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Una risata sardonica che viene da lontano

Nel sottofondo inconscio della psiche di ognuno di noi, esiste una zona in cui l’uomo ha sognato di uccidere il padre e di giacere con la madre

Dürrenmatt

Friedrich Dürrenmatt

La dimensione del Sacro e quella del riso, dell’ironia, non vanno di solito molto d’accordo. Eppure, contrariamente a ciò che i bigotti e i moralisti hanno pensato fin dalla notte dei tempi, niente di più profondo e di più radicale che la capacità di ridere e sorridere sulle cose ultime. Lo sapeva bene Friedrich Dürrenmatt (1921-1990). Scrittore svizzero di lingua tedesca, egli ci ha lasciato una novella intitolata “La morte della Pizia” (ed. it. Adelphi, trad. di R. Colorni). Deliziosa per come egli sa giocare con le cose più sacre e più alte della Grecia: Delfi e il mito di Edipo.

Sfidare il gigante

Inevitabile pensare, non appena si apre lo splendido apologo di Dürrenmatt, che egli stia giocando con Freud. È noto ai più come uno dei capisaldi interpretativi della grande costruzione speculativa e scientifica di Freud, la psicoanalisi, sia costituita dal complesso di Edipo. Rifacendosi alla tragedia di Sofocle intitolata “Edipo Re”, fin dalla sua prima grande opera, “L’interpretazione dei sogni” del 1899, il giovane Freud arriva a concepire una teoria di portata straordinaria.

Ossia che, nel sottofondo inconscio della psiche di ognuno di noi, esiste una zona in cui l’uomo ha sognato di uccidere il padre e di giacere con la madre (nelle femminucce il triangolo è capovolto: uccisione della madre, per giacere con il padre). Questa concezione, qualora non risolta, sarebbe centrale nello sviluppo delle nevrosi e delle malattie psichiche in generale.

Come un ragazzaccio che la sa lunga, Dürrenmatt scherza con il padre Freud. Poiché anche il gioco e l’ironia, sembra volerci dire lo scrittore, sono un modo, garbato e sottile oltreché gentile, per liberarsi degli ingombranti fantasmi dei genitori. Come in un caleidoscopio vertiginoso, si susseguono, nel racconto di Dürrenmatt, le versioni del mito di Edipo, le varianti. I particolari mutano e l’ironia si fa irresistibile. 

Una vecchia Pizia – la donna cui, nel tempio di Apollo a Delfi, era affidato il compito di pronunciare il responso oracolare del dio – non ne può più dei mille trucchi degli astuti sacerdoti del tempio, che lucrano su quei creduloni dei Greci. Il nesso tra mito, potenza politica, interesse economico le è chiaro da tempo.

Così era stato per i sacerdoti egizi. Così sarà per la Chiesa cattolica. La Pizia è in attesa solo di un’esperienza da cui si aspetta ancora stupore e meraviglia: la morte. Eppure confrontandosi con tutti gli attori del dramma, fa esperienza della complessità della realtà, della sua insondabilità. Fino a decostruire la stessa interpretazione freudiana. Fino ad arrivare a comprendere, ciò che una volta Adorno formulò in un aforisma di “Minima Moralia”. Ossia che “nella psicoanalisi non c’è nient’altro di vero che le sue esagerazioni” (aforisma 29).

Riso e sapienza

La grazia, la bellezza, la sapienza di Dürrenmatt è tutta qui. Come in Thomas Mann e in Adorno, attraverso Dürrenmatt è possibile fare quell’esperienza che ancora Adorno (di nuovo nell’aforisma 29 di “Minima Moralia”, che è un aforisma che raccoglie diciassette ‘sotto-aforismi’), riferiva a Proust: ossia che la sua “cortesia…sta tutta nel risparmiare al lettore la vergogna di credersi più intelligente dell’autore”. 

A dimostrazione di come la de-sacralizzazione compiuta in nome dell’ironia e del riso, non toglie nulla alla maestà dell’argomento trattato, Dürrenmatt non sfigura il tesoro della sapienza delfica. La bellezza dei luoghi, delle sue rovine, in cui i custodi dell’area archeologica hanno preso il posto dei funzionari del tempio.

Lo scintillare del mare in fondo alla vallata, la profondità delle massime dei Sette Sapienti. Del resto non è il senso della lezione di Socrate, quello secondo cui alla ragione è lecito sfidare ogni idolo? Di tutto e di tutti si può e si deve saper ridere, ci dice Dürrenmatt: l’importante è saper ridere di sé. 

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