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Cesare e Augusto: l’enigma della grandezza

Per ogni cittadino di Roma, il rapporto con la Capitale ha qualcosa di geloso e di esclusivo

Morte di Gaio Giulio Cesare, di Vincenzo Camuccini

Morte di Gaio Giulio Cesare, di Vincenzo Camuccini

Ogni cittadino di questo pianeta – tendenzialmente – vive, con la propria città, un rapporto intenso. Spesso si tratta di luoghi abitati dai propri genitori, in cui si è vissuta la propria infanzia, magari in compagnia dei nonni. Per le grandi capitali europee, cariche di storia e di cultura, questo elemento tende ad aumentare. Per quanto riguarda Roma e i suoi abitanti, tuttavia, è necessario fare un discorso a sé.

Non solo per chi ha frequentato il liceo classico o si è formato in discipline umanistiche, ma per ogni cittadino di Roma, il rapporto con la Capitale ha qualcosa di geloso e di esclusivo. Dai Fori imperiali al Colosseo e al Palatino, alla via Appia, al Teatro Marcello, al Campidoglio, alle rovine di piazza Argentina, a piazza Navona, la storia antica della città è, per i romani, una presenza attuale, quotidiana.

Anche se si è incerti sulla data della morte di Cesare o non si è mai studiato il latino, certe cose ti condizionano nelle viscere, prima di ogni cognizione razionale legata allo studio.

In più bisogna aggiungere che la città di Roma è stata viva in ogni epoca della sua storia. Per cui, accanto alla città antica, abbiamo una Roma cristiana e medievale, una Roma rinascimentale, una Roma barocca, una Roma ottocentesca e risorgimentale, una Roma novecentesca e una Roma post-moderna.

Ardue vette

Per chi volesse capire di più sulla Roma antica, esistono, naturalmente, libri mirabili; tanto per ciò che concerne la Roma repubblicana, sia per ciò che riguarda la Roma imperiale. Per quanto attiene alla Roma repubblicana, penso a due libri di sicuro impatto e di grande efficacia. “Le conquiste dei romani” (1967, ed. it. Il Saggiatore) di André Piganiol e “Il secolo degli Scipioni” (1975, ed. it. Paideia) di Pierre Grimal. In essi il magnifico spirito della Roma repubblicana risalta in tutta la sua grandiosa asciuttezza e potenza.

Senza dimenticare che a restituire, in profondità, lo spirito di un’epoca sono, sempre, i classici. Ossia le opere di quegli autori che certe cose le hanno viste e vissute direttamente, a partire da autori come Tito Livio, Polibio, Sallustio, Cesare, Tacito, Svetonio, Plutarco. Fino ad arrivare a quel grande capolavoro di Machiavelli che sono i “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio” e alla “Storia di Roma” di T. Mommsen.

Per quanto riguarda il passaggio dalla Repubblica all’Impero, la transizione inaugurata da Cesare e conclusa da Augusto, un libro merita di essere segnalato sopra tutti gli altri ed è “La rivoluzione romana” (ed. it. Einaudi) di Sir Ronald Syme del 1939, opera di straordinaria sagacia e raffinatezza storiografica.

Al grande lavoro di Syme, deve essere accostato il prezioso libro di Santo Mazzarino, “L’Impero romano” (1962), pubblicato in due volumi per Laterza, che – ad esempio – riserva all’epoca degli Antonini, quella di Adriano Antonino Pio e Marco Aurelio, pagine insuperate e insuperabili.

Infine, tra gli studi recenti, devono essere menzionati due lavori di Luciano Canfora, forse il solo storico contemporaneo ad avvicinarsi, per respiro spirituale e acume storiografico, alle opere menzionate sopra. Il libro di Canfora su Cesare si intitola “Giulio Cesare. Il dittatore democratico” (1999). Mentre quello su Augusto reca il titolo “Augusto figlio di Dio” (2015) ed è stato pubblicato dopo il bimillenario della morte dell’Imperatore nel 14 d. C.

