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Barbara Bartolotti, io vittima di violenza oggi sono “Libera di vivere”

“La mia esistenza è ripartita nel momento in cui ho riaperto gli occhi e ho deciso che la mia voglia di vivere mi avrebbe salvata. Quattro anni dopo è nata mia figlia Federica, il mio riscatto, l’affermazione concreta della mia forza”

Barbara Bartolotti

Barbara Bartolotti

In occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne 2022 abbiamo intervistato Barbara Bartolotti, presa a martellate pugnalate e bruciata viva dal collega. Oggi con la sua associazione “Libera di vivere” aiuta le donne vittime di violenza e racconta la sua storia nelle scuole.  

La storia

Il 20 dicembre 2003, Barbara Bartolotti riceve la chiamata di un collega, le chiede di vedersi, nulla di strano. I due spesso lavorano fianco a fianco e lui non ha mai mostrato strani comportamenti. Poco dopo essere salita in macchina l’uomo la aggredisce. Barbara stessa racconta: “Mi porto le mani al capo, vedo il sangue che comincia a colare, mi giro e lo scorgo con in mano un martello con cui si accanisce nuovamente su di me inferendomi altri colpi. Cado a terra, lui prosegue a calci e pugni e ripete: “Non posso averti, meglio ucciderti”. Non soddisfatto, l’aggressore le dà fuoco. Barbara si finge morta e quando lui se ne va riesce miracolosamente a fuggire e chiedere aiuto. Era incinta, perderà il bambino per colpa delle coltellate.

Alcune delle ustioni subite

Dalla sua terribile storia sono passati quasi 20 anni, lei tramite la sua associazione “Libera di vivere” ha avuto percezione che questo fenomeno abbia avuto attenzioni maggiori da parte dello Stato?

È soprattutto grazie alle donne vittime di violenze, che si sono messe in prima linea come me che oggi si parla di violenza sulle donne. Sono molte ancora le donne che non hanno il coraggio di denunciare, di esporsi, di raccontare. Noi sopravvissute siamo delle donne forti, ma siamo anche delle donne molto fragili. Abbiamo i nostri ricordi, le nostre cicatrici sul corpo che ci ricordano ogni giorno quello che abbiamo vissuto e patito. Tramite la nostra voce, i passi avanti fatti sono troppo piccoli.

Cosa si potrebbe fare di più?

Proteggere, tutelare. Le donne andrebbero maggiormente tutelate, le tempistiche per mettere in protezione le vittime devono essere più brevi. Rinforzerei le iniziative a scuola. Gi studenti sono alla base della nostra società, vanno coinvolti di più ma anche ascoltati di più. Non basta sensibilizzare solo il 25 novembre o l’8 marzo.

Con la sua associazione “Libera di vivere” lei accoglie molte testimonianze, è molto attiva nel territorio. Racconta la sua storia nelle scuole, che studenti trova?

Quello che io faccio da 20 anni non è solo il racconto della mia storia, cerco di invogliare a denunciare. Io non ho avuto sentore di quello che mi sarebbe capitato ma andando nelle scuole trovo sempre dei ragazzi che raccontano di violenze subite. Sono ragazzi che chiedono aiuto e quello che io dico loro è che non si è soli. Oggi ci sono molti centri si ascolto, ci sono consultori dove psicologi e assistenti sociali accolgono e ascoltano le storie di tutti.

Oggi trucco o collo alto per nascondere le cicatrici

Ci parli della sua associazione “libera di vivere”

Con l’associazione spesso riceviamo richieste di aiuto da donne. La prima cosa che facciamo è assicurare loro che non sono sole, che le aiuteremo. Abbiamo molti professionisti che sono pronti all’aiuto e all’ascolto, accompagniamo la vittima nel suo percorso, che sia dal pronto soccorso o dai carabinieri. Abbiamo dei legali che le seguiranno e le proteggeranno da subito. La prima cosa da fare è fuggire, ritrovare la voglia di vivere e di riscatto.