniscono rispetto per gli ingredienti, stagionalità, ricette nate per non sprecare nulla e trasmissione di gesti e saperi di generazione in generazione. In questa cornice, il riconoscimento non diventa solo una medaglia da esibire, ma un impegno alla tutela dei paesaggi rurali, della biodiversità, delle filiere corte e di tutto ciò che rende unico il patrimonio gastronomico del Paese.

La candidatura, lanciata dal governo nel 2023, è stata costruita proprio mettendo in risalto questa dimensione diffusa: non un elenco di piatti iconici, ma un mosaico di tradizioni locali, metodi artigianali di trasformazione, rituali familiari legati al cibo. Una cucina che si definisce anche per i suoi limiti autoimposti: il rispetto della stagionalità, l’attenzione alla provenienza delle materie prime, la centralità della tavola come luogo dove ci si incontra, si ragiona, si rafforzano legami.

Vissani: “Non è il premio agli stellati, ma ai prodotti del territorio”

Per Gianfranco Vissani, uno degli chef italiani più noti e discussi, che ha rilasciato un’intervista al nostro giornale, il messaggio di questa giornata è chiaro: “Questo riconoscimento non va agli chef e ai ristoranti stellati, ma alla cucina del territorio e ai formidabili e imparagonabili prodotti della coltivazione e dell’allevamento italiani che non hanno pari al mondo”. È un modo di ribaltare la narrazione che spesso concentra l’attenzione sui nomi celebri, ricordando che senza il lavoro quotidiano di agricoltori, allevatori, casari, vignaioli, mugnai, pescatori, la grande cucina non esisterebbe.

Vissani insiste su un punto che conosce bene chi frequenta le sue tavole: la materia prima viene prima di ogni invenzione. È qui che entra in gioco il suo richiamo alla prudenza sull’uso di sifoni e azoto in cucina. “Dovremmo usare con cautela sifoni e azoto, che uccidono il sapore, altrimenti non sentiremo più il gusto dei cibi”, sottolinea lo chef, denunciando il rischio di una rincorsa all’effetto scenico che può appiattire identità e memoria dei piatti. Non si tratta di demonizzare la ricerca tecnica, ma di ricordare che il riconoscimento UNESCO nasce proprio dall’armonia fra creatività e autenticità, fra mano dello chef e carattere degli ingredienti.

Nella lettura di Vissani, il titolo UNESCO è “la vittoria delle tante piccole aziende dell’agroalimentare che in Italia fanno nascere prodotti gastronomici di cui farci giustamente vanto”. Un elogio alle famiglie che mandano avanti caseifici di montagna, salumifici artigianali, orti specializzati in varietà antiche, oliveti eroici su terrazzamenti difficili, cantine che difendono vitigni storici. Il nuovo status internazionale della cucina italiana, se ben interpretato, può diventare un potente alleato per la sopravvivenza di queste realtà, spesso schiacciate da costi in aumento e concorrenza industriale.

Lollobrigida e il ruolo della politica nella tutela della cucina italiana

Nel suo commento Vissani riconosce anche “il grande lavoro svolto dal ministro dell’Agricoltura e Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida” per arrivare al risultato di oggi. Proprio il dicastero guidato da Lollobrigida, insieme al Ministero della Cultura, aveva promosso la candidatura, costruita con il supporto di esperti di diritto e patrimonio immateriale e con il coinvolgimento del mondo agricolo e della ristorazione.

La soddisfazione espressa dal governo, a partire dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, mette in luce una scelta politica ben precisa: difendere la cucina italiana non solo come attrattore turistico, ma come pilastro identitario, economico e sociale. In questa prospettiva, il riconoscimento UNESCO diventa anche uno strumento di tutela contro l’italian sounding, le imitazioni che popolano gli scaffali dei supermercati nel mondo, e un incentivo a rafforzare le filiere che puntano su denominazioni di origine, tracciabilità, lavoro dignitoso nelle campagne.

