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Covid e autolesionismo tra i giovanissimi: un’epidemia nella pandemia

Pandemia, lockdown, Dad: adolescenti e bambini nella pre pubertà stanno ancora subendo effetti psicologici ed emotivi drammatici

ansia depressione giovani

Pandemia e isolamento, senso di precarietà e paura: autolesionismo crescente tra i giovanissimi.

Qualcuno all’inizio della pandemia da Sars Covid-19 affermò, che il rischio di una deriva societaria globale sarebbe stata inevitabile, e il contraccolpo dell’emergenza, avrebbe avuto ripercussioni inaspettate sul tessuto sociale.

Tutti allora a prodigarsi verso il mantenimento di un sistema economico e sociale completamente proiettato verso gli aspetti puramente gestionali ed organizzativi, spesso non considerando gli effetti a medio termine di alcune scelte, o ancor peggio, dimenticando intere fasce di cittadini, come nel caso dei più giovani. E puntuali gli echi della pandemia tornano a presentare il conto, svuotando di significato la vita di molte persone, molto spesso giovani che non hanno avuto sufficienti strumenti e risorse per affrontare un dramma mondiale di così grandi proporzioni. 

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Autolesionismo tra gli adolescenti: un’epidemia nella pandemia

Non si tratta più soltanto di stress correlato al virus e alla sua contagiosità, bensì all’aumento, (a causa della situazione di incertezza data dalla pandemia, dai lockdown, quarantene e contagi), di fenomeni di iperstress e autolesionismo tra i giovani di età compresa tra gli 11 e i 26 anni. Un’”epidemia nell’epidemia”, che sta portando a non poche riflessioni tra i clinici e neuropsichiatri di tutto il mondo. Nel nostro bel paese, l’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, già da diversi mesi, si sta attivando per far fronte a questa “emergenza silenziosa e dilagante”, lanciando (in collaborazione con alcune Asl del Lazio) un servizio dedicato ad hoc, proprio per sensibilizzare i comportamenti suicidari e a rischio tra i giovani.

Molti i fattori stressogeni acuti che stanno perpetuandosi nel tempo, come il prolungarsi di ansia e stress per problemi di salute, l’isolamento sociale, la disoccupazione e la conseguente perdita di reddito delle famiglie, che, come è stato appurato in molti studi, solleva preoccupazione per l’ aumento dei tassi di suicidio come conseguenza indiretta dell’emergenza sanitaria, soprattutto nei figli adolescenti e nei giovani adulti che, di riflesso e in prima linea, fanno i conti con lo specchio della realtà che li circonda, incerta e ambivalente. Il fenomeno si è intensificato nella seconda ondata pandemica, quando è diventato sempre più limpido che l’emergenza Covid-19 non sarebbe finita così presto e, soprattutto, che la didattica a distanza, le aule virtuali e il distanziamento fisico, non sarebbero state solo una parentesi. 
Autolesionismo e aspetti suicidari: cause scatenanti.

Una ricerca delle cause

Ma quali sono gli aspetti psicogenici e psicologici che coinvolgono e determino questi comportamenti di autolesionismo e atteggiamenti suicidari? Le risposte non sono semplici, ma possiamo comunque cercarle in alcune dinamiche riguardanti il cambiamento offerto dal covid-19. Il primo riguarda il trauma complesso e gli sviluppi traumatici (Liotti, Farina, 2011), emersi durante il lockdown e lo stato protratto di emergenza; ossia quelle “evoluzioni di sviluppo caratterizzate da una serie di disturbi e sintomi quali: “Modulazione delle emozioni deficitaria, autodistruttività e comportamenti impulsivi, sintomi dissociativi, sintomi somatoformi, sentimenti di inefficacia personale, sentimenti di vergogna, disperazione, sensazione di essere permanentemente danneggiati, ostilità, ritiro sociale, sensazione di costante minaccia, problemi relazionali e alterazione della personalità.”(APA; 1994).

