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CESSP: “Così in 2 anni abbiamo salvato 50 donne”

Il Centro antiviolenza di Tor Bella Monaca ha chiuso a gennaio. Abbiamo parlato con la sua direttrice

“Il nostro non è il classico centro anti-violenza”. A parlare è Stefania Catallo, responsabile e fondatrice del Centro di Supporto Psicologico Popolare di Tor Bella Monaca, quartiere della periferia di Roma.

Il CESPP, dopo 2 anni di attività, ha chiuso lo scorso gennaio. Il motivo? L’Associazione Sirio87 che li ospitava, dando loro la possibilità di usufruire gratuitamente dei locali a fronte del pagamento delle utenze, è in realtà sotto sfratto. In più, si registrano delle irregolarità dal punto di vista contrattuale. Insomma, Sirio87 in realtà è un’Associazione occupante, e il CESPP, come spiega Stefania, “non ha voluto rendersi complice di una situazione di illegalità”. Attualmente è in corso una raccolta firme, indirizzata al sindaco Marino. “Siamo a circa 46mila firme – comunica Stefania – Quando arriveremo a 50mila andremo da Napolitano, è un nostro diritto”.

Stefania e le sue colleghe stanno comunque portando avanti la loro attività presso i loro domicili. Perché la missione del CESPP è una, in particolare: fornire degli strumenti per un effettivo reinserimento sociale, dando alle persone che si rivolgono a loro degli strumenti lavorativi e professionali. Crearsi un proprio reddito per riappropriarsi della vita.

Tutto questo è il CESPP, che da 2 anni porta avanti la sua attività autofinanziandosi, senza ricevere mai fondi dalle istituzioni, né dai servizi sociali. “Se ti farai un giro, noterai presto come i fondi vanno sempre agli stessi centri istituzionali” – ci dice Stefania, che abbiamo incontrato nel quartiere Testaccio per un’intervista.

Stando alla legge (cd. sul femminicidio) il dato però potrebbe cambiare. È infatti previsto un “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere” (10 milioni di euro per l’anno 2013, 7 per il 2014 e 10 per il 2015), da destinarsi ai centri anti-violenza, tenuto conto di quelli già esistenti in ogni Regione, sia pubblici che privati e della programmazione regionale e degli interventi già operativi per contrastare la violenza nei confronti delle donne.

Il CESPP, comunque, non si occupa dell’assistenza solo nei confronti delle donne vittime di violenza di genere, ma anche di altre problematiche. “Abbiamo un’utenza molto ampia” – dice Stefania.

E senza fondi, il centro, come ha fatto a sopravvivere per 2 anni? Con i tesseramenti e con il contributo degli utenti. “Un contributo minimo – spiega Stefania – Chi non ha la possibilità, però, viene ascoltato lo stesso. L’importante è che chi lo offre, sappia che ogni centesimo viene reinvestito nelle attività del centro. Ci sono i bilanci, è tutto documentato”.

E le istituzioni hanno mai mosso un dito nei vostri confronti? “No. L’assessora Cattoi – dichiara Stefania – si è degnata di rivolgersi a noi dopo 1 mese dalla chiusura. Ci ha mandato una mail, chiedendoci dei rapporti, ma in base al funzionamento di un classico centro anti-violenza. Ma noi non siamo un centro classico. Non le abbiamo risposto volutamente”.

“L’ultima è di pochi giorni fa – incalza ancora la responsabile del CESPP – Ci ha contattati Rai Radio1: sembravano cadere dal pero, per caso sono venuti a sapere della nostra chiusura e della petizione in corso. Ci chiedono un’intervista, ma io non bastavo, volevano il sangue. Io mi sono totalmente opposta. La questione poi è andata avanti per un po’ di giorni. Mi richiamano, e mi chiedono un appuntamento in radio per sabato (15 febbraio, ndr) alle 11.30. Io però avevo già comunicato di essere impegnata, avevo un colloquio improrogabile. Di tutta risposta, mi dicono di rimandarlo, o interromperlo prima. Ma non potevo, è assolutamente antiterapeutico. E sapete il motivo qual è? Che proprio l’assessora Cattoi sarebbe intervenuta ai loro microfoni per parlare di noi. Ma non mi sta bene, l’ho detto anche a loro: se la Cattoi vuole parlarci, lo fa nel suo ufficio, non facendosi pubblicità alla radio sulle nostre spalle”.

Questo, secondo Stefania, è indice del fatto che “alla Cattoi, a Marino, pure a Rai Radio1 non interessa nulla di noi, né del problema. E se l’8 marco osano andarsi a battere il petto in pubblico, giuro che vado a lanciargli le uova marce addosso, perché se le meritano. Il sindaco ha fatto una campagna elettorale sulla vivibilità, sui bambini e sulle donne; poi, però, nemmeno li riceve, si limita a rispondere con un tweet”.
Il tweet a cui fa riferimento Stefania, mostrava solidarietà al CESPP: il sindaco scriveva che il loro lavoro andava salvaguardato. “Io mi sono iscritta a Twitter solo per rispondere – spiega ancora Stefania – ho scritto: “Perfetto, allora ci riceva”. Ovviamente non ho mai ricevuto risposta. So che questi temi vengono usati per fare propaganda politica, e non mi interessa la collocazione politica delle parti in questione. Però almeno Isabella Rauti a 3 giorni dalla petizione mi ha convocata. Io poi sono abbastanza adulta per capire fin dove gli interessi realmente e quando devo iniziare a bloccarli”.

Al momento il centro, continua ad andare avanti così: lavoro a domicilio, e tanta passione e determinazione. Ma non basta: ci vogliono luoghi adatti e fondi, dice Stefania.

Un luogo adatto è basilare. Ad esempio, avevo messo mano a un progetto: “Il casale delle donne”, da poter realizzare in un qualunque casale abbandonato, o confiscato alla mafia. Tipo la “Locanda de Girasoli”. Sarebbe stato bello per loro: si sarebbero sentite valorizzate”.

Quindi levare le persone dal degrado, anche di quartiere, è uno dei primi passi da compiere. “Sì, ma c’è dell’altro”, specifica. “Lo scoglio più alto da superare è la consapevolezza, e poi la denuncia. Ogni donna è diversa dall’altra, ma credo che il tratto comune sia sempre lo stesso: sono tutte unite da un senso di colpa molo grande. Non è facile giungere alla consapevolezza, perché magari molte donne vengono da famiglie in cui la violenza era all’ordine del giorno”.

Ma l’ascolto come funziona? Cosa consigliate? Il divorzio è la prima soluzione da presentare alle vittime di violenza? “Nell’ascolto, si ascolta e basta, non si danno consigli. Anche perché spesso ci si trova davanti a donne con figli, e il bene dei figli deve sempre venire prima di tutto. Quindi spesso si ricorre a forme di assistenza alternative”.

Ma la violenza arriva all’improvviso? “Sì, perché non vogliamo mai vederla prima. Avete presente la favola di Barbablù?”.

“A volte, comunque, c’è corresponsabilità – conclude Stefania –Inconsapevole, ma c’è. A volte vengono da noi e ci dicono di essere picchiate da più di 3 anni. E perché aspettare tanto? Certo, ci sono molte componenti, tra cui anche la sudditanza economica. Non hai i soldi, non sai dove andare o come fare. E questo è il segmento importante del nostro lavoro. Ridare dignità sociale, oltre che personale, a queste donne”.

È così che il CESPP in quasi 2 anni di attività è riuscito a salvare più di 50 donne.

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