In esso troviamo l’importante caratterizzazione e definizione, secondo cui Augusto fu totus politicus. Questo lavoro era stato preceduto da un libriccino intitolato “La prima marcia su Roma”. Tutti e tre i libri di Canfora hanno visto la luce presso l’editore Laterza. Canfora è uno storico che lavora sulla filologia e, allo stesso tempo, si ispira alla lezione filosofico-storica del marxismo. Con quali risultati, il lettore potrà apprezzare da sé.

Uno sguardo dall’interno

Il problema dei grandi trattati sulla storia romana sopra menzionati, è che si tratta di studi ardui, complessi, profondi, inaccessibili a chi non possiede un retroterra storico robusto e specifico, oppure grandi doti di lettura.

Un editore avvertito come Laterza – il cui sodalizio con Benedetto Croce è passato alla storia della cultura italiana – ha perfettamente compreso come, in un’epoca come la nostra in cui i saperi umanistici sono stretti nell’angolo, le guide e i volumi introduttivi, a un filosofo, a un’opera, a una grande figura storica, rivestono sempre maggiore importanza.

Così, per due figure come quelle di Cesare e Augusto, abbiamo due volumi di Augusto Fraschetti, storico scomparso nel 2007, la cui conoscenza della storia romana è vasta, sicura, articolata e profonda. Il volume su Cesare è apparso, per Laterza, nel 2005. Quello su Augusto, sempre per lo stesso editore, nel 1998.

Tra i grandi romani che hanno attraversato i secoli, Cesare e Augusto, insieme a Cicerone e Costantino, sono sicuramente tra i principali. Ne è implicita testimonianza lo stupendo studio cinquecentesco di Andrea Del Sarto (1486-1530) per una testa di Cesare, pubblicato in copertina del volume di Fraschetti dedicato al divo Giulio.

Per millenni, l’Europa medievale, rinascimentale, barocca, illuminista, ottocentesca, industriale, novecentesca, si confronta con i grandi romani, provando a trarne lume di intellezione per il presente.

Ora, Cesare e Augusto non furono, esattamente, dei curati di campagna. Abili, sottili, spregiudicati, furono dei grandi interpreti della volontà di potenza che alberga da sempre nel cuore dell’uomo, per quanto interessava Roma e, soprattutto, loro stessi. Profondamente diversi, Cesare era sanguigno, sfrontato, grande generale, amava giocarsi tutto nello scontro frontale.

Augusto fu, invece, prudente, calcolatore, poco brillante sul piano militare, ma stratega politico insuperato, anche grazie alla consorte Livia Drusilla, altrettanto abile sotto lo stesso profilo.

La morale della favola

Se si scende nel dettaglio, molti particolari della loro azione danno i brividi. A partire da quello che Luciano Canfora, per quanto concerne Cesare, ha chiamato il “libro nero della campagna gallica” (si tratta del XV capitolo del suo “Giulio Cesare. Il dittatore democratico”). Per arrivare all’esilio che Augusto inflisse ad Ovidio, il grande poeta troppo innamorato della Parola e della dimensione di libertà che le è connessa, per trovare spazio nel nuovo ordinamento imperiale.

Che cosa ci insegnano, dunque, i due libri di Augusto Fraschetti su Cesare e Augusto? Io direi due cose. La prima: a diffidare sempre del Potere, poiché esso non ha mai a cuore i destini dei singoli uomini, quanto invece il proprio solitario accrescimento, per rievocare una massima di Jacob Burckhardt, il grande storico svizzero amico di Nietzsche, contenuta nelle lezioni sullo studio della storia.

La seconda: che, in determinate situazioni storiche, il Potere può allearsi con la grandezza. Esattamente l’opposto dello spettacolo di cui siamo testimoni oggi, in Italia e nel mondo…