Modelli che vacillano

Tutte queste caratteristiche emotive, cognitive, comportamentali e sensoriali, hanno creato negli individui di tutte le età, disagio, paura e un forte senso si spaesamento. I giovani perdono la strada e si accorgono in fretta che non possono contare sui loro punti di riferimento primari (genitori, insegnanti, educatori, ecc…) perché anch’essi appaiono spaesati e inermi di fronte ad un evento mondiale così totalizzante.

Altro aspetto da tenere in considerazione è la paura della prossimità e l’ansia da cambiamento; dove il giovane si trova, all’improvviso, paralizzato dall’angoscia e dal panico.

Come suggerito in passato dal filosofo Michael de Montaigne “la paura rischia spesso di bloccare a terra e di impedire all’individuo di andare avanti nella sua vita”; affondando le proprie radici nell’infanzia.

Una dinamica simile a quando si era troppo piccoli per difendersi da soli e si era oppressi dal terrore del buio, dell’abbandono (come farò a restare in vita se perdo l’amore dei miei genitori?), e del giudizio altrui (sarò mai all’altezza delle aspettative degli altri?). Infatti, basta poco per risvegliare le più antiche paure umane e rimanerne sommersi, sviluppando così fragilità e incapacità di chiedere aiuto e riconforto nell’altro.

Lo stravolgimento emotivo della DAD

Ennesimo dato sensibile riguarda un fenomeno spesso sottostimato: la DAD e la nuova concezione di aggregazione giovanile, dove nuove dinamiche stanno trovando terreno fertile, come nel caso di atti di bullismo a distanza. Durante le lezioni on line, infatti, sono rimaste attive chat private tra studenti, all’interno delle quali si sono potuti celebrare, alla mercé dell’adulto di turno, vessazioni e abusi su soggetti bullizzati quotidianamente in ambito scolastico, e dove il bullismo si è sviluppato inevitabilmente in forme di cyberbullusmo.

Bullismo e cyberbullismo: sintomi di grave disagio

“Le chat divengono un veicolo immediato e veloce per istigazione alla violenza psicologica, e fanno sì che la vittima sia oscurata sia a livello sociale che telematico” come racconta Giuseppe Di Lorenzo, Presidente dell’Associazione Nazionale “Trentino Vivo contro bullismo e cyberbullismo”.

Paradossalmente, questo periodo di isolamento sociale è stato tremendo proprio per le vittime di bullismo, perché l’unico canale utilizzabile e rimasto per fare violenza è stato quello web, con conseguenze altrettanto devastanti. In quelle stanze virtuali e silenziose si consumava lo scherno che sfociava poi in abuso protratto. Con il passaggio dall’essere chiusi in bagno ed umiliati dal gruppetto di tre quattro bulli di turno ad un palcoscenico più ampio, dove il pubblico che assiste all’umiliazione è numerosissimo. Sentimenti di vergogna, paura e disprezzo possono essere una delle chiavi emotive e psicologiche che spengono ad atti autolesionistici e suicidari.

Non da meno anche l’assetto familiare disfunzionale, che con la quarantena o il lockdown, ha rimarcato aspetti traumatici o di potere e dominio sui figli o, più in generale, sulle relazioni familiari. Il cambiamento è sempre un qualcosa che l’uomo soffre – ci siamo dovuti fermare ed isolare – e poi riattivare immediatamente, dovendo nell’arco di un periodo relativamente breve, rispondere psicologicamente ad un doppio cambiamento. 

Gesti estremi in bambini di appena 11 anni

Uno stress doppio, quindi, un doversi ristrutturare nuovamente a poca distanza. Ma immaginiamo un giovane che già di per sé è in una fase di trasformazione; è lì con i suoi lavori in corso per diventare adulto e, all’improvviso, il programma deve cambiare. 

Si bloccano i contatti e si provvede a riorganizzare tutto il progetto iniziale, per poi doverlo rivedere a breve distanza ancora una volta. Ecco, nel caso dei giovani, gli adattamenti imposti si sono dovuti inserire su qualcosa già in trasformazione, su una materia incerta non ben definita e che l’isolamento forzato iniziale, in molti casi, si è trasformato in quotidianità permanente.

