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Contratto ferroviario 2025: il referendum e il ritorno alla parola dei lavoratori

Il segretario generale Fast Confsal Pietro Serbassi analizza il rapporto tra sindacato e lavoratori alla luce dell’ultimo referendum che ha coinvolto il mondo dei trasporti

Treno, Stazione Termini

Riceviamo e pubblichiamo dal segretario generale Fast Confsal Pietro Serbassi una riflessione sul rapporto oggi tra sindacato e lavoratori alla luce dell’ultimo referendum che ha coinvolto il mondo dei trasporti.

L’analisi di Pietro Serbassi, Fast Confsal

Il recente referendum sul Contratto della Mobilità – Attività Ferroviarie ha restituito al mondo sindacale una dimensione che sembrava smarrita da tempo: quella del confronto diretto con i lavoratori. Un risultato che va oltre il dato percentuale, invitando a riflettere sulla qualità della partecipazione e sul futuro della rappresentanza sindacale in Italia.

Un voto che pesa più delle cifre

Il 68% di voti favorevoli su un’affluenza del 53% è un esito che certifica la maggioranza necessaria per ratificare l’accordo siglato lo scorso 22 maggio. Ma fermarsi ai numeri sarebbe riduttivo. Questo referendum arriva dopo anni di gestione sindacale sempre più “autorappresentativa”, con l’ultima consultazione generale datata 2017. Tornare a chiedere un mandato diretto significa rimettere al centro la fiducia dei lavoratori, elemento oggi tutt’altro che scontato.

Non a caso, il dato dell’affluenza non può essere liquidato con superficialità. Oltre il 18% del personale era in ferie turnificate nel periodo della consultazione, incidendo inevitabilmente sulla partecipazione. A questo si sommano assenze fisiologiche per malattie o distacchi, ma anche una fascia di disillusione che da tempo attraversa il settore.

La sostanza dell’accordo e il giudizio dei lavoratori

Nonostante le criticità, il 68% dei votanti ha espresso un sì che appare più frutto di responsabilità che di entusiasmo. Un segnale importante, perché riconosce i contenuti migliorativi del contratto, in particolare per i lavoratori degli appalti, da anni in attesa di tutele concrete. Questo voto, quindi, restituisce ai sindacati firmatari la legittimità di rappresentare e mediare in nome di tutti.

Va ricordato che al consenso espresso nelle urne si aggiunge quello “silenzioso” di altre sigle che hanno sottoscritto l’accordo senza richiedere il passaggio referendario. Una somma che restituisce al contratto una legittimazione ampia, seppure con sfumature differenti.

Le ombre sulla democrazia sindacale

Questo risultato, tuttavia, non può far dimenticare le fragilità del sistema di rappresentanza. Gli accordi interconfederali del 2014 avevano stabilito il referendum come passaggio obbligato per la ratifica dei contratti collettivi, ma negli anni è diventato un’eccezione. Ostacoli burocratici e pratiche informali continuano a limitare il pluralismo, con nuove sigle spesso escluse dalle RSU mediante regole di collegio pensate per preservare assetti consolidati.

In molte realtà aziendali, l’affermazione “Il nostro sindacato già c’è” è diventata un mantra che cela una concezione proprietaria della rappresentanza. Questo clima mina le basi di una democrazia sindacale viva e partecipata.

Il futuro: attuazione e vigilanza

Il referendum del 2025 non è un punto d’arrivo ma un inizio. L’attuazione dell’accordo richiederà coerenza e una presenza capillare nei luoghi di lavoro. Il 32% di contrari non rappresenta un fastidio da archiviare, ma una richiesta di ascolto che i sindacati non possono permettersi di ignorare.

Se questo percorso segnerà davvero l’avvio di una nuova stagione di rappresentanza partecipata, allora il sindacato potrà tornare a incarnare la sua funzione originaria: essere voce di tutti i lavoratori, non solo di chi già si sente rappresentato.

Pietro Serbassi