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ATAC, Focus Referendum. Seconda parte: le ragioni del Sì e quelle del No

A prima vista ci sono argomentazioni valide per sostenere sia una posizione che l’altra. Motivo di più per approfondire

Le ragioni del Sì

Al colpo d’occhio il ragionamento è tanto semplice quanto limpido: Atac è un’azienda inefficiente e sull’orlo del fallimento, per cui è venuto il momento di voltare pagina e di cercare altri soggetti che offrano maggiori garanzie.

Come? Attraverso dei bandi di gara che permettano alle imprese private di farsi avanti. Invece di rimanere imbottigliato nel rapporto esclusivo con Atac, il Comune avrebbe mano libera e potrebbe riformulare le proprie strategie di intervento. I suoi nuovi compiti, quindi, consisterebbero nel predisporre gli appalti e nel vigilare sulla corretta fornitura dei servizi da parte dei vincitori.

Messa così, sembra l’uovo di Colombo. E infatti i promotori del referendum insistono moltissimo sui vantaggi del nuovo assetto, magnificando i vantaggi di un servizio “gestito da aziende virtuose che abbiano l’obiettivo di investire in un patrimonio che appartiene a tutti”.

Ma sarà davvero così? Saranno davvero così “virtuose”, le aziende che si aggiudicheranno i contratti? Loro lo danno per scontato. Ma visti i molti precedenti in materia – vedi ad esempio le mense scolastiche – è legittimo avere più di qualche dubbio. A maggior ragione, poi, se non saranno espressamente vietati i subappalti. Che purtroppo sono prassi corrente e che rendono ancora più difficile sia il controllo su ciò che viene fatto (e non fatto), sia l’accertamento delle responsabilità per il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Insomma: accanto alle valutazioni sensate c’è anche molto di propagandistico. Il disastro di Atac è di tali proporzioni che è impossibile negarlo, ma resta tutto da dimostrare che l’avvento dei privati sarebbe la soluzione istantanea, e definitiva, di tutti i mali del trasporto pubblico a Roma.

Le ragioni del No

In parte le abbiamo anticipate ieri, citando alcune dichiarazioni di Virginia Raggi. Sviluppiamole ancora meglio, però. Precisando subito che a voler evitare la ‘rottamazione’ della municipalizzata non è solo il MoVimento 5 Stelle, ma anche altre forze politiche, sia di destra che di sinistra.

Il punto di partenza è che non bisogna confondere l’Atac per come è oggi, dopo decenni e decenni di cattiva amministrazione, con quello che dovrebbe essere. E che potrebbe diventare se le modalità di gestione fossero completamente diverse.

Inoltre, e ancora prima, la grande partita alla quale si guarda è quella della concessione ai privati di servizi e beni pubblici. Nella puntata di domani spiegheremo in dettaglio le differenze tra privatizzazioni e liberalizzazioni, ma per ora è sufficiente ricordare il discrimine fondamentale: la pubblica amministrazione non mira al profitto; le imprese sì. Per la pubblica amministrazione il criterio essenziale è la copertura dei costi. Per le imprese lo scopo da ottenere è un guadagno supplementare, che ovviamente si potrà conseguire solo in due modi: o tagliando i costi (a cominciare da quelli del personale, di solito) o alzando le tariffe.

“Dietro la sfida dei radicali – ha detto Paolo Berdini, urbanista e presidente di Abc, Atac Bene Comune, e in precedenza assessore all’Urbanistica nella Giunta Raggi per alcuni mesi a cavallo tra 2016 e 2017– c’è il tentativo di trasformare in merce un servizio e scaricarne i costi su lavoratori e utenti”. Ciò che si teme, o che si prospetta, è “il taglio di ulteriori linee, l’aumento delle tariffe, licenziamenti, la svendita degli immobili Atac”.

Da parte loro, i promotori del referendum escludono espressamente questi scenari. La prima delle FAQ pubblicate sul loro sito è dedicata proprio a questo. Alla domanda “Volete rendere Atac un’azienda privata?” si risponde così: “Assolutamente no. Da parte del fronte del no si è fatta molta disinformazione. Non è nei nostri piani privatizzare Atac. Ciò che noi chiediamo è mettere a gara il servizio di trasporto che, anche se assegnato ad una o più aziende private, rimarrebbe pubblico”.

Vero nell’immediato. Ma non in prospettiva. Un’Atac che perda la sua posizione privilegiata nei rapporti con il Comune di Roma è condannata al fallimento. E non ci vuole un genio per immaginare che fine farebbe il suo patrimonio: liquidato a prezzi di saldo. Invece di privatizzare l’intera azienda, sobbarcandosi il suo dissesto, se ne acquisiscono i beni. E il gioco è fatto.

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