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Bambini e sindrome di Hikikomori: cosa ci ha lasciato il lockdown

Gli Hikikomori sono ragazzi che rifiutano di lasciare la propria stanza all’interno della quale vivono isolati per mesi rifiutando l’esterno

hikikomori

Hikikomori

Hikikomori, a primo impatto può sembrare il nome di uno di quei personaggi dei cartoni animati giapponesi in voga negli anni ottanta, invece la sua traduzione purtroppo ci racconta di una forma sempre più diffusa di isolamento che coinvolge tantissimi giovani. Il termine, oggi riconosciuto e diffuso nel resto del mondo, viene tristemente utilizzato per riferirsi a coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale. Un isolamento non solo dalla collettività, ma che finisce con il divenire una vera e propria forma di alienazione dalla famiglia, dagli amici, da ciò che è “altro da me”, e in fin dei conti anche da sé stessi. Il fenomeno riguarda per il 70%-90% i maschi e l’età va dai 14 ai 30 anni.

La ribellione Hikikomori dei giovani giapponesi

Questo tipo di comportamento può essere considerato come la ribellione della gioventù nipponica alla pressante e incalzante società Giapponese che spinge gli adolescenti verso una marcata autorealizzazione e verso il successo personale ad ogni costo.  E’ così che il giovane, alle prese con tutto ciò che circonda le scoperte dell’adolescenza, decide di vivere recluso nella sua stanza o abitazione senza più contatti con l’esterno, attaccato al cordone ombelicale di quel “mondo fatato” e assai meno ingombrante che è internet. Gli Hikikomori sono ragazzi che rifiutano di lasciare la propria stanza all’interno della quale vivono isolati per mesi, offrendo contestualmente terreno fertile all’insorgenza di patologie come la depressione o all’emergere di comportamenti ossessivo-compulsivi.

Spesso si tratta di soggetti molto intelligenti ma estremamente sensibili con storie di bullismo alle spalle ed una autostima ed autoefficacia ridimensionate dalla propria storia.

Il fenomeno in Italia

Quanto detto finora sull’Hikikomori Giapponese, può apparire lontano da noi e distante dalla comunità a cui apparteniamo, ma la realtà è un’altra. Purtroppo si cominciano a registrare molti casi anche in Italia. Gli ultimi dati registrano decine di migliaia di situazioni riconducibili al fenomeno, con una distribuzione più o meno omogenea su tutto il territori.  A creare preoccupazione, oltre al dramma di chi vive questi comportamenti e delle relative famiglie, è la scarsissima informazione e conoscenza del fenomeno da parte degli organi preposti, specie di chi si occupa della crescita e della formazione delle generazioni future.  Che il fenomeno sociale degli Hikikomori non è affatto estraneo alla nostra bella Italia,  ce ne stiamo rendendo conto proprio oggi, mentre raccogliamo i pezzi di quello che ci ha lasciato il lockdown.

Hikikomori, un danno collaterale del lokdown

 Se abbiamo fatto fatica a spiegare ai nostri figli quanto fosse importante la frase che ci ammoniva quotidianamente di “stare in casa “, oggi osserviamo una diffusa riluttanza degli stessi nel riprendere gradualmente la vita di prima. Qualcuno lo ha chiamato “effetto capanna”, qualcun altro “effetto grotta”, il dato è che ci troviamo di fronte al rifiuto di uscire, di riprendere attività piacevoli ma forse dimenticate, di riassaporare la condivisione con i propri pari e di farlo al di fuori delle mura domestiche. Le scelte degli Hikikomori giapponesi sono causate da fattori sociali e personali di varia natura. Vedi la loro società ingombrante o l’assenza della figura paterna a discapito di una pressante proiettività materna, come la stessa letteratura nipponica ci riferisce.

Quali sono invece le cause che spingono i nostri bambini a prediligere di restare chiusi in casa davanti un videogioco o al cellulare che finisce per sostituirsi al migliore amico?

Una dimensione pluralistica della prevenzione

Interrogandoci su quali siano le mosse giuste da fare come genitori, come educatori, come psicologi, ma soprattutto come comunità, occorre ricordare l’importanza che assume la rete scolastica, perché è proprio lì che i nostri giovani possono tornare ad essere tali, ed è proprio all’interno di queste istituzioni che si devono trovare le competenze e gli strumenti per la salvaguardia della salute fisica e mentale. Solo così si può pensare di fare prevenzione e si può garantire ai ragazzi il supporto che meritano, e che forse oggi più che mai si rende necessario. C’è dunque vita dopo il lockdown?

Non possiamo lasciare ai nostri ragazzi il peso di questa domanda senza aver prima provato a dar noi una risposta. Dopo la famiglia è proprio la scuola il luogo e il gruppo di riferimento e da qui l’importanza della sua riapertura, una riapertura che veda una ristrutturazione che vada oltre il posizionamento dei banchi o il distanziamento misurato con il metro laser.

Intercettare le nuove forme di malessere

Serve una ristrutturazione profonda che veda l’alunno, con il suo complesso e fragile mondo, al centro della nuova programmazione inserendo professionisti che possano intercettare le nuove forme di malessere che lo scenario post-covid ci presenterà. L’epidemia ha stravolto le nostre abitudini e conseguentemente anche quelle dei ragazzi, gli adulti in smart-working e i figli impegnati in lezioni a distanza. Internet può unire ma può anche isolare. I compagni di classe, il gruppo del calcetto o del nuoto, gli amici del cuore, le ore spese con gli altri non possono e non devono essere rimpiazzate da pomeriggi in casa con cuffie nelle orecchie, videogiochi e luce artificiale. Si corre il rischio di aumentare problemi semplici come il mal di testa o la difficoltà di concentrazione, fino ad arrivare a problematiche psicologiche più serie come appunto quelle degli Hikikomori.

Parliamo ai nostri giovani

Se un adolescente in media fa scorrere la schermata dello smartphone più di 2000 volte al giorno o trascorre intere giornate dentro la realtà virtuale di un video-games, è nostra responsabilità informarlo sul pericolo per la salute fisica e psichica che questo tipo di comportamenti può causare, a discapito di una vita al di fuori dei pixel che ha ripreso a scorrere e che aspetta di essere assaporata.

Con la collaborazione di Chiara Caneschi, Dottoressa in riabilitazione psichiatrica e in psicologia clinica. Lavora presso la Clinica psichiatrica Villa Armonia Nuova a Roma.

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