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Sinner trionfa. Politici e media ci speculano sopra

La tendenza generale dell’establishment, sia politico sia mediatico, a pavoneggiarsi con i successi altrui, in questo caso di Sinner

Jannik Sinner

Jannik Sinner

Il ministro dello Sport Andrea Abodi non è andato a Wimbledon, a manifestare con la propria presenza il sostegno a Sinner da parte del governo e quindi, come no, dell’intera nazione.

Le opposizioni & C. lo hanno attaccato: che diamine, non si fa. Esserci era un dovere. E quando il Dovere chiama…

Lui ha replicato a vanvera: anche i ministri hanno una famiglia e il diritto di trascorrere le domeniche con i loro cari. Ci mancherebbe. Però la finale di Wimbledon si disputa una volta l’anno e un italiano in campo, con cospicue possibilità di vincerla, non s’era mai visto. L’occasione appariva unica… e di domeniche ne restano 51.

La polemichetta vale quello che vale e nessuno ne esce bene. Basti dire/ricordare che tra i censori di Abodi c’è Matteo Renzi, che da ragazzino fece il boyscout ma che da “grandino” non è esattamente il più limpido esempio di rigore istituzionale. Anche se, non si può negare, il suo fiuto per le passerelle mediatiche resta indiscusso: Renzi/Fonzie, avete presente?

La questione interessante è un’altra. Che incorpora la diatriba di giornata ma allo stesso tempo la trascende.

Perché costituisce un fenomeno assai più ampio: la tendenza generale dell’establishment, sia politico sia mediatico, a pavoneggiarsi con i successi altrui.

Una logica che è analoga a quella dei testimonial utilizzati nella pubblicità commerciale, allo scopo di associare il prodotto reclamizzato al fascino della star di turno e fingere, così, che tra i due vi sia un intimo (ed emozionante) legame.

Ma lì, se non altro, le aziende si pagano il trucco a peso d’oro.

Evviva evviva. Evviva cosa?

L’abitudine è generalizzata. L’abitudine resta pessima. Anzi, è ancora “più pessima” proprio per questo: perché è così diffusa che nessuno ci bada.

Dandola per scontata, addirittura per naturale, nessuno si pone la domanda fondamentale: che cosa hanno a che spartire, con i campioni dello sport, i professionisti della politica e della comunicazione che si precipitano ad acclamarli e a esaltarne le grandissime doti? Attenzione. Non solo quelle fisiche e tecniche che li hanno condotti alla vittoria ma soprattutto – come appunto, e al massimo grado, nel caso di Sinner – quelle etiche.

La risposta è elementare: niente.

Lo sport, benché sempre più contaminato dagli eccessi e dalle distorsioni di un professionismo che degenera nel business, è comunque imperniato su valori precisi e in qualche modo imprescindibili: lo spirito di sacrificio, la lotta onesta e incessante con i propri difetti, l’accettazione genuina delle regole del gioco. E il rispetto dell’avversario, che d’altronde se lo merita perché condivide a sua volta le stesse premesse e gli stessi comportamenti.

La politica e i media, ahinoi, sono agli antipodi.

La politica perché è il regno delle ambiguità, delle contraddizioni e dei sotterfugi. Il “fair play” te lo sogni e in tantissimi casi non è nemmeno ben chiaro in cosa consista realmente il “play”. Ossia gli scopi che si vogliono raggiungere. Proclamando finalità che magari si presentano nobili e disinteressate (i diritti delle minoranze, la rivoluzione green, l’esportazione della democrazia etc. etc.) ma che poi si risolvono in esiti assai meno cristallini. A vantaggio di alcuni, a partire dai grandi gruppi imprenditoriali e finanziari. A danno di tutti gli altri.

I media, a loro volta, esibiscono il mito della “libertà di espressione” e dietro quell’altisonante e ammirevole altare fanno affari e affarucci di ogni sorta. I lettori/spettatori ridotti a un pubblico da attrarre con ogni mezzo. Attrarre e spesso abbindolare. Nel presupposto, purtroppo assai fondato, che il bisogno di coinvolgimento emotivo e di identificazione sia pure malriposta tende a travolgere il raziocinio e la consapevolezza.

Tanto più quando, nell’insoddisfazione per le proprie vite personali, si muore dalla voglia di proiettarsi nell’immagine di chi risplende sotto le luci della ribalta.

Illusorio o no, quello specchio è desiderabile. O addirittura necessario.

Come ci si arriva, Yannik?

Il malcostume è onnipresente. E balzerebbe all’occhio non appena si riflettesse sul fatto, di per sé ovvio, che se un omaggio non deriva da un’autentica affinità allora non è più una celebrazione ma una messinscena. Alla quale gli stessi destinatari dovrebbero avere la lucidità e il coraggio di sottrarsi.

Le visite semi obbligatorie al Quirinale, o in altri allestimenti simili, andrebbero rifiutate per “manifesta estraneità”. Rendendosi conto che quelle cerimonie non sono affatto il riconoscimento istituzionale dei valori sportivi ma il tentativo di farsi belli con ciò che non si è: sorrisi e strette di mano e discorsetti di circostanza che lì cominciano e lì finiscono.

Lo sport esige lealtà. Il Potere la aborre.

E se questo è vero a 360 gradi (o a 358, per essere ottimisti) nel caso dei progressisti c’è una contraddizione ulteriore. Un’aggravante ulteriore.

Gli stessi che inneggiano a Sinner, infatti, sono quelli che insorgono contro la meritocrazia nella Pubblica Istruzione. Da un lato plaudono alle magnifiche imprese del campione altoatesino, dall’altro non traggono le indispensabili conclusioni da ciò che le rende possibili.

La pura verità, al di là delle doti naturali di partenza, è che Sinner è un esempio esplicito e quasi insuperabile di dedizione al proprio continuo miglioramento. Senza neanche l’ombra di quella “cultura degli alibi” denunciata a più riprese da Julio Velasco.

Sinner lavora duro. Non cerca scuse e men che meno le vuole da parte del suo staff. Al contrario: esige che gli dicano la verità, su ciò che sbaglia, in modo da avere l’opportunità di correggersi. In quei giudizi, perciò, non vede nulla di punitivo e di ostile ma l’esatto contrario: richiamando la sua attenzione sulle mancanze che ancora lo affliggono gli si offre la chance di intervenire e di superarle.

La lezione da apprendere

È la stessa identica cosa che dovrebbe avvenire in ambito scolastico. Gli insegnanti mettono a disposizione degli allievi un quadro attendibile, e in costante aggiornamento, di ciò che è stato già acquisito e di quello che invece rimane da conquistare.

E se è vero che nel team di Sinner quella totale franchezza poggia su una stima profonda e su una sorta di amicizia che esclude a priori qualsiasi intento di sopraffazione, la chiave di volta risiede proprio qui. Non nell’essere esigenti, ma nell’esserlo in un contesto di calda e reciproca collaborazione e in vista di un approdo condiviso.

La Scuola deve rispettare i giovani che le sono stati affidati. Quei giovani devono sapere che nessuna imposizione sarà fine a sé stessa ma finalizzata a rafforzarli. Sia nell’intelletto che nel carattere.

Dei campioni dello sport ci incanta la vittoria, con la sua gioia meravigliosa e straripante. Bisognerebbe concentrarsi di più, molto di più, su ciò che ha permesso di ottenerla.

Gerardo Valentini – presidente Movimento Cantiere Italia