Lollobrigida, nei primi commenti, ha parlato di orgoglio nazionale e di valorizzazione della creatività italiana in cucina. Ma, oltre alle parole, molti operatori si aspettano ora misure concrete per sostenere chi produce materie prime di qualità e chi difende ricette che rischiano l’omologazione. La scritta “Patrimonio dell’Umanità” da sola non basta: occorrono politiche che tutelino suoli agricoli, acqua, paesaggi rurali, formazione dei giovani cuochi, rigenerazione dei borghi legati a produzioni storiche.

Dalla pizza al patrimonio diffuso: cosa cambia dopo l’iscrizione UNESCO

L’Italia non è nuova ai riconoscimenti UNESCO in ambito gastronomico: basti pensare all’“Arte del Pizzaiuolo Napoletano”, alla Dieta Mediterranea, alla truffle culture e ad altre pratiche inserite negli anni. La novità di oggi sta nel fatto che a entrare nella lista non è un singolo elemento, ma l’intero universo della cucina italiana, inteso come insieme di pratiche, rituali, relazioni sociali e competenze diffuse.
Questo status può generare ricadute importanti.

Sul fronte turistico, l’idea dell’Italia come destinazione gastronomica trova una legittimazione ulteriore: non solo città d’arte e paesaggi, ma percorsi del gusto che attraversano regioni, province, piccoli paesi, e coinvolgono agriturismi, trattorie storiche, cantine, frantoi. Per il sistema della formazione, dalle scuole alberghiere agli istituti tecnici agrari, il riconoscimento può diventare occasione per rafforzare programmi che uniscano tecnica di cucina, storia del cibo, sostenibilità ambientale, conoscenza dei territori.

C’è poi il capitolo delle imprese: se ben comunicato, il titolo UNESCO può accompagnare strategie di export più consapevoli, in cui non si vendono solo prodotti, ma storie, paesaggi, valori legati alla qualità degli ingredienti e alla cura nel trasformarli. La narrazione costruita dall’UNESCO sul rapporto fra cucina italiana, sostenibilità e diversità bioculturale parla proprio di questo: un sistema gastronomico che vive in equilibrio con l’ambiente, preserva varietà vegetali e animali, riduce gli sprechi attraverso ricette nate per utilizzare ogni parte dell’alimento.

Sapori, memoria e responsabilità dopo il traguardo UNESCO

Le parole di Vissani intercettano un sentimento diffuso nel mondo del cibo: la paura che mode effimere e tecniche spinte fino all’eccesso possano allontanare la cucina dal suo cuore, cioè il gusto riconoscibile di un prodotto che racconta un luogo. Ridurre un ingrediente a schiuma, nube, sfera perfettamente liscia può essere un gioco interessante, ma rischia di annullare sfumature, profumi, consistenze che la cucina italiana ha sempre difeso. In questo senso, il riconoscimento UNESCO è anche un invito a rallentare, a rimettere al centro la stagione, il campo, il mare, la stalla, il forno.

Allo stesso tempo, il titolo non congela la cucina italiana in una fotografia nostalgica. Le pratiche che l’UNESCO riconosce sono vive, capaci di accogliere influenze, contaminazioni, nuove tecnologie, a patto che resti intatto il legame con le persone e con i territori. Per i grandi chef, come Vissani, può essere l’occasione per rilanciare una cucina d’autore ancora più radicata nel contesto locale, capace di parlare al mondo senza perdere l’accento italiano. Per le famiglie e per chi lavora lontano dai riflettori può diventare motivo di orgoglio: ogni sugo preparato con pomodori maturati al sole, ogni forma di formaggio girata a mano in una cella di stagionatura, ogni pane impastato con grani antichi partecipa a questo grande racconto nazionale.

Da oggi, la scritta “Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità” accompagna ufficialmente la cucina italiana. A ricordare che un piatto di pasta al pomodoro, una zuppa contadina, un pesce alla griglia non sono soltanto cibo: sono storia, lavoro, relazioni, futuro. E che la responsabilità di difendere questo patrimonio, come ricorda Vissani, comincia dal campo e arriva fino al tavolo, passando per la scelta di rispettare il sapore autentico degli ingredienti.