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Violenza di genere, tutti i dati della Regione Lazio

Una mappa dei centri antiviolenza nella Regione Lazio: in attesa dell’ implementazione.

Il 25 novembre scorso, in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, la Regione Lazio ha presentato il rapporto "ViVi – Vinci sulla Violenza. Rete regionale per il contrasto alla violenza di genere", dove vengono illustrati i dati più aggiornati sulle politiche e le iniziative nazionali e regionali riguardo il contrasto e l’ assistenza relative alla violenza di genere.

Secondo il rapporto Eures del 2013 negli ultimi 13 anni sono 2.220 le donne vittime di omicidio nel nostro paese, il 70,7% dei quali perpetrati nell’ambito familiare e domestico.

La considerazione della criticità di questo ed altri dati ha portato all’esigenza di inserire nell’ordinamento italiano delle misure volte a contrastare e prevenire il fenomeno della violenza di genere con l’introduzione di alcune aggravanti alle pene già previste dal Codice Penale e ad alcune misure di prevenzione con l’approvazione del Decreto Legge 14 Agosto 2013, n. 93.

Con riferimento alle direttive comunitarie per il contrasto alla violenza di genere la nuova legislazione italiana presenta un approccio comune alla maggior parte degli altri paesi membri: un approccio top-down che si concretizza nelle riforme giuridiche, nella formazione delle Forze dell’Ordine e nei servizi specializzati al sostegno delle vittime, ed una fase successiva di approccio bottom-up che prevede la sensibilizzazione e la prevenzione, il potenziamento delle azioni di sostegno e l’ integrazione sociale delle vittime.

A questo proposito il Decreto istituisce all’ Art. 5 un Piano di Azione Straordinario contro la violenza sessuale e di genere per il finanziamento del quale sono stati stanziati 10 milioni di euro per l’ anno 2013, e successivi incrementi al Fondo per le pari opportunità destinati al Piano sono stati previsti anche per gli anni successivi, rispettivamente 7 milioni di Euro per l’anno 2014 e 10 milioni di euro annui a decorrere dal 2015.

Soldi che serviranno, tra l’ altro, per la diffusione di una cultura anti-violenza attraverso i media e l’istruzione, per la formazione professionale, e per l’implementazione della rete di supporto e di assistenza costituita dai centri antiviolenza e dalle case rifugio.

Nonostante questo però si evincono tuttora numerose carenze nella gestione dei servizi deputati al contrasto di questo fenomeno su scala nazionale: in particolare le lacune riscontrate riguardano la mancata previsione di un coordinamento tra i vari livelli amministrativi, che inevitabilmente compromette la creazione di uno sviluppo armonico della rete su scala nazionale. Inoltre è assente l’interazione tra i diversi settori di intervento anche ad uno stesso livello amministrativo, e non è prevista una struttura favorevole al dialogo tra enti pubblici ed enti privati.

Ma vediamo qual è oggi la situazione di questa rete assistenziale nel Lazio: secondo il rapporto “ViVi” al novembre 2013 sono 22 i centri di supporto censiti nella nostra Regione. Cinque centri anti-violenza, sette centri anti-violenza con case rifugio e dieci sportelli anti-violenza. Il 77% di questi centri si trovano a Roma.

Il numero dei posti totali per il ricovero delle donne vittime di situazioni di violenza nel Lazio sono 57, decisamente pochi rispetto al numero delle richieste e rispetto ai dati del fenomeno nella Regione, la terza in Italia per numero di omicidi con vittime le donne.

La giunta Zingaretti ha stanziato inoltre 1 milione di euro per finanziare le strutture già esistenti e per costruire una rete regionale di servizi per superare l’attuale criticità dovute alla frammentazione e alla disomogeneità dei servizi sul territorio.

Ma di fronte alla volontà di implementazione di questa realtà di supporto non possiamo non notare che ci siano tuttora delle strutture funzionanti che non ricevono però alcun sussidio istituzionale pur svolgendo un servizio che a tutti gli effetti si inserisce nello spirito del nuovo assetto normativo.

E’ il caso per esempio del Centro di Supporto Popolare di Tor Bella Monaca a Roma, che contrariamente agli indirizzi istituzionali, rischia di chiudere proprio per mancanza di fondi.

Stefania Catallo, la responsabile del Centro, nella sua intervista a RomaIt, ci ha spiegato come non sia condivisibile che i destinatari dei finanziamenti pubblici siano solamente i centri istituzionali mentre la realtà delle associazioni gestite da privati, che incide in maniera altrettanto significativa nel fornire servizi di aiuto e assistenza, debba autofinanziarsi. Con il risultato che poi, senza fondi e senza mezzi, come nel caso del Ce.S.P.P., si chiude, e anziché migliorare la rete regionale dei servizi si rischia di peggiorarla. Nel centro di Stefania infatti sono transitate circa mille donne dal 2011 ad oggi, alle quali è stata fornita assistenza gratuita da professionisti e personale specializzato. Un centro che funzionava, dunque, e che stà portando avanti la battaglia per la sopravvivenza attraverso una petizione che ha già raggiunto quasi 46.000 firme e che verrà presentata al Presidente Napolitano.

Per verificare lo stato delle iniziative regionali adottate quest’anno bisognerà attendere però la relazione che dovrà essere presentata entro il 30 Marzo al Ministero delle Pari Opportunità, solo a quel punto potremo valutare quanto questi fondi abbiano fruttato effettivamente sull’implementazione di questi progetti.

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