Molti ragazzi si sono chiusi in casa volontariamente, preferendo rapportarsi ad un videogames o a un cellulare piuttosto che alle persone reali, diventando sempre più introspettivi e antisociali, vittime di disistima e insicurezza. ”Già prima della pandemia il suicido rappresentava la seconda causa di morte tra i giovani, ma dopo le chiusure a causa dello stato di emergenza, la  situazione è decisamente peggiorata”, sottolinea la dr. Maura Manca, psicoterapeuta dell’età evolutiva e presidente dell’ Osservatorio Nazionale Adolescenza, “dove la vita dei giovani e dei giovanissimi è così cambiata, stravolta che, per molti,  ha perso valore e non è solo la paura del contagio o della malattia, ma è la quotidianità «chiusa» ad aver portato a gesti estremi, anche nei bambini di 11 anni appena.

Togliersi la vita annunciandolo sui Social

L’allontanamento da scuola e dagli amici, poi, così come il maggior contatto con situazioni familiari, a volte disfunzionali e non facili, hanno trasformato i ragazzi in bombe pronte ad esplodere e a farsi male, dove la decisione di togliersi la vita non è uguale per tutti.

Infatti c’è chi minaccia di farlo sui social o sui gruppi di Whatsapp”- continua la dr. Manca- , dove  «”Ora mi ammazzo”, “ora lo faccio per davvero” sono solo alcuni dei segnali di allarme disseminati sul web, insieme a chi cerca un aiuto a uccidersi , rintracciando sulla Rete una modalità per farlo; o chi addirittura vuole farlo “in diretta”, quasi come se fosse un qualcosa da condividere”.

Ora che questo malessere giovanile sta prepotentemente emergendo, con il coinvolgimento anche di bambini in età scolare (elementari e medie), affiora anche la consapevolezza che non si esaurirà nemmeno con il tanto atteso ritorno alla normalità, – perché la normalità sarà una nuova normalità – dove nessuno sarà più lo stesso di prima. Per questo, dagli specialisti del settore clinico e psicologico, arriva l’appello a prepararsi e a programmare interventi tempestivi. «Nel prossimo futuro avremo molti ammalati fra i 3 e i 10 anni e anche nella fascia di età 11-18: per tutti loro sarà necessario un esercito di psicoanalisti dell’ età evolutiva per far fronte all’ epidemia di disagi psicologici importanti uniti ad ansia, iperattività, somatizzazioni, ossessioni, depressione e seri problemi a rendersi indipendenti dai genitori», paventa Adelia Lucattini, psichiatra e psicoanalista della Società psicoanalitica italiana e della International Psychoanalytical Association. 

Interventi precoci, cosa fare

Interventi precoci: quale modo per aiutare. L’intervento tempestivo è la prima arma per aiutare queste generazioni a non farsi del male. Capire i segnali, ascoltare i ragazzi, parlare con i genitori, educatori e insegnanti, svolgere programmi preventivi e di riconoscimento del problema.

Un secondo step essenziale è quello di organizzare campagne preventive nelle scuole, nei luoghi di aggregazione, negli oratori e soprattutto on line, in modo che si possano coinvolgere i caregivers spesso distratti o non così coscienti di ciò che sta succedendo nella loro vita familiare. Infine, si può pensare ad interventi psicoanalitici per bambini e adulti, ove possibile (parent training e incontri transgenerazionali di gruppo), in una sinergia terapeutica contenitiva e d’aiuto, evitando il più possibile il rischio di costruire un muro invalicabile tra noi e gli altri, tra genitori e figli, tra amicizie e conoscenze che spesso vengono annegate nel diniego e nella diffidenza continua e sfiducia permanente del domani. 
L’incertezza che questo momento storico concede a tutti, nel giovane ha una ridondanza spaventosa. Un giovane è il muratore di sé stesso, e se intorno i mattoni che riesce a trovare sono solo composti di sabbia, si auto convincerà’ inevitabilmente che il suo “Io” presto si sbriciolerà su se stesso!


Massimo Benedetti, con la collaborazione di Federica Giobbe (Corriere della Sera)