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Carne scaduta riconfezionata: cosa rivela l’inchiesta di Report

L’inchiesta di Report in uno dei macelli più grandi d’Italia: carne scaduta ricondizionata, controlli inefficaci e rischi per la salute dei consumatori

Report, carne scaduta

L’inchiesta che Report ha mandato in onda domenica scorsa 23 novembre su Rai3 riporta al centro dell’attenzione ciò che finisce sui banconi dei supermercati. Il servizio di Giulia Innocenzi, dal titolo “Non si butta via niente”, svela dinamiche rimaste a lungo fuori dallo sguardo del pubblico e documenta come partite di carne scaduta, arrivate da vari Paesi del mondo, siano state scongelate, lavorate e ricongelate in uno stabilimento indicato come uno dei più rilevanti nel settore delle carni estere. Un quadro che solleva domande urgenti su sicurezza alimentare, controlli e responsabilità industriali.

Cosa mostra l’inchiesta di Report sulla carne scaduta

Il programma condotto da Sigfrido Ranucci porta il pubblico dentro uno dei maggiori stabilimenti di smistamento carni d’Italia. Qui arrivano carichi provenienti da Uruguay, Nuova Zelanda, Ungheria, Ucraina, Romania e perfino dalle riserve militari egiziane. Secondo quanto documentato, si tratta di prodotti già oltre la data di consumo. Le testimonianze raccolte fra gli operai descrivono una materia prima in condizioni compromesse: “Era nera, puzzava, era brutta. Alla vista e all’olfatto era immangiabile”, si sente nel servizio.

Gli esperti consultati dalla trasmissione spiegano che il congelamento non uccide i batteri e che lo scongelamento in acqua calda può favorirne la proliferazione, inclusi patogeni come salmonella e listeria. Una volta scongelata, la carne veniva lavorata nuovamente, ricongelata e immessa sul mercato con data di scadenza aggiornata.

Come viene gestita la lavorazione delle carni

Le immagini raccolte dal team di Report mostrano sacchetti caduti sul pavimento e nuovamente inseriti nei cassoni, piani di lavoro contaminati dal sangue e armadietti infestati da insetti. Un ambiente che, secondo il servizio, amplificava ulteriormente la carica batterica. L’azienda, contattata dalla trasmissione, afferma che la normativa consente il congelamento delle carni fresche prima della data limite, purché mantenute a specifiche temperature. Tuttavia ciò che appare dai filmati sembra discostarsi da questa procedura, suggerendo un sistema che avrebbe potuto mettere a rischio i consumatori.

Reazioni e responsabilità dell’industria alimentare

Il servizio di Report spinge a interrogarsi sulle logiche economiche che portano un’azienda a rimettere in circolo carne che dovrebbe essere distrutta. Innocenzi, intervistata da ilfattoquotidiano.it, parla di un meccanismo orientato al profitto: una partita scaduta, invece di generare perdite, può trasformarsi in guadagno se reimmessa sul mercato dopo una lavorazione che la rende nuovamente vendibile. Una strategia con potenziali ripercussioni sulla tutela della salute pubblica, che apre un dibattito sulla responsabilità dei produttori nel garantire standard igienici e qualità delle materie prime.

Il nodo dei controlli e il sistema di vigilanza

Il secondo aspetto sollevato dall’inchiesta riguarda la vigilanza sanitaria. La giornalista racconta di aver chiesto chiarimenti ai Servizi veterinari su come sia stato possibile non rilevare la presenza di carni scadute in lavorazione. La risposta, riferisce, è legata alla modalità con cui vengono effettuate le verifiche: i controlli a sorpresa sarebbero rari, mentre prevalgono visite programmate con preavviso alle aziende. Un’impostazione che, secondo Innocenzi, necessita di essere ripensata per garantire una reale tutela dei consumatori. L’assenza di verifiche improvvise, infatti, rischia di creare spazi in cui pratiche irregolari possono proliferare senza ostacoli.

Perché l’inchiesta di Report incide sul dibattito pubblico

Il servizio riaccende l’attenzione su filiere globali sempre più complesse e sulla necessità di sistemi di controllo efficaci. Il caso del servizio di Report diventa così emblematico: mostra come la ricerca del profitto possa generare distorsioni e come un apparato di vigilanza poco incisivo possa lasciare scoperti gli anelli più vulnerabili della catena alimentare. Il tema non riguarda solo gli addetti ai lavori, ma ogni consumatore che si aspetta trasparenza e garanzie solide su ciò che porta